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Giurisprudenza

Nessun abuso del diritto nella cessione di azioni rivalutate, con corrispettivo coincidente con i dividendi pagati in seguito

20 Novembre 2020

Avv. Tommaso Sesti

Cassazione Civile, Sez. V, 6 novembre 2020, n. 24839 – Pres. Napolitano, Rel. Federici

Di cosa si parla in questo articolo

Non rappresenta un caso di abuso del diritto la rivalutazione di partecipazioni azionarie, detenute da una persona fisica residente in Italia in più società estere, seguite dalla vendita delle stesse nell’imminenza della distribuzione degli utili.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione nell’ordinanza in oggetto, concernente una fattispecie nella quale il Fisco aveva ripreso a tassazione le plusvalenze rivenienti dalla cessione di azioni in società estere, per il complessivo importo di euro 4.253.579,00.

In particolare, il contribuente, con tre operazioni distinte, aveva ceduto le azioni possedute in due società estere ad una società terza residente in Italia; ai sensi della Legge n. 448 del 2001 e del Decreto-legge n. 282 del 2002, le azioni erano state oggetto di rivalutazione ai fini fiscali, e per l’effetto non si era così registrata alcuna plusvalenza all’atto della cessione alla società terza.

Le cessioni delle partecipazioni erano avvenute solo alcuni giorni prima del pagamento dei dividendi, peraltro già deliberato, ed al prezzo esattamente coincidente con l’ammontare dei dividendi stessi.

Inoltre, il corrispettivo era stato versato dalla società acquirente in corrispondenza della distribuzione dei dividendi.

L’Amministrazione finanziaria emetteva il relativo avviso di accertamento, contestando il mancato assoggettamento ad imposta della plusvalenza non dichiarata generata dall’operazione.

Il contribuente, impugnato il provvedimento impositivo, risultava soccombente, quanto alla maggiore imposta dovuta, in entrambi i giudizi di merito.

Soltanto a partire dal giudizio di appello l’Amministrazione finanziaria contestava invece l’integrarsi, con l’operazione, di un abuso del diritto, insito nel fatto che il contribuente, così procedendo, aveva evitato l’imposizione all’atto della distribuzione dei dividendi, che aveva, in ogni caso, ottenuto indirettamente per il tramite del corrispettivo derivante dalla cessione delle partecipazioni, evitando allo stesso tempo la tassazione del capital gain derivante dal trasferimento di queste, a seguito dell’affrancamento del relativo valore fiscale.

Nonostante la tempistica (cessione delle azioni avvenuta due giorni prima della distribuzione dei dividendi) e le modalità di pagamento del corrispettivo (versamento in corrispondenza della distribuzione dei dividendi), i giudici della Suprema Corte hanno accolto i motivi del contribuente (violazione e falsa applicazione dell’articolo 37-bis, d.P.R. 600/1973, vigente ratione temporis), disponendo che l’operazione prospettata non risultasse abusiva, in quanto la ratio sottesa alla disciplina dell’affrancamento è proprio quella di consentire il conseguimento di vantaggi fiscali da parte del contribuente.

Inoltre, i Giudici di Legittimità, nel ribadire che il contribuente conserva la facoltà di libera scelta tra diverse operazioni alternative per perseguire una determinata finalità, asseriscono che la sussistenza dell’abuso del diritto vada ricercata in quei casi in cui il risparmio d’imposta è l’unico obiettivo concreto dell’operazione messa in atto.

Infine, come chiarito dalla Corte di Cassazione, non è ravvisabile in alcun modo l’ipotesi, caldeggiata invece dall’Amministrazione finanziaria, del “dividend washing”, che richiede il verificarsi di una doppia cessione delle partecipazioni sociali, con la restituzione dei titoli al primo cedente: nel caso di specie, infatti, non si è in presenza di un’operazione circolare, in quanto le azioni sono vendute effettivamente ed escono definitivamente dalla disponibilità del contribuente.

La Suprema Corte cassa, dunque, con rinvio alla Commissione tributaria regionale competente che, in diversa composizione, dovrà uniformarsi ai principi di diritto enunciati dalla stessa.

 

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