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Approfondimenti

Le novità della Circolare Agenzia delle Entrate n. 6/E in materia di leveraged buy-out (LBO) e merger leveraged buy-out

18 Maggio 2016

Giovanni Bandera e Marco Guerra, Pedersoli Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

Il 30 marzo 2016, con la pubblicazione della circolare n. 6/E, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con alcune rilevanti precisazioni in merito al trattamento fiscale delle operazioni di leveraged buy-out (LBO) e di merger leveraged buy-out, che permettono l’acquisizione del controllo di una società c.d. target attraverso un impiego limitato di mezzi propri (equity) e grazie al ricorso all’indebitamento (debt).

L’intervento ha confermato la liceità fiscale delle operazioni di acquisizione con indebitamento, di cui all’articolo 2501-bis c.c., al fine di “ridurre le criticità operative che […] hanno inciso negativamente sugli investimenti provenienti dall’estero e operati in Italia dagli operatori del cd. ‘private equity’”.

Brevemente, ci si limita in questa sede a ricordare che la strutturazione tipica di un’operazione di merger leveraged buy-out è organizzata in una serie di operazioni finanziarie finalizzate a porre in essere un’acquisizione societaria. In primo luogo, una società veicolo (Special Purpose Vehicle, SPV), generalmente di nuova costituzione (NewCo)[1], viene capitalizzata; la medesima NewCo contrae un finanziamento c.d. ponte (bridge financing) ai fini dell’acquisizione del controllo di una società target, la quale rappresenta, sostanzialmente, la garanzia del finanziamento ottenuto. Successivamente le società NewCo e target si fondono per incorporazione (diretta o inversa) con la finalità di riunire nello stesso patrimonio l’indebitamento e i flussi di cassa prodotti dalla società target. Il finanziamento bridge viene quindi estinto con un nuovo finanziamento a medio-lungo termine (senior financing) garantito dal patrimonio della società target incorporata. La società derivante dall’operazione di incorporazione rimborsa quindi il nuovo finanziamento attraverso i propri flussi finanziari e/o mediante una parziale dismissione dei propri assets. La finalità di tale tipologia di operazioni è quella di traslare sulle società target l’indebitamento contratto dalla società acquirente per finanziare l’acquisizione stessa. Tale tipologia di operazione, nel corso degli anni, si è prestata a numerose censure con riferimento a diversi aspetti di ordine tributario che l’Amministrazione fiscale ha finalmente chiarito.

Trattamento fiscale degli interessi passivi relativi al finanziamento dell’operazione

Il primo, rilevante, aspetto preso in considerazione dall’Amministrazione finanziaria è quello relativo agli oneri finanziari derivanti dal debito contratto dallo SPV e, successivamente, dedotti in capo alla società target attraverso l’utilizzo del suo ROL.

Con particolare riferimento agli interessi passivi sostenuti da parte dello SPV e funzionali all’acquisizione della società target l’Agenzia delle Entrate, nel citato documento di prassi, afferma che “per i soggetti IRES, gli interessi passivi derivanti da operazioni di acquisizione con indebitamento debbano essere considerati, in linea di principio, inerenti e, quindi, deducibili, nei limiti di quanto previsto dal citato articolo 96 nonché dalle regole relative al transfer pricing, ove applicabili”.

Di conseguenza, si renderà applicabile la disciplina ordinaria. Più precisamente e salvo alcune eccezioni, ai sensi dell’art. 96 del TUIR la deducibilità degli interessi passivi e degli oneri assimilati che eccedono, nel periodo di imposta, gli interessi attivi è ammessa nei limiti del 30 per cento del risultato operativo lordo della gestione caratteristica (ROL). Inoltre, se gli interessi vengono corrisposti a società estere appartenenti al gruppo, ricorda l’Agenzia delle Entrate, si rende applicabile la disciplina dei transfer pricing di cui all’articolo 110, comma 7 del TUIR. Più precisamente, la remunerazione del finanziamento per l’acquisizione, configurando un servizio infragruppo, in conformità alle linee guida OCSE, deve rispettare la regola del valore normale. Sul punto, la circolare 22 settembre 1980, n. 32 ha precisato che “Relativamente ai finanziamenti è […] il mercato del mutuante che deve considerarsi come ‘rilevante’”.

Diversamente, qualora lo SPV residente in Italia abbia ottenuto direttamente i mezzi necessari all’acquisizione della partecipazione, è stato precisato che non si configura un servizio infragruppo per il quale debba essere conseguita un’adeguata remunerazione da entità non residenti del gruppo.

