Sommario: 1. Premessa. 2. La presunta nullità della clausola che contempla l’utilizzo dell’Euribor come parametro per la determinazione dei tassi di interessi dei mutui: A) la “indeterminatezza ed indeterminabilità oggettiva dell’oggetto della clausola”. 3. Segue: B) la contrarietà a norme imperative. 4. Le questioni connesse alla violazione della normativa antitrust: l’azione di restituzione, l’azione di risarcimento e la decorrenza della prescrizione. 5. Parallello con la tematica relativa alla presunta nullità delle fideiussioni omnibus. Cenni. 6. Conclusioni.
1. Premessa
E’ noto il dibattito che, in dottrina e giurisprudenza, ha fatto seguito alle decisioni della Commissione Europea del 4 dicembre 2013 e del 7 dicembre 2016 (caso AT 39914).
Con tali decisioni la Commissione Europea ha accertato l’esistenza di un cartello, ritenuto illegittimo, tra diverse banche europee, cartello avente per oggetto la manipolazione del tasso Euribor nel periodo 2005-2008.
Da qui l’insorgere di un ampio contenzioso, tutt’ora vivo, tra clienti e istituti di credito, relativo ai contratti di finanziamento con tasso variabile contenenti clausola contemplante quale parametro per la determinazione del tasso variabile, per l’appunto, l’Euribor.
In tale contenzioso le doglianze mosse dai clienti alle banche hanno riguardato, e riguardano, la presunta nullità di tale tipologia di clausola, e ciò per indeterminatezza dell’oggetto e contrarietà alla normativa antitrust, in particolare, all’art. 2 della legge n. 287/1990 (che, come noto, vieta, comminandone la nullità, “le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti”, tra l’altro “nel “fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”)[1].
In questo dibattito si inserisce una decisione del Tribunale di Ancona del 18 agosto 2020 n. 1056 (pubblicata su questa Rivista) che ha dichiarato la nullità di alcuni contratti di mutuo bancario, stipulati nel periodo 2005-2008 “in quanto tutti ricadenti nel periodo di cui alla pronuncia dell’Autorità Antitrust del 04.12.2013”.
Tale sentenza affronta in modo articolato diverse questioni, su alcune delle quali ci soffermeremo in questo articolo, dando uno sguardo (anche) a pressoché coeva (ovvero successiva) giurisprudenza che si è pronunciata sulle medesime tematiche.
2. La presunta nullità della clausola che contempla l’utilizzo dell’Euribor come parametro per la determinazione dei tassi di interessi dei mutui: A) la “indeterminatezza ed indeterminabilità oggettiva dell’oggetto della clausola”
1. Il punto di maggior interesse della sentenza del Tribunale di Ancona è costituito dal passaggio – che è poi la premessa maggiore della decisione – in cui si afferma che, “a prescindere dal fatto che la specifica controparte contrattuale abbia o meno preso parte all’accordo distorsivo, la manipolazione del tasso influenza in ogni caso il tasso convenzionale applicato nel corso del rapporto, rendendolo nullo, per il periodo in cui la indebita alterazione di esso (avvenuta in forza della relativa clausola contrattuale, come eterointegrata in modo illecito) ha avuto applicazione”.
Secondo il Tribunale, tale nullità discenderebbe:
a) “sia dalla indeterminatezza ed indeterminabilità oggettiva dell’oggetto della clausola relativa al tasso Euribor nel periodo di intervenuta alterazione dei criteri di calcolo del medesimo, ex artt. 1346 e 1418, comma 2°, cod. civ.”;
b) sia dalla “intervenuta violazione – nella applicazione del tasso di interesse così alterato – delle norme imperative impositive del divieto degli accordi e delle intese di cui agli artt. 2 l. n. 287/1990, 101 TFUE e 53 EEA: sicché l’utente può agire per la dichiarazione di nullità della clausola contrattuale e per la ripetizione delle somme, e può farlo anche laddove la controparte contrattuale non abbia preso parte alla manipolazione del parametro Euribor, restando esclusa, in tal caso, l’azione per il risarcimento del danno anticoncorrenziale, che può essere proposta esclusivamente contro gli autori della violazione antitrust”.
2. La decisione del Tribunale di Ancona suscita perplessità in particolare laddove afferma la nullità della clausola anche nei casi in cui la banca non abbia partecipato, ovvero non vi sia prova che abbia partecipato, alla presunta intesa illecita.
