Con sentenza n. 4519/2016, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento ormai consolidato secondo il quale il contratto traslativo della quota di partecipazione sociale, ai fini della sua validità, non è soggetto agli oneri di forma di cui all’art. 1350 c.c. – che prevede, in caso di difetto degli stessi, la nullità del contratto – data la mancanza di ogni tipo di pretesa reale da parte del socio sui beni della società. Infatti, la compravendita di una quota sociale determina l’esclusivo trasferimento di diritti e obblighi afferenti la qualità di socio, non anche la cessione del patrimonio sociale che, rientrando nella sfera giuridica della società, è separato ed estraneo alla cessione delle quote.
Nel caso di specie la Suprema Corte era tenuta, inter alia, a pronunciarsi sulla validità ed efficacia della cessione di una quota di società in nome collettivo – avvenuta tramite promessa unilaterale di trasferimento – della quale veniva lamentata la mancanza della forma scritta. Sul punto, gli ermellini chiariscono che “ai fini della validità della cessione di quota sociale non sono previsti requisiti di forma, neppure nell’ipotesi in cui il patrimonio sia costituito da beni immobili”.
Già in passato[1] la Corte ha avuto modo di chiarire che la cessione di quota di società con patrimonio immobiliare non richiede la forma scritta ai fini della sua validità in quanto la stessa non comporta un trasferimento, da parte del cedente in favore del cessionario, dei diritti immobiliari che, piuttosto, restano in capo alla società stessa, non essendo quest’ultima parte del negozio di cessione.
Attraverso il conferimento, il diritto sul bene conferito viene sostituito con la titolarità della quota sociale e i beni oggetto di conferimento, compresi quelli immobili, entrano nel patrimonio e nell’esclusiva titolarità della società, da considerarsi come centro di imputazione di situazioni giuridiche distinto e autonomo rispetto a quello delle persone fisiche componenti la compagine sociale della stessa. Più precisamente, la sottoscrizione del contratto sociale attribuisce all’ente la qualità di soggetto di diritto, diverso e terzo rispetto ai soci, il cui patrimonio è assoggettato a un vincolo di destinazione che, perciò, dovrà essere utilizzato per il perseguimento degli scopi prefissati dalla società.
[1] Vedi anche Cassazione civile, sez. I, 10/05/2010, (ud. 07/04/2010, dep.10/05/2010), n. 11314 e Cassazione civile, sez. I, 28/02/1998, n. 2252.