Riflessi in merito all’applicazione della disciplina antielusiva

Il riconoscimento della legittimità, anche fiscale, delle operazioni di acquisizione con indebitamento non ha potuto che comportare, come logica conseguenza, la disapplicazione dei limiti antielusivi previsti per il riporto delle perdite e degli interessi passivi.

Di fatto, nell’ambito di siffatte operazioni, la società veicolo generalmente non supera i limiti posti dall’articolo 172, comma 7 del DPR n. 917/1986[2]. Il riferimento è al test di vitalità economica e al limite quantitativo del patrimonio netto. Ciò produce l’effetto di bloccare il riporto delle eventuali perdite e degli interessi passivi non dedotti maturati in capo alla NewCo. Sul punto viene chiarito che, se viene dimostrato che le eccedenze di interessi passivi indeducibili e di perdite disponibili derivano esclusivamente dai finanziamenti ottenuti dalla NewCo per l’acquisto della società target, l’istanza di disapplicazione delle disposizioni di cui al comma 7 dell’articolo 172 del TUIR deve essere accolta, garantendo il riporto dei benefici fiscali.

Trattamento fiscale delle fees addebitate alla società target

La circolare, inoltre, chiarisce anche il regime delle fees addebitate dai fondi di private equity con riferimento all’applicazione di ritenute in uscita su dividendi e interessi e la tassazione dei capital gains sulla cessione delle società acquisite.

L’Agenzia delle Entrate compie una disamina relativa al trattamento delle fees a partire da una distinzione tra la componente fissa (che si configura in management fee e other fees) ed una eventuale, destinata a remunerare la performance (carried interests).

Se da un lato le management fees sono un costo di pertinenza del fondo di investimento, fiscalmente non rilevante per la società target, le other fees ne possono potenzialmente influire la determinazione della base imponibile. La preoccupazione centrale dell’Amministrazione finanziaria è quella di evitare che i costi per servizi erogati nell’interesse degli investitori del fondo possano gravare, anche fiscalmente, in capo alla SPV.

Al fine di compiere una corretta valutazione dell’inerenza e della ripartizione dei costi per servizi la circolare invita ad una puntuale valutazione di alcune specifiche clausole contenute nei contratti stipulati tra le società veicolo e le private equity company, quali ad esempio:

  1. clausole che prevedono la compensazione, totale o parziale, delle management fees con le other fees;
  2. condizioni contrattuali eccessivamente “sbilanciate” in favore del prestatore dei servizi e non in linea con le logiche di mercato.

Soltanto nel caso in cui, a seguito di un’accurata analisi, dovesse emergere che taluna delle other fee sia stata addebitata alla portfolio company a fronte di un servizio erogato dalla private equity company nell’interesse esclusivo del fondo e dei suoi investitori, allora la deducibilità di detto costo dovrà essere disconosciuta per assenza del requisito dell’inerenza.

Nella valutazione complessiva, peraltro, è bene osservare che la presenza, non marginale, di soci di minoranza è da considerare un rilevante elemento che possa portare a concludere che le other fees addebitate siano da considerarsi inerenti e non, invece, il corrispettivo per servizi resi agli investitori o al fondo.

Profili IVA

Con riferimento ai profili IVA, ai fini della detrazione dell’imposta addebitata alla SPV o alla portfolio company, la circolare, coerentemente con le indicazioni più volte fornite dalla Corte di Giustizia UE, ha chiarito che:

  1. nel caso in cui la società veicolo (SPV) si configuri come holding statica, esercitando quale attività la mera detenzione di una partecipazione (ovvero, non esercitando una impresa commerciale), senza interferire in alcun modo nella gestione della target, non può essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA gravante sulle other fees né alla stessa né alla società target successivamente all’operazione di fusione;
  2. diversamente, nel caso in cui la società veicolo non rivesta il mero ruolo di detentore di partecipazioni, svolgendo attività commerciale ai sensi dell’articolo 4 del DPR n. 633/1972, allora l’IVA relativa alle other fees può essere detratta.

Peraltro, con riferimento al precedente punto i), si osserva come le indicazioni dell’Amministrazione finanziaria si pongano in controtendenza con la consolidata giurisprudenza comunitaria in merito alla detrazione IVA relativa alle cc.dd. attività preparatorie. Sul punto, infatti, la Corte di Giustizia Europea ha più volte riconosciuto la detraibilità dell’IVA assolta sugli atti preparatori in presenza di un’intenzione di avviare un’attività economica orientata a realizzare operazioni imponibili.

