La sentenza n. 373/2016 del Tribunale di Udine è stata resa in un giudizio instaurato in seguito ad opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da una banca nei confronti di una società, finalizzato al recupero di un “presunto” credito vantato dalla banca stessa.
All’esito del giudizio la società è risultata creditrice di consistenti somme nei confronti della banca.
La pronuncia è meritevole di segnalazione per quanto concerne il tema degli oneri probatori e la problematica relativa all’azzeramento del saldo nei contenziosi per anatocismo bancario. Il Giudice ha disposto che nelle ipotesi in cui vi sia una parziale mancanza degli estratti conto dall’origine del rapporto, il criterio del c.d. “saldo zero” debba essere applicato sia sul conto corrente principale sia sui c.d. “conti accessori”.
Il Tribunale ha ribadito che nel caso in cui sia la banca ad agire in fase monitoria è onere della banca stessa, essendo attrice in senso sostanziale, fornire piena prova del proprio credito in sede di opposizione a decreto ingiuntivo. Nel caso in cui la banca non sia in grado di ricostruire l’intero rapporto contabile attraverso la produzione di tutti gli estratti conto fin dall’origine, il consulente tecnico sarà chiamato a riconteggiare il corretto dare – avere tra le parti sulla base del criterio del c.d. “saldo zero” (cfr., tra le altre, Corte di Appello di Lecce, 3 luglio 2015 e Tribunale di Reggio Emilia, 23 aprile 2014, entrambe in questa rivista; cfr. contenuti correlati).
Elemento di novità affermato dalla citata sentenza, è il fatto che il criterio del “saldo zero” debba essere applicato anche verso i c.d. “conti accessori”, anche detti“conti anticipi” o “conti indisponibili”, i quali sono conti “di appoggio” o “di evidenza”, aventi lo scopo di favorire l’utilizzo dei fidi finalizzati allo smobilizzo dei crediti.
Il Giudice ha affermato che i due conti accessori sono stati oggetto di contestazione in causa. Pertanto, sulla base delle regole in tema di onere della prova, la banca avrebbe dovuto supportare con idonea prova documentale la ricostruzione del saldo debitore contestato.
Per quanto concerne l’obbligo di conservazione dei documenti posto in capo alla banca, sembra opportuno richiamare l’orientamento secondo cui la banca è tenuta a produrre gli estratti conto a partire dall’apertura del conto, anche oltre il decennio, poichè non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito, nel momento in cui le contestazioni del debitore riguardano l’intera durata del rapporto
In altre parole, il fatto che la banca sia normativamente tenuta a conservare la documentazione per un decennio, non significa che trascorso tale periodo essa possa essere in qualche misura sollevata dal proprio onere probatorio. Ciò in quanto l’obbligo di conservazione della documentazione e l’assolvimento dell’onere probatorio, sono adempimenti posti su piani tra loro molto diversi. Tali principi sono stati confermati da recenti pronunce della Suprema Corte, le quali hanno affermato che la banca, in sede di contestazione della pattuizione degli interessi ultralegali, è tenuta a produrre in giudizio tutti gli estratti conto a partire dall’apertura del conto corrente oggetto di analisi, anche precedenti all’ultimo decennio.
Ciò in quanto è necessario tenere presente la radicale diversità tra le esigenze probatorie e l’obbligo di conservazione dei documenti, poiché quest’ultimo non può certamente consentire, né tantomeno essere interpretato, come una limitazione dell’onere probatorio posto a carico della banca stessa. Infatti, la produzione degli estratti conto relativi ad un arco temporale più breve selezionato (arbitrariamente) dalla banca, deve ritenersi in toto inidonea ad assolvere l’onus probandi posto a carico della stessa (cfr. tra le altre Corte di Cassazione n. 18541, 9 aprile 2013; Corte di Cassazione n. 23974, 25 novembre 2010; Corte di Cassazione n. 10692, 10 maggio 2007).
Infine, quanto affermato dalla sentenza del Tribunale di Udine, parrebbe anche essere espressione del principio affermato dalla Cassazione in tema divicinanza della prova, enunciato inizialmente in tema di diritto di lavoro (S.U. 13533, 30 ottobre 2001), che progressivamente si sta estendendo anche alla materia bancaria (cfr. ad es. Tribunale di Ancona, ordinanza del 28 gennaio 2015, già pubblicata sulla presente Rivista).
Il principio di vicinanza alla prova contribuisce a fornire una lettura “temperata” dell’art. 2697 c.c. (cfr. Tribunale di Torino, 11 febbraio 2015, n. 1073, già pubblicata sulla presente Rivista), non solo per quanto concerne il criterio del “saldo zero”, bensì anche in relazione alla concreta ripartizione dell’onere probatorio, che consentirebbe di superare una lettura meramente formalistica della norma, secondo cui gli oneri probatori dovrebbero ricadere in ogni caso su parte attrice. Di contro, secondo il principio di vicinanza alla prova, la corretta interpretazione di tale principio richiederebbe anche una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni in tema di distribuzione degli oneri probatori, onde evitare di attribuire alla parte un onere eccessivamente gravoso per la stessa.
Tuttavia, nel caso di specie l’impostazione della sentenza in commento pare certamente condivisibile, poiché la banca, oltre a rivestire il ruolo di parte attrice in senso sostanziale, per tutte le considerazioni suesposte, sia per funzione sia per struttura organizzativa richiesta per legge (art. 14 TUB), è tenuta ad una diligente tenuta della documentazione relativa all’attività bancaria, onde prevenire i rischi connessi all’attività stessa. Tra tali attività preventive, per le ragioni già esposte, certamente vi è quella di conservazione dei documenti (anche oltre il decennio) necessari per assolvere agli oneri probatori connessi ai rapporti attuali e pregressi instaurati con la clientela, in sede di contenzioso sia giudiziale che stragiudiziale.