Ed invero, quanto all’argomento secondo cui la clausola sarebbe indeterminata perché nel periodo 2005-2008 il tasso sarebbe stato alterato attraverso un’intesa concorrenziale illecita, si può obiettare quanto segue.
Anzitutto il fatto che il tasso fosse stato oggetto di alterazione in forza di un’intesa illecita non comporta che esso non esistesse e che pertanto l’oggetto della clausola fosse indeterminato o indeterminabile[2].
Infatti, come osservato da altra giurisprudenza, la questione dell’asserita manipolazione del tasso non riguarda “la determinatezza del tasso; requisito che sussisterebbe in ogni caso poiché il cliente può conoscere l’evoluzione del tasso, essendo un dato conosciuto, conoscibile e pubblicizzato pur in mancanza di un organo terzo che vi sovrintenda” (cfr. Trib. Catania, 11 luglio 2018, in questa Rivista).
In particolare, proprio di recente, e anche successivamente alla decisione in commento, si è affermato, che:
a) “non sembra potersi condividere la tesi, pur sostenuta in alcuni precedenti di merito, di una nullità per indeterminatezza dell’oggetto che, seppur in tesi frutto di una pratica anticoncorrenziale è sicuramente determinato e determinabile” (cfr. Tribunale di Perugia, 2 ottobre 2020, in questa Rivista; Trib. Catania, 14 ottobre 2020, in questa Rivista. Cfr. Anche Tribunale di Roma, 7 maggio 2020, in questa Rivista);
b) “benché l’entità di tale indice, soggetto a continue variazioni, sia influenzato in maniera determinante dal comportamento del sistema bancario, trattasi comunque di un indice medio, calcolato e diffuso giornalmente dalla Federazione delle banche europee sulla base del comportamento adottato dalle principali banche europee ed internazionali in relazione alle variazioni del tasso ufficiale BCE e dunque sulla scorta di dati che si assumono oggettivi” (Trib. Cassino, 22 ottobre 2020, in questa Rivista).
Al riguardo la giurisprudenza ora citata ha – ad avviso di chi scrive, correttamente – osservato che:
a) “nel contratto di mutuo è irrilevante la mancata indicazione in contratto del coefficiente del divisore Euribor per cui non si determina alcuna violazione degli articoli 1345, 1418 e 1284 del Codice Civile” mentre “il requisito della pattuizione scritta degli interessi ultralegali, prescritta dall’art. 1284 cod. civ., viene ritenuto soddisfatto anche “per relationem” non essendo necessario che il documento contrattuale contenga l’indicazione in cifre del tasso d’interesse pattuito” (Trib. Catania, 14 ottobre 2020, cit.);
b) il tasso di interesse non può “considerarsi indeterminato” laddove “gli interessi corrispettivi” siano “fissati con rinvio per relationem al tasso Euribor a tre mesi, che costituisce un indice determinabile in modo costante, sulla base di un articolato procedimento di rilevazione (…) e certamente sottratto a qualsiasi rischio di determinazione unilaterale a cura della sola banca” (Trib. Catania, 14 ottobre 2020 cit., che richiama sul punto la sentenza del Tribunale di Milano del 24 giugno 2016, n. 7884/2016[3]);
c) in altre parole, l’Euribor rappresenta comunque “un indice medio, calcolato e diffuso giornalmente dalla Federazione delle banche europee sulla base del comportamento adottato dalle principali banche europee e internazionali in relazione alle variazioni del tasso ufficiale BCE e dunque sulla scorta di dati che si assumono oggettivi” (Trib. Roma, 13 ottobre 2020, cit.).
3. Segue: B) la contrarietà a norme imperative
In merito all’argomento secondo cui la nullità deriverebbe, anche laddove la banca mutuante non abbia preso parte all’intesa illecita, per “violazione – nella applicazione del tasso di interesse così alterato – delle norme imperative impositive del divieto degli accordi e delle intese di cui agli artt. 2 l. n. 287/1990, 101 TFUE e 53 EEA”, si può osservare quanto segue.
Anzitutto va ricordato che, con la nota sentenza n. 2207 del 20 febbraio 2005, le Sezioni Unite della Cassazione (poi ripresa anche da Cass., 26 settembre 2019, n. 24044) avevano già evidenziato:
a) la differenza tra accordi a monte, ossia le intese anticoncorrenziali nulle per violazione della normativa antitrust, e i contratti a valle, che rappresentino lo “sbocco” dell’intesa illecita a monte;
b) che dall’eventuale di nullità dell’intesa a monte non deriva in modo automatico la nullità di tutti i contratti stipulati stipulati a valle; infatti, precisano le Sezioni Unite, deve comunque “essere allegata un’intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità, ed altresì il suo effetto pregiudizievole, il quale rappresenta l’interesse ad agire dell’attore secondo i principi del processo, da togliere attraverso il risarcimento”.