Per quel che attiene, invece, l’IVA relativa alle other fees addebitate alla portfolio company, l’Agenzia ha inoltre chiarito che:

  1. non può essere detratta l’imposta addebitata in via di rivalsa tutte le volte che le other fees sono riferibili ad un servizio reso dalla private equity company nell’interesse esclusivo del fondo e dei relativi investitori;
  2. è ammessa la detrazione dell’IVA addebitata se le other fees sono riferibili ad un servizio reso nell’interesse della portfolio company stessa.

Applicazione della ritenuta sugli interessi relativi ai finanziamenti concessi per l’acquisizione della target

La circolare ha analizzato, inoltre, l’applicazione delle ritenute sugli interessi relativi ai finanziamenti concessi dalle Italian Bank Lender Of Record (IBLOR). Sul punto l’Agenzia precisa innanzitutto che la struttura IBLOR è costituita da una banca residente che eroga un finanziamento ad una società italiana e da altri soggetti non residenti (banche, finanziarie, fondi specializzati) che si assumono il rischio del credito, prestando garanzie e mettendo a disposizione della banca residente una somma di denaro.

Nel caso di IBLOR c.d. “trasparenti”, il soggetto finanziato applica direttamente le ritenute sulla quota di interessi di spettanza dei creditori non residenti. Diversamente, nel caso di IBLOR c.d. “opachi”, il soggetto finanziato non applica alcuna ritenuta sugli interessi corrisposti alla banca italiana, che a sua volta non applica alcuna ritenuta nei confronti dei creditori non residenti sia su interessi su “depositi bancari” che su commissioni di garanzia, in base a specifiche esenzioni.

A sua volta, la banca residente, nel rapporto con gli enti finanziari non residenti, configura gli interessi che paga come maturati su depositi bancari che sono esclusi da ritenuta ex art. 23, comma 1, lett. b del Tuir e le commissioni corrisposte per le garanzie ricevute esenti da ritenuta a norma dell’art.26-bis, 1° comma del DPR 600/73, se i percettori sono residenti in Paesi di White list. Nel caso di IBLOR opachi l’Agenzia ritiene che la ritenuta sugli interessi e sulle commissioni per le garanzie prestate debba essere applicata, anche se considera, per le operazioni sorte anteriormente all’emanazione della circolare in discorso, non dovute le sanzioni amministrative per le obiettive condizioni di incertezza applicativa delle norme.

In proposito nella circolare è comunque precisato che la ritenuta in questione è stata esclusa, a seguito delle modifiche apportate al comma 5-bis dell’art. 26 DPR 600/73 dall’art. 17 del D.L. 14-2-2016 n. 18, quando i finanziamenti sono erogati dai seguenti soggetti:

  1. banche stabilite negli Stati membri della UE,
  2. imprese di assicurazione costituite ed autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri della UE,
  3. investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, costituiti in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni.

Finanziamenti erogati da parte di soci esteri

Ciò premesso e sempre con riferimento ai finanziamenti ricevuti da soggetti non residenti, l’Agenzia delle Entrate ha evidenziato la possibilità di sindacare le operazioni di finanziamento, riqualificandole quali apporti di capitale, sulla scorta delle indicazioni contenute nelle OECD Guidelines.

Le motivazioni di questa considerazione sono da ricercarsi nel fatto che anche successivamente alla disciplina della c.d. thin cap, è rimasto latente un timore legato ad esigenze erariali correlato al fatto che i meccanismi di finanziamento delle imprese residenti ed appartenenti a gruppi multinazionali potevano, e possono, dare luogo a un vero e proprio drenaggio di utili verso Paesi dal regime fiscale più favorevole.

In particolare, è richiamato il § 1.65, ove si legge che “l’Amministrazione fiscale può non tenere conto di come le parti caratterizzano la transazione e ridefinire quest’ultima in conformità alle caratteristiche sostanziali. Un esempio potrebbe essere rappresentato da un investimento in un’impresa associata sotto forma di prestito fruttifero quando, sulla base del principio di libera concorrenza, e considerando le circostanze economiche della società mutuataria, non si prevedeva che l’investimento sarebbe stato così strutturato. In tal caso potrebbe essere opportuno per un’Amministrazione fiscale definire l’investimento conformemente alla sua natura economica, col risultato che il prestito possa essere trattato come una sottoscrizione di capitale”.

