1. Premessa
Con il Principio di diritto n. 4 del 09 febbraio 2021, l’Agenzia delle entrate è tornata nuovamente ad esprimersi sui presupposti in presenza dei quali è possibile emettere una nota di variazione ai fini IVA nell’ambito delle procedure concorsuali.
Con l’anzidetto Principio di diritto, l’Amministrazione finanziaria ha, infatti, fornito taluni chiarimenti circa il momento a partire dal quale il creditore ammesso alla procedura di concordato preventivo in continuità con terzo assuntore (nel quale viene prevista la prosecuzione dell’attività ed il soddisfacimento dei creditori attraverso l’attribuzione delle attività ad un soggetto terzo, con contestuale liberazione del debitore originario) possa procedere all’emissione della nota di variazione in diminuzione IVA.
Più in particolare, nell’ambito della menzionata procedura, disciplinata dall’articolo 160, comma 1, lettera b), della Legge Fallimentare, il creditore può emettere la nota di variazione di cui all’articolo 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 nei confronti del debitore originario a seguito dell’intervenuta definitività del decreto di omologa del concordato. Secondo l’impostazione dell’Agenzia delle entrate, da tale momento, infatti, il credito “falcidiato” potrebbe considerarsi irrecuperabile giacché il creditore non potrebbe promuovere istanza di fallimento del debitore originario nell’eventualità in cui l’assuntore non adempia all’obbligazione concordataria.
Il principio in commento offre taluni elementi di novità rispetto a quanto in precedenza già chiarito da parte dell’Amministrazione finanziaria in relazione alle ipotesi di concordato preventivo.
2. Le condizioni generali per l’emissione della nota di variazione IVA nelle procedure concorsuali
L’Agenzia delle entrate, infatti, ha più volte affrontato, nei propri documenti di prassi, il tema relativo alle condizioni necessarie all’emissione della nota di variazione IVA di cui all'articolo 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 nell’ambito delle diverse procedure concorsuali (cfr., inter alia, Circolare n. 77/E del 17 aprile 2000 e n. 8/E del 7 aprile 2017; Risposta ad Interpello n. 33/E del 7 febbraio 2020).
A tal riguardo, con la Circolare n. 77/E del 17 aprile 2000, l’Agenzia delle entrate ha puntualizzato come la circostanza del mancato pagamento di importi fatturati venga giuridicamente ad esistenza “allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell'attivo”.
A tale intervento di prassi si sono aggiunti nel tempo ulteriori pronunce sul punto. Da ultimo vale menzionare la Risposta ad Interpello n. 178/E del 3 giugno 2019, mediante la quale l’Amministrazione finanziaria ha precisato che nel caso di infruttuosità della procedura a carico del debitore, la facoltà posta in capo al creditore di emettere note di variazione è subordinata alla circostanza che questi abbia preso parte alla procedura ovvero, nel caso di fallimento, si sia insinuato nel passivo fallimentare.
I summenzionati chiarimenti concorrono a definire, dunque, come la procedura di cui all’art. 26, comma 2, del D.P.R. 633/1972 postuli una duplice condizione legata, da un lato, alla necessaria partecipazione del creditore al concorso e, dall’altro, alla “infruttuosità” delle procedure esecutive individuali o concorsuali, e non al mero avvio delle stesse.
3. La condizione di infruttuosità del credito nei concordati preventivi con terzo assuntore
Il Principio di diritto in commento, quindi, si pone in linea di continuità con le precedenti posizioni assunte dall’Agenzia delle Entrate, con la peculiarità, però, che le regole generali sinora espresse in materia risultano ulteriormente specificate in relazione alla procedura di concordato in continuità con terzo assuntore.
Nei concordati preventivi (che non prevedono la contestuale assunzione degli asset e delle liabilities della procedura da parte di un terzo), infatti, secondo le indicazioni fornite nelle citate Circolari nn. 77/E/2000 e 8/E/2017, la condizione di infruttuosità si realizzerebbe non solo al momento delle definitività del decreto di omologazione del concordato che è atto conclusivo dello stesso ai sensi dell’art. 181 della Legge Fallimentare, “ma anche al momento in cui il debitore adempie gli obblighi assunti nel concordato stesso”. Questo poiché il mancato adempimento degli obblighi assunti potrebbe condurre ad una dichiarazione di fallimento del debitore, in presenza della quale la nota di variazione potrebbe essere emessa solo dopo che il piano di riparto dell'attivo sia divenuto definitivo ovvero, in sua assenza, dopo la scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento.