Anche sulla base di queste premesse, la giurisprudenza ha così argomentato a confutazione della tesi dell’asserita nullità delle clausole Euribor per asserita contrarietà alla normativa antitrust:
a) “la sanzione della nullità” prevista dalla normativa antitrust riguarda (…). esclusivamente le intese tra le imprese restrittive della libertà di concorrenza … e non si applica, invece, ai contratti … conclus(i) con terzi … sulla base di dette intese (Tribunale di Milano nn. 9708 e 9709 del 27 settembre 2017” (Trib. Roma, 7 maggio 2020, cit.);
b) in particolare “destinatari diretti delle norme antimonopolistiche asseritamente violate sono solo gli imprenditori commerciali del settore di riferimento e non anche i singoli utenti, i quali potrebbero trarre vantaggio in fatto, solo in via riflessa ed indiretta, dai generali benefici della libera concorrenza di mercato, ma non possono ritenersi direttamente investiti della legittimazione a dolersi di asserite violazioni perpetrate da un gruppo di imprese bancarie” (Trib. Roma, 13 ottobre 2020, cit.);
c) “inoltre, “poiché il diritto comunitario e quello nazionale nulla dispongono in ordine agli effetti dell’illecito anticoncorrenziale sui contratti conclusi dalle imprese con i clienti, il giudice può applicare ad essi solo le sanzioni eventualmente previste dal diritto interno” e, “al riguardo, l’ordinamento interno non prevede alcuna sanzione di nullità delle clausole di richiamo dell’indice Euribor” (cfr. Trib. Roma, 13 ottobre 2020, cit.);
d) in particolare, non “si rinviene alcuna violazione di norme imperative nelle citate clausole c.d. floor, né una rilevante asimmetria tra le posizioni dei contraenti a sfavore della mutuataria, trattandosi di pattuizioni che valgono a determinare la misura degli interessi corrispettivi con modalità chiare e determinate, senza apportare alla banca alcun irragionevole svantaggio” (cfr. Trib. Roma, 13 ottobre 2020 cit.); infatti “la previsione di una clausola di tasso “floor” non fa assumere automaticamente al contratto cui accede la natura di strumento finanziario, né può fondatamente ritenersi che la pattuizione di interessi “minimi” da corrispondersi da parte del mutuatario al mutuante, quale accessorio dell’obbligo di restituzione e remunerazione per la cessione del capitale, snaturi l’essenza del contratto mutandone la natura da contratto reale avente causa finanziamento a strumento finanziario” (cfr. Trib. Roma, 13 ottobre 2020 cit.).
4. Le questioni connesse alla violazione della normativa antitrust: l’azione di restituzione, l’azione di risarcimento e la decorrenza della prescrizione
1. – Tanto premesso, anche in un’ottica di gestione del contenzioso, conviene qui accennare alle principali tematiche connesse alla violazione della normativa antitrust, ovvero alle azioni eventualmente esperibili dal cliente, in via accessoria ovvero autonoma, e alla loro prescrittibilità.
Le azioni che il cliente potrebbe esperire nei confronti della Banca sono – astrattamente:
a) l’azione restitutoria, avente per oggetto la ripetizione di quanto eventualmente versato indebitamente in forza della clausola in ipotesi nulla;
b) l’azione risarcitoria per violazione della normativa antitrust.
2. – Quanto all’azione restitutoria, va considerato che:
a) tale azione è ancorata a un presupposto oggettivo, rappresentato dal presunto carattere indebito di un pagamento in relazione all’eventuale nullità della clausola;
b) ne segue che il tema della prescrizione è, di regola, di agevole soluzione: il dies a quo decorre dalla data del pagamento in ipotesi indebito, irrilevanti essendo le vicende che hanno condotto al provvedimento sanzionatorio, così come il relativo procedimento, che – si deve ritenere – hanno natura meramente accertativa;
c) infatti, secondo la giurisprudenza, “l’accertata nullità del negozio giuridico, in esecuzione del quale sia stato eseguito un pagamento, dà luogo ad un’azione di ripetizione di indebito oggettivo, volta ad ottenere la condanna alla restituzione della prestazione eseguita in adempimento del negozio nullo, il cui termine di prescrizione inizia a decorrere (…) dalla data (…) del pagamento stesso” (Cass., 15 luglio 2011, n. 15669. Cfr. anche Cass., 19 aprile 2016, n.7749).
