In materia d’accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente ex art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa – non è sufficiente una prova generica, circa ipotetiche distinte causali, dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività. Il citato principio si applica, in presenza di alcuni elementi sintomatici, quali la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica, poiché in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano – in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario – ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica. Pertanto, spetta in questi casi al contribuente, su cui è ribaltato l’onere della prova, dimostrare in modo analitico che l’origine degli apporti patrimoniali sui conti dei congiunti ha genesi diversa da quella, appunto, dell’impresa.
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