La sentenza del Tribunale di Torino si segnala, in special modo, per l’importanza del significato normativo che essa dà alla nullità di protezione del cliente – che, in quanto tale, opera solo a vantaggio di questi – di cui all’art. 127 TUB. Nella specie, il documento contrattuale contemplava solo l’eventualità dello scoperto, di cui pure regolava il tasso; di fatto, tuttavia, la banca aveva concesso un’apertura di credito, la cui esistenza e i cui tassi risultavano – come sempre, o quasi, accade – dagli scalari. La banca voleva applicare al rapporto di fatto i tassi previsti per lo scoperto e impedire al cliente di ricorrere agli scalari. Correttamente, il giudice ritiene di non potere rilevare d’ufficio la nullità per mancanza di forma scritta perché ciò significherebbe “applicare in danno del cliente un limite probatorio previsto per il solo caso dei contratti formali”.
Un altro punto interessante della pronuncia in questione sta nella statuizione, secondo cui – nonostante la contraria previsione delle Istruzioni della Banca d’Italia, non autorizzate a derogare all’art. 644 c.p. e comunque operanti sul diverso piano della rilevazione del TEGM – la commissione di massimo scoperto deve essere considerata onere rilevante ai fini del riscontro di usurarietà della fattispecie concreta anche prima dell’entrata in vigore della legge n. 2/2009. Non è per contro manifestamente illegittimo, e non può quindi essere disapplicato, – afferma ancora la sentenza – il metodo di calcolo del TEGM previsto al riguardo dalle Istruzioni della Banca d’Italia.
Allineata sull’orientamento maggioritario (ma non indiscusso) in letteratura è infine l’affermazione per cui, nel caso di usura sopravvenuta, il tasso deve essere riportato non al tasso legale o al TEGM, bensì al tasso sogli corrente nel periodo.