Occorre peraltro considerare il principio affermato dalla giurisprudenza secondo cui, in tema di mutuo, “la prescrizione del diritto al rimborso della somma mutuata inizia a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata, atteso che il pagamento dei ratei configura un’obbligazione unica ed il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata” (Cass., 30 agosto 2011, n. 17798).
3. – Per quanto riguarda, invece, l’azione risarcitoria, laddove ne sussistano i presupposti, il discorso è più complesso.
Occorre premettere che naturalmente, come precisa anche la sentenza del Tribunale di Ancona, “l’azione per il risarcimento del danno anticoncorrenziale (…) può essere proposta esclusivamente contro gli autori della violazione antitrust”.
Ciò premesso, tale azione risarcitoria si fonderebbe in ipotesi sull’art. 33, comma 2, l. n. 287/1990[4]e sull’art. 8 d.lgs n. 3/2017[5], con cui è stata attuata la Direttiva 2014.
Al riguardo va anzitutto considerato che, anche alla luce del contenuto dell’art. 8 del d.lgs n. 3/2018, su cui torneremo tra breve, l’azione deve ritenersi avere natura extracontrattuale con conseguente applicazione del termine di prescrizione quinquennale (il che non esclude che, ricorrendone, le condizioni, l’azione possa in ipotesi cumularsi con quella contrattuale da eventuale inadempimento della banca).
4. – Orbene, la Cassazione, nell’ambito di una vertenza riguardante i servizi di telefonia, con una sentenza dello scorso aprile, ha anzitutto rilevato che, “per effetto della suddetta disciplina (…) è stato espressamente previsto che: a) il termine di prescrizione è di cinque anni per il diritto risarcimento del danno; b) il dies a quo di decorrenza del termine va individuato nel momento in cui intervenga la conoscenza o la ragionevole presunzione di conoscenza della violazione antitrust fonte di un danno e dell’identità dell’autore della violazione; c) il termine di prescrizione non inizia a decorrere prima che la violazione sia cessata; d) la prescrizione rimane sospesa durante l’indagine o istruttoria antitrustavviata dall’Autorità Garante in relazione alla violazione del diritto della concorrenza cui si riferisce l’azione risarcitoria e si protrae per un anno dal momento della decisione sulla violazione definitiva o dal momento di chiusura del procedimento in altro modo”.
Così riepilogata la disciplina, la Cassazione ha rilevato che:
a) “le disposizioni a) e b) recepiscono un consolidato orientamento anche di questo giudice di legittimità (Cass. 2007/2305)” mentre “quelle sub c) e d) hanno carattere innovativo”;
b) “le norme di natura sostanziale, quali quelle sulla prescrizione, non sono retroattive, ex art. 11 preleggi, salvo che non sia disposto il contrario”;
c) né la Direttiva né il d.lgs n. 3/2017 dispongono nulla al riguardo; ne consegue che, in relazione a illeciti anticoncorrenziali anteriori all’entrata in vigore della norma, non trova applicazione la disciplina sulla sospensione di cui ai precedenti punti c) e d) (cfr. Cass., 3 aprile 2020, n. 7677).
Nella fattispecie oggetto della vertenza la Cassazione aveva accertato che era corretta la decisione impugnata della Corte d’Appello di Milano, la quale aveva ritenuto che la norma non avesse efficacia retroattiva.
5. – Il punto ulteriore oggetto di esame da parte della sentenza della Cassazione del 3 aprile 2020 riguardava però il dies a quo di decorrenza della prescrizione, individuato dalla Corte d’Appello di Milano“nel momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente conoscibile, e quindi, nella specie, nel momento dell’avvio dell’istruttoria da parte dell’AGCM” (cfr. Cass., 3 aprile 2020, n. 7677).
Al riguardo la Cassazione ha affermato che, con specifico riferimento alla materia antitrust, “il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione nell’azione risarcitoria, ai sensi degli artt. 2947 e 2935 c.c., va individuato nel momento in cui il titolare sia adeguatamente informato, o si possa pretendere, ragionevolmente e secondo l’ordinaria diligenza, che lo sia, non solo dell’altrui violazione ma anche dell’esistenza di un possibile danno ingiusto, così da consentirgli di esercitare il diritto”.
