La pronuncia che si annota risulta di particolare interesse, in quanto in essa la Corte di Cassazione ha affrontato due interessanti questioni in materia di concordato preventivo.
Anzitutto la Corte, ribadendo il principio già espresso dalle Sezioni Unite (sent. n. 1521/2013) e ripreso dalla propria recente giurisprudenza (in particolare nelle sentenze n. 11014/2013 e n. 21901/2013), ha stabilito come la valutazione della fattibilità della proposta concordataria risulti di competenza del giudice, mentre ai creditori spetti la valutazione sulla probabilità di successo economico del piano.
Il controllo, infatti, deve effettuarsi in tutte le fasi in cui si articola la procedura, e deve attuarsi mediante la verificazione dell’effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato, intesa come specifico obiettivo perseguito dal procedimento, priva di contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato, da un lato, al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e, dall’altro, all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pure parziale, dei creditori.
In secondo luogo, la Suprema Corte ha affrontato il delicato tema del rapporto tra la relazione del professionista e l’espressione, da parte dei creditori, del proprio “consenso informato” alla proposta concordataria.
La più attenta dottrina e giurisprudenza hanno a tal proposito evidenziato come il professionista debba compiere un giudizio prognostico ex ante. Tale giudizio deve cioè sostanziarsi in una verifica della ragionevolezza sia degli assunti di base che delle relative conseguenze.
Per tale ragione, come anche la pronuncia in commento ha premurato di evidenziare, il professionista deve non solo verificare, valutare ed attestare, ma anche riferire le proprie fonti conoscitive ed i controlli specificamente effettati per giungere alle proprie conclusioni.
Solo in tal modo sarà possibile che si formi un reale “consenso informato” nei creditori, i quali saranno cosi in grado di esprimere il proprio libero convincimento in merito alla fattibilità del piano.
La Suprema Corte a tal proposito sottolinea, infatti, come debba considerarsi del tutto inadeguato, ai sensi dell’art. 161, comma 3, L. Fall., il mero recepimento delle ipotesi formulate dal debitore, tanto più se di carattere dubitativo.