Con la sentenza in commento la Cassazione ha statuito, per la prima volta e nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: “il provvedimento con cui il tribunale, in sede di ammissione al concordato preventivo, neghi la natura prededucibile al credito del professionista che ha attestato la fattibilità della proposta di concordato non è ricorribile in cassazione ai sensi dell’art. 11 cost. perché privo dei requisiti di decisorietà e di definitività”.
La questione dei rimedi esperibili avverso il decreto del tribunale che, ammettendo l’impresa alla procedura di concordato preventivo, neghi o non si pronunci sulla natura prededucibile del credito dell’attestatore, non ha precedenti nella giurisprudenza di legittimità, ed è questione che continua ad avere rilievo pur dopo l’abrogazione, con il d.l. 83/2012, dell’art. 182-quater, co. 4,l. fall. che richiedeva un’espressa statuizione sul punto nel provvedimento di accoglimento della domanda di concordato preventivo o di omologa dell’accordo ex art. 182-bis l. fall.
La Suprema Corte ritiene che il provvedimento di apertura della procedura abbia “natura solo ordinatoria”, dunque, non decisoria, e sia “privo del carattere di definitività”, avendo il solo fine di delibare in ordine alle condizioni di ammissibilità alla procedura di concordato e potendo, per questo, essere rimesso in discussione in sede di omologazione o in caso di successivo fallimento.
Riconosce, invece, carattere decisorio, ancorché non definitivo, al decreto di omologazione del concordato preventivo in quanto “emesso all’esito di un procedimento di natura contenziosa”; lo stesso decreto è reclamabile solo ex art. 183, co. 1, l. fall., ed il provvedimento della corte d’appello conclusivo del relativo giudizio di reclamo sarà, in quanto definitivo, ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.