1) L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che:
- non osta a una normativa nazionale che vieta al giudice adito di accogliere una domanda diretta all’annullamento di un contratto di mutuo, che sia basata sul carattere abusivo di una clausola relativa al divario nel cambio, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, a condizione che la constatazione del carattere abusivo di una clausola siffatta consenta di ripristinare la situazione di fatto e di diritto in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza della clausola abusiva suddetta, e
- osta ad una normativa nazionale che vieta, in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, al giudice adito di accogliere una domanda diretta all’annullamento di un contratto di mutuo, che sia basata sul carattere abusivo di una clausola relativa al rischio di cambio, qualora si sia constatato che tale clausola è abusiva e che il contratto non può sopravvivere senza la clausola suddetta.
2) La direttiva 93/13, letta alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non osta a che la giurisdizione suprema di uno Stato membro adotti, nell’interesse di una uniforme interpretazione del diritto, decisioni vincolanti in merito alle modalità di attuazione di tale direttiva, purché queste ultime non impediscano al giudice competente né di garantire il pieno effetto delle norme contenute in tale direttiva e di mettere a disposizione del consumatore un ricorso effettivo ai fini della tutela dei diritti che esso può trarne, né di adire la Corte sottoponendole una domanda di pronuncia pregiudiziale a tale titolo, verifica che spetta tuttavia al giudice del rinvio svolgere.