Con il documento in commento si chiarisce, però, che tale ultima considerazione non può trovare applicazione nei concordati in continuità con terzo assuntore. A ben vedere, infatti, nelle procedure come quella di cui si discute, il terzo acquista gli attivi della procedura subentrando, al contempo, nelle singole posizioni debitorie. Dalla condizione di terzietà dell’assuntore rispetto alle vicende sottese all’emissione della fattura originaria deriva l'impossibilità per quest’ultimo di essere destinatario delle note di variazione in diminuzione IVA, sia con riferimento alle somme falcidiate (da destinare al debitore originario), sia in relazione alle passività oggetto di accollo, e per le quali, in caso di fallimento, il creditore potrebbe essersi insinuato.
In considerazione della liberazione dell’originario debitore dall’adempimento degli obblighi concordatari, quindi, l’Agenzia delle entrate individua il momento realizzativo della condizione di infruttuosità nell’ambito di tale peculiare procedura all’atto della definitività del decreto di omologa del concordato poiché, come anticipato, il creditore non potrebbe promuovere istanza di fallimento del debitore originario nel caso in cui l'assuntore non adempia regolarmente all'obbligazione concordataria.
Infine, l’Agenzia delle entrate ha chiarito anche le modalità di recupero dell’IVA relativa al debito concordatario non corrisposto dall’assuntore fallito. In tale ipotesi, infatti, il creditore – non potendo emettere note di variazione nei confronti dell’assuntore – può presentare istanza di rimborso ai sensi dell’art. 30-ter, comma 1, del D.P.R. 633/1972, vale a dire entro il termine biennale decorrente dalla data di definitività del piano di riparto dell’attivo fallimentare (del terzo assuntore), ovvero, in sua assenza, dalla data di chiusura della procedura fallimentare dell’assuntore.
4. Eccessiva formalità dei limiti imposti all’emissione della nota di variazione in diminuzione rispetto ai princìpi espressi dalla giurisprudenza
Da ultimo, è necessario evidenziare che il Principio di diritto qui in commento ripropone un approccio formalistico che non parrebbe essere pienamente coerente con le indicazioni rese tanto dalla Corte di Giustizia UE quanto, da ultimo, dalla Corte di Cassazione.
Difatti, la Corte di Giustizia – prendendo le mosse dall’art. 90 della Direttiva IVA – ha chiarito (cfr. sentenza dell'11 giugno 2020 – causa 146/19) che la normativa nazionale degli Stati Membri dovrebbe permettere la riduzione della base imponibile qualora il soggetto passivo dimostri che il credito da lui vantato sia divenuto definitivamente irrecuperabile. Tale circostanza si verificherebbe, tra l’altro, anche nel caso in cui il creditore abbia omesso di insinuarsi al passivo del fallimento instaurato nei confronti del debitore. Difatti, conseguenza immediata della mancata partecipazione alla procedura è la riduzione definitiva della base imponibile IVA che legittima per ciò solo l’emissione della nota di variazione ai fini IVA.
A tal proposito, la Corte di Giustizia ha individuato il criterio guida a cui gli Stati Membri devono ispirarsi nel fissare le condizioni per l’emissione della nota di variazione. Nello specifico, dopo aver ribadito il margine di discrezionalità all’uopo previsto per gli Stati Membri, i giudici unionali, al fine di tutelare il principio di neutralità dell’IVA, hanno comunque ribadito che le limitazioni all’esercizio del diritto alla riduzione della base imponibile poste in capo ai soggetti passivi dovrebbero presentare il carattere della necessarietà rispetto alla finalità che queste intendono raggiungere, nel rispetto del fondamentale principio di proporzionalità.
Allo stesso modo, con la sentenza n. 25896 del 16 novembre 2020, la Suprema Corte di Cassazione, uniformandosi alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria, ha ritenuto ammissibile l’emissione anticipata della nota di variazione IVA rispetto alla conclusione della procedura fallimentare, ritenendo sufficiente che il cedente/prestatore abbia fornito prova della ragionevole probabilità che il debito divenga definitivamente irrecuperabile.
Conclusivamente, le indicazioni desumibili dalla più recente giurisprudenza comunitaria e di legittimità sembrerebbero suggerire una posizione meno formale di quella adottatadall’Agenzia delle entrate, al fine di garantire, con un approccio maggiormente sostanzialistico, il principio di neutralità dell’IVA.