La circolare n. 6/E prevede che si possa procedere alla riqualificazione del finanziamento in equity qualora nella documentazione sottostante all’operazione di acquisizione mediante indebitamento sia previsto, ad esempio, che:

  1. il rimborso del capitale ed il pagamento degli interessi sia rinviato a data successiva al rimborso integrale del capitale ed al pagamento integrale degli interessi dovuti ai terzi finanziatori;
  2. gli indici finanziari definiti nei financial covenants, che definiscono le condizioni di default, non comprendano nella definizione di debito ed in quella di interessi il debito per finanziamento soci e gli interessi per finanziamento soci;
  3. il pagamento degli interessi ed i rimborsi di capitale siano sottoposti alle medesime restrizioni cui sono sottoposti i dividendi e le riduzioni del capitale e delle riserve di capitale.

Di conseguenza, gli interessi corrisposti saranno indeducibili dal reddito societario e si renderà applicabile la disciplina prevista per i dividendi in uscita.

Trattamento dei dividendi destinati all’estero e delle plusvalenze realizzate dalla cessione della società veicolo

La parte finale del documento di prassi in esame è dedicata al trattamento fiscale della fase conclusiva delle operazioni di LBO istituzionale, la quale può configurarsi come cessione da parte della società non residente in Italia delle azioni detenute nella società veicolo italiana ovvero come cessione delle quote detenute nella società veicolo italiana da parte di una società holding italiana e successiva distribuzione alla controllante non residente della plusvalenza sotto forma di dividendi.

Tali strutture, si evidenzia nella circolare, sono caratterizzate dai seguenti effetti fiscali:

  1. mancata imposizione in Italia delle plusvalenze derivanti dalla cessione di azioni attraverso il regime convenzionale che attribuisce la potestà impositiva allo Stato del cedente;
  2. mancata o ridotta applicazione delle ritenute sui dividendi in uscita dall’Italia;
  3. nessuna o ridotta imposizione del reddito nel Paese estero.

Secondo l’Agenzia, in ragione della libertà di stabilimento come identificata dalla giurisprudenza comunitaria, il conseguimento di tali risultati attraverso strutture dotate della necessaria sostanza economica e, quindi, genuine, non possono essere contestati.

In tale senso, centrale è la verifica della sostanza economica della società di partecipazione non residente che non può essere considerata tale in presenza di una:

  1. struttura organizzativa “leggera” (personale, attrezzature e locali sono forniti attraverso contratti di management service) priva di effettiva attività e di una reale consistenza, nonché priva di autonomia decisionale, tale da configurare la società come insediamento artificioso;
  2. struttura finanziaria “conduit”, in cui le fonti e gli impieghi presentano condizioni contrattuali ed economiche quasi del tutto speculari o comunque funzionali a consentire la corrispondenza tra quanto incassato sugli impegni e quanto pagato sulle fonti e la non applicazione di alcuna ritenuta in uscita.

In presenza di strutture societarie artificiose, i benefici fiscali indebiti possono essere disconosciuti. In particolare, laddove venga dimostrato che un fondo estero, localizzato in un Paese non collaborativo, abbia costituito in uno Stato UE una holding, e questa sia una costruzione di puro artificio o che abbia posto in essere un’operazione conduit tramite la quale il fondo abbia evitato il regime ordinario di tassazione, i predetti regimi fiscali di favore sono negati.

Al termine della circolare, l’Amministrazione finanziaria offre, infine, una importante indicazione con riferimento alla presenza di entità non residenti fiscalmente trasparenti. In tale caso, si precisa, gli investitori, possono invocare il riconoscimento dei benefici convenzionali, in applicazione della convezione contro le doppie imposizioni vigente con il loro Paese di residenza.



[1] La società acquirente può essere anche una società già esistente (shell company).

[2] Le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2501-quater del codice civile, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. Tra i predetti versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato a da altri enti pubblici. Se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall’impresa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione. In caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione ai sensi del comma 9, le limitazioni del presente comma si applicano anche al risultato negativo, determinabile applicando le regole ordinarie, che si sarebbe generato in modo autonomo in capo ai soggetti che partecipano alla fusione in relazione al periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione. Le disposizioni del presente comma si applicano anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti di cui al comma 4 dell’articolo 96. Al fine di disapplicare le disposizioni del presente comma il contribuente interpella l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente.

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