Precisa la Cassazione che “la valutazione va condotta caso per caso, in relazione al grado di competenza e di effettiva conoscibilità proprio del soggetto danneggiato, accertando in quale momento esso abbia avuto sufficiente ed adeguata informazione quanto alla sussistenza dell’illecito lamentato in tema di tutela della concorrenza”.
Peraltro, “nell’ipotesi in cui a vantare la pretesa risarcitoria da illecito antitrust, che segua un provvedimento decisorio di accertamento dell’illecito e di applicazione delle sanzioni dell’AGCM, nel periodo anteriore al recepimento ed attuazione a livello nazionale della Direttiva 2014/114/UE, sia un’impresa concorrente (…) il dies a quo della prescrizione può essere anticipato, rispetto alla data di pubblicazione del provvedimento sanzionatorio, alla data di avvio dell’istruttoria dinanzi all’AGCM”.
Su queste basi, la Cassazione ha quindi affermato il principio per cui, “in materia di disciplina della concorrenza nell’ordinamento italiano, anche nel regime anteriore all’entrata in vigore della Direttiva 2014/104/UE, il diritto al risarcimento del danno da illecito antitrust risulta garantito, senza che possa ravvisarsi un’impossibilità o eccessiva difficoltà di esercizio, al punto di vanificare il principio di effettività della tutela posto dall’art. 102 Trattato UE, dalla previsione di un termine quinquennale di prescrizione, dettato dalla normativa nazionale, che cominci a decorrere dal momento in cui sia stato dato, con pubblicità legale, avvio al procedimento amministrativo dinanzi all’Autorità Garante per l’accertamento dell’abuso di posizione dominante, rispetto ad un’impresa concorrente”.
6. – Alla stregua di questi principi, nel nostro caso, il dies a quo della prescrizione dell’azione risarcitoria dovrebbe essere individuato, al più tardi, nelle date di pubblicazione delle decisioni della Commissione.
Ne seguirebbe che, in relazione alla decisione del 4 dicembre 2013, sarebbero ormai prescritte le azioni che non siano state proposte entro il quinquennio ovvero la cui prescrizione non sia stata nel frattempo interrotta.
Naturalmente, occorre considerare, da un lato, che, come si diceva, l’azione extracontrattuale può concorrere con quella contrattuale per eventuale inadempimento della banca alle obbligazioni (come affermato da parte della giurisprudenza, di protezione del cliente) derivanti dal contratto di finanziamento (azione soggetta alla prescrizione decennale); dall’altro lato, che, sia con riferimento all’azione extracontrattuale che a quella contrattuale, il cliente ha però in ogni caso l’onere di allegare in modo specifico e dimostrare sia il danno asseritamente subito sia il nesso causale tra il lamentato danno e il comportamento della banca. Onere, tuttavia, di non agevole assolvimento.
5. Parallello con la tematica relativa alla presunta nullità delle fideiussioni omnibus. Cenni.
1. La decisione del Tribunale di Ancona offre poi lo spunto per alcune brevi riflessioni in merito ai rapporti tra la tematica oggetto della medesima e quella relativa alle presunte nullità delle c.d. fideiussioni omnibus per contrarietà alla normativa antitrust, ossia delle fideiussioni emesse, a garanzia di operazioni bancarie, sulla base dello schema predisposto nel 2003 dall’ABI, poi oggetto del provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005[6].
Ricordiamo che:
a) con tale provvedimento la Banca d’Italia aveva statuito che “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia di operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengono applicate, in modo uniforme, sono in contrasto con l’art. 2, comma, 2, lettera a), della legge n. 287/90”[7];
b) è tutt’ora acceso il dibattito sulla validità di tali fideiussioni e, in particolare, accanto a un orientamento secondo cui esse sarebbero sempre valide, anche se contenenti le clausole di cui allo schema ABI, ve ne sono altri secondo cui sarebbe configurabile (i) la nullità totale della garanzia ovvero (ii) la nullità delle sole clausole conformi allo schema ABI.
2. Riservata a una sede più specifica l’approfondimento di questo aspetto, l’elemento centrale di differenziazione tra le due tematiche sembra essere il seguente.
Nel caso della fideiussione omnibus, secondo la tesi di chi ne afferma la nullità, la presunta nullità deriverebbe dal fatto che l’intesa a valle sarebbe il frutto un’intesa anticonconcorrenziale illecita che avrebbe per oggetto proprio il contenuto delle clausole, conformi allo schema ABI, inserite nella fideiussione, ossia dell’oggetto dell’accordo a monte.
Nel caso della tematica dell’Euribor, invece, non è dato neanche rinvenire un tale elemento di coincidenza.
