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Attualità

Non sanzionabili gli utilizzi di crediti Iva inesistenti, ma già recuperati per infedele dichiarazione

17 Maggio 2018

Daniele Canè, Dottore di ricerca in diritto tributario, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Di cosa si parla in questo articolo

1. La risoluzione n. 36/E dell’8 maggio 2018 (cfr. contenuti correlati) afferma la non applicabilità della sanzione per indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, la cui illegittima detrazione e falsa dichiarazione siano già state sanzionate ai sensi degli articoli 6, comma 5, e 6, comma 4, d.lgs. 471/97.

Il risultato è che le compensazioni di crediti ab origine inesistenti, ma già recuperati per illegittima detrazione e infedele dichiarazione, sono da considerarsi legittime e non sanzionabili ai sensi dell’art. 13, comma 5, d.lgs. 471/97.

2. Il quesito, posto da una Direzione Regionale, sembra riguardare il caso di utilizzo in compensazione di crediti Iva, derivanti da fatture inesistenti, esposti in dichiarazioni relative a periodi di imposta precedenti quello in cui avviene la compensazione; crediti già recuperati, siccome inesistenti, con applicazione della sanzione per illegittima detrazione e infedele dichiarazione. Il dubbio riguardava l’autonoma sanzionabilità, ai sensi dell’art. 13, comma 5, proprio dell’utilizzo in compensazione di questi crediti, fatto in periodi d’imposta successivi a quello della dichiarazione.

Per giungere alla – condivisibile – conclusione che i crediti inesistenti, ma già “pagati”, non possono essere nuovamente recuperati e sanzionati anche quando sono successivamente utilizzati in compensazione, la Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate distingue tra fattispecie che legittimano l’esercizio di poteri ordinari (l’illegittima detrazione e l’infedele dichiarazione di un credito inesistente) e fattispecie che legittimano l’esercizio di poteri di accertamento speciali (la compensazione di crediti inesistenti).

In particolare, ricorda che la sanzione per compensazione di crediti inesistenti, di cui all’art. 13, comma 5, concerne casi in cui l’inesistenza del credito non è riscontrabile in base alle dichiarazioni presentate e al semplice raffronto con i modelli di versamento utilizzati per la compensazione, ma solo a seguito di specifici controlli di coerenza contabile tra questi e le dichiarazioni. Sono situazioni in cui il credito è “creato artatamente” per essere utilizzato in compensazione. Per questi casi, è prevista una procedura specifica di accertamento, soggetta a termini di decadenza propri e più estesi di quelli ordinari (8 anni), e la notifica di un apposito atto per il recupero del credito inesistente (art. 1, comma 421, legge 30 dicembre 2004, n. 311).

Quando, invece, l’Ufficio rettifica le dichiarazioni recanti i crediti inesistenti, e si avvale degli atti tipici e delle procedure previsti dal D.P.R. 600/73, deve applicare le sole sanzioni per illegittima detrazione e infedele dichiarazione; e non può sanzionare autonomamente, come indebita compensazione, anche gli utilizzi di quegli stessi crediti medio tempore intervenuti. Si evita così, tra l’altro, di obbligare gli Uffici all’emissione degli atti di recupero.

3. Se così non fosse – adduce la Direzione Centrale – la medesima violazione sarebbe punita due volte: prima, per contabilizzazione di fatture inesistenti, illegittima detrazione ed infedele dichiarazione del relativo credito (inesistente); poi, per illegittimo utilizzo di quel credito. Mentre – si continua – la sanzione per infedele dichiarazione assorbe anche quella per indebita compensazione.

E’ però dubbio che l’esposizione in dichiarazione di un credito inesistente, l’illegittima detrazione e la sua successiva compensazione costituiscano una “medesima violazione”, essendo punite autonomamente. Sembra, invece, che, una volta “recuperato” con la rettifica della detrazione e della dichiarazione, il credito esista giuridicamente e possa quindi essere utilizzato (anche) in compensazione, senza sanzioni. Lo esige il principio di neutralità dell’imposta.

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