Con sentenza del 31 luglio 2005, il Tribunale di Roma si è soffermato sulla distinzione tra la deliberazione di aumento del capitale sociale di una società e la successiva sottoscrizione che i soci e/o terzi eventualmente facciano del capitale così aumentato. La prima, infatti, esprime la volontà sociale di acquisire nuovo capitale di rischio, ma non produce automaticamente l’effetto modificativo del contratto sociale, essendo a tal fine necessario il concorso della volontà dell’ente e dei sottoscrittori del nuovo capitale deliberato, che si traduce nella sottoscrizione di una quota dell’aumento di capitale e che rappresenta.
L’obbligo di versamento per i soci deriva, pertanto, non dalla deliberazione di aumento di capitale sociale, bensì dalla distinta manifestazione di volontà negoziale dei soci e/o terzi, consistente nella sottoscrizione della quota del nuovo capitale offertagli in opzione, indipendentemente dal fatto che in sede assembleare abbiano o meno espresso il proprio voto per l’aumento di capitale.
Alla luce di quanto precede, si osserva come il negozio di sottoscrizione, perfezionandosi con lo scambio del consenso fra socio sottoscrittore o terzo e la società, ha natura consensuale e si configura come accettazione della proposta avanzata con la deliberazione di aumento di capitale, secondo il classico schema del contratto consensuale.
A conferma della natura consensuale del contratto di sottoscrizione depongono, secondo il Tribunale di Roma, due disposizioni: l’art. 2439 c.c., la cui terminologia fa propendere per l’esistenza di un obbligo anziché per la configurabilità del versamento come elemento negoziale, e l’art. 2444 c.c., che, per il deposito presso il Registro delle Imprese dell’attestazione che l’aumento di capitale è stato eseguito, individua il dies a quo nell’avvenuta sottoscrizione e non nel versamento del 25% della quota sottoscritta.
Posto che il negozio di sottoscrizione in sede di aumento di capitale è un negozio consensuale e che il negozio consensuale si perfezione, appunto, per effetto del consenso legittimamente manifestato dalle parti, il conferimento deve essere inteso come obbligo del sottoscrittore e non come fatto attinente alla fase formativa del negozio.
Infine, il Tribunale precisa che la sottoscrizione dell’aumento di capitale non è soggetta a forme particolare prescritte dalla legge, di talché essa può desumersi anche da comportamenti concludenti. Ciò che maggiormente rileva è che la stessa avvenga nel termine previsto nella deliberazione assembleare. Tuttavia, è necessario coordinare tali principi con quelli volti a regolare i rapporti contrattuali nei quali sia parte una pubblica amministrazione. A tal riguardo occorre precisare che la pubblica amministrazione non può concludere contratti se non nelle forme stabilite dalle leggi e dai regolamenti, sicché i contratti conclusi dallo Stato e dagli enti locali richiedono la forma scritta ad substantiam. Ed invero la giurisprudenza di legittimità ha recentemente ribadito che, in forza dell’art. 97 Cost., che richiama il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, il contenuto negoziale dell’atto e l’obbligazione assunta dalla pubblica amministrazione devono essere controllabili dall’autorità tutoria, a garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa.
Ciò peraltro comporta la forma scritta, a pena di nullità, dei contratti con cui una pubblica amministrazione assume partecipazioni in società di capitali e, di conseguenza, impegni verso una società.