Infatti la clausola che rinvia al tasso Euribor non è certo riproduttiva di una clausola che sia stata a sua volta oggetto di una concertazione illecita, come per le clausole dello schema ABI, ma si limita a individuare un criterio estrinseco, e oggettivo, per la determinazione del tasso.
Anche sotto questo profilo, lascia perplessi la tesi della nullità della clausola Euribor, non solo sotto il profilo della sua lamentata indeterminatezza (quanto all’oggetto), ma anche sotto quello della violazione della normativa antitrust.
6. Conclusioni
La tematica relativa alla questione della nullità delle clausole che fanno rinvio al tasso Euribor avrà senz’altro ulteriori sviluppi giurispudenziali, che si auspica facciano definitiva chiarezza sulla questione,
Peraltro, va considerato, da un lato, che il periodo oggetto dell’accertamento dell’intesa illecita risulta limitato al 2005-2008 e, dall’altro lato, che la concreta esperibilità di un’azione risarcitoria, anche per eventuali tematiche legate al decorso della prescrizione, come si è detto, non pare agevole (e comunque molto ristretta anche dal punto di vista soggettivo).
Quanto invece alle azioni volte a ottenere la restituzione di eventuali indebiti per nullità della clausola contemplante il riferimento all’Euribor, anche qui va considerato, per un verso il limitato periodo di riferimento (2005-2008) e, per altro verso, il fatto che in questo caso il dies a quo della prescrizione non è legato in alcun modo a eventi relativi al procedimento sanzionatorio; infatti, come si è ricordato, il termine di decorrenza va individuato nella data dell’eventuale pagamento dell’indebito, pur considerando peraltro che, in tema di mutuo, come pure si è ricordato, la prescrizione dell’azione di ripetizione decorre dalla data di estinzione del mutuo medesimo.
[1] Rinviamo per ogni più specifico approfondimento alle pubblicazioni che sono state fatte in argomento. Si veda, in particolare, su questa Rivista, anche per una rassegna della posizione della giurisprudenza e delle relative tematiche, Filippo Chiaves, Manipolazione del tasso Euribor: contenzioso nazionale e rilievi comparatistici, Luglio 2018. Cfr. anche Calabrese, Effetti della manipolazione dell’Euribor sul mutuo bancario a tasso variabile, in NGCC, 3/2018, pagg. 317 e ss.
[2] Seppure in tema di variazioni ex art. 118 TUB, la Corte d’Appello di Ancona, in un precedente del 9 gennaio 2018 (in www.dejure.it), relativo a una vertenza relativa al periodo oggetto delle decisioni della Commissione Europea, aveva osservato che l’Euribor costituisce “un criterio di riferimento (…) che avrebbe astrattamente concesso al cliente, con un ragionevole sforzo, di effettuare un puntuale riscontro teso ad operare una valutazione di congruità”
[3] Tribunale di Milano consultabile in https://www.giurisprudenzadelleimprese.it/wordpress/wp-content/uploads/2016/08/20160624_RG12136-2014-1.pdf
[4] Art. 33 comma 2, l. n. 287/1990:
“(…)
2. Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti al tribunale competente per territorio presso cui e’ istituita la sezione specializzata di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 26 giugno 2003, n. 168, e successive modificazioni”.
[5] Art. 8 d.lgs n. 3/2017:
“1. Il diritto al risarcimento del danno derivante da una violazione del diritto della concorrenza si prescrive in cinque anni. Il termine di prescrizione non inizia a decorrere prima che la violazione del diritto della concorrenza sia cessata e prima che l’attore sia a conoscenza o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza di tutti i seguenti elementi: a) della condotta e del fatto che tale condotta costituisce una violazione del diritto della concorrenza; b) del fatto che la violazione del diritto della concorrenza gli ha cagionato un danno; c) dell’identità dell’autore della violazione. 2. La prescrizione rimane sospesa quando l’autorità garante della concorrenza avvia un’indagine o un’istruttoria in relazione alla violazione del diritto della concorrenza cui si riferisce l’azione per il diritto al risarcimento del danno. La sospensione si protrae per un anno dal momento in cui la decisione relativa alla violazione del diritto della concorrenza è divenuta definitiva o dopo che il procedimento si è chiuso in altro modo“.
[6] Consultabile a questo link: https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/avvisi-pub/tutela-concorrenza/provvedimenti/prov_55.pdf.
[7] L’art. 6 prevede che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”.
L’art. 2 prevede che il fideiussore è tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”.
L’art. 8 dispone che, “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.