Nella costante ricerca di innovazioni in grado di sollecitare l’attenzione dei mercati e, soprattutto, della imponente liquidità incapace di ottenere un rendimento interessante, hanno registrato interesse negli ultimi tempi gli NFT, Non-Fungible Token; una tipologia speciale di “token crittografico” che rappresenta qualcosa di unico; i “gettoni non fungibili” non sono quindi reciprocamente intercambiabili, ma scambiabili con un loro prezzo/valore specifico.
Pur appartenendo all’ambito delle attività virtuali, questa caratteristica è in contrasto con la peculiarità delle criptovalute e di molti altri token di rete o di utilità, che sono per loro stessa natura fungibili e debbono a questa caratteristica l’interesse che suscitano. Questa considerazione è di rilievo perché ci costringe a rivalutare il concetto di asset intangibile ampliandone il contesto e richiede una classificazione al suo interno in merito alla rappresentatività di ciò che identifica l’intangibile sottostante che ne giustifica la virtuale esistenza. L’ossimoro ora descritto è certamente “figlio” della innovazione e della disabitudine tecnologica di molti di noi. Superando questa difficoltà, le due soluzioni relative alla fungibilità riproducono quella piena della moneta e quella tipica dei titoli di massa (le frazioni di emissioni obbligazionarie ed azionarie) e la natura non fungibile degli stessi titoli di massa emessi da emittenti diversi il cui scambio è caratterizzato da una lettura del valore intrinseco. Questo parallelo appare utile ed interessante in quanto le innaturali condizioni dei mercati tradizionali (immobiliare, azionario e del credito), la struttura non abituale dei tassi d’interesse e la non controllabilità dei fattori che pongono in crisi il ciclo economico (esogeni, sanitari e globali) alimentano l’interesse verso soluzioni completamente al di fuori (cioè veramente decorrelate). A fronte di questa lettura in positivo, sorgono le consuete perplessità in merito alla potenziale bolla “finanziaria” che potrebbe sorgere e al forte disallineamento informativo che caratterizza questa come molte altre innovazioni ultimamente proposte al mercato. In aggiunta, gli NFT appaiono anche una risposta alle prospettive di regolamentazione ed istituzionalizzazione (inverso ancora parziale) delle criptovalute (forse meglio inquadrate quali criptoasset).
I token non fungibili vengono utilizzati per creare scarsità digitale verificabile, proprietà digitale e/o possibilità di interoperabilità delle risorse su più piattaforme. Gli NFT vengono utilizzati in diverse applicazioni specifiche che richiedono oggetti digitali unici come cripto-art, oggetti da collezione digitali e – in un contesto diverso, qui tralasciato – giochi online.
Come in altri contesti, un’innovazione interessante o ormai trasversale è rappresentata dal controllo delle risorse contenute nel token, che è gestito dall’utente e non dall’emittente o da una sua parallela organizzazione. Ciò è il contenuto della natura peer-to-peer che ci obbliga a riconsiderare il ruolo della intermediazione quale elemento costoso e ora potenzialmente superabile in molti rapporti, con tutti i rischi legati peraltro al pesante disallineamento che condiziona molti dei potenziali interlocutori interessanti alle proposte di investimento. L’intermediazione conserva il suo ruolo se offre un servizio di valore, non se è solo una riserva di operatività, protetta dalla normativa e dalla consuetudine e generatrice di un costo che condiziona prezzi finali fortemente riducibili.
L’area degli investimenti legati all’arte ed in generale alle creazioni dell’ingegno, ad esempio, è stata uno dei primi casi d’utilizzo per NFT, e blockchain in generale, grazie alla capacità di questi strumenti di fornire prove di autenticità e di proprietà dell’arte digitale che, altrimenti, avrebbe dovuto affrontare il temuto confronto con il potenziale della riproduzione di massa e di distribuzione non autorizzata di beni artistici attraverso Internet ad una popolazione non in grado di valutarne autenticità e rappresentazione del valore. Anche in questo caso, nessuna novità disruptive rispetto alla certificazione tradizionale offerta su beni da collezione dai migliori mercanti e da periti esperti; l’aspetto innovativo è costituito dalla maggiore sicurezza offerta dall’attachment virtuale della prova di autenticità rispetto all’esistenza cartacea di un documento separato e, soprattutto oggi, riproducibile, modificabile e falsificabile.
Il NFT è pertanto un contenitore disponibile per contenere un bene di qualsiasi natura, fisica e non, che consente di proteggerlo, identificarlo e rendere tutto ciò opponibile a terzi. Questi elementi ne favoriscono la determinazione di un valore che, tuttavia non costituisce una certezza se non all’atto della transazione fra le due parti consenzienti.
Inoltre, troppa liquidità in circolazione cerca una collocazione idonea, qualunque essa sia. Qualcosa, peraltro, il cui proprietario non potrà mai neanche toccare e di cui ha visto e vedrà soltanto una immagine, e il suo certificato di proprietà, rappresentato dalla doppia chiave dell’indirizzo della blockchain. Si tratta sempre dello stesso desiderio che il collezionista cerca di soddisfare, possedere qualche cosa di unico ed irripetibile.
Lo stadio dell’innovazione è ancora iniziale e, soprattutto, condizionato dallo scenario attuale. La resilienza della nuova offerta dovrà essere verificata quando le condizioni dei mercati tradizionali dovessero ritornare più distese. Ulteriormente, saranno inevitabili forme di regolamentazione, tutela verso abusi delle opportunità ed individuazione corretta dei destinatari finali migliori target possibili dell’offerta di queste soluzioni.