È nulla la cartella di pagamento che contiene imprecisioni ed errori tali da non consentire al contribuente la verifica dell’iter logico-giuridico seguito dall’Amministrazione finanziaria per determinare l’ammontare dell’imposta. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 4 febbraio 2015, n. 1952, conformemente al prevalente orientamento della giurisprudenza tributaria di legittimità (cfr., ex multis Cass. n. 374/2015; Cass. n. 8934/2014; Cass. n. 20211/2013; Cass. n. 4516/2012).
Con la pronuncia in commento, i Giudici di Piazza Cavour, intervenendo sulla nota questione dell’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati al contribuente dall’Agenzia delle entrate o dal Concessionario della riscossione, hanno affermato tout court che la cartella di pagamento è nulla, qualora non sia possibile verificare l’iter logico-giuridico su cui essa si basa, in quanto “l’equivocità della motivazione finisce per rendere la cartella di pagamento ‘inammissibilmente generica’ e, quindi, utilizzabile per qualsiasi fattispecie”.
Ciò, in considerazione di quanto disposto dall’art. 7, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente – peraltro significativamente intitolato, come rilevato dalla stessa Suprema Corte, ”Chiarezza e motivazione degli atti” -, il quale statuisce che “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.
La vicenda traeva origine dalla notifica di una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato, ex art. 36-bis del D.P.R. 600/73, con cui l’Ufficio procedeva alla rettifica della liquidazione operata sul modello 770/2001 da un sostituto d’imposta per redditi soggetti a tassazione separata. Il contribuente proponeva ricorso, eccependo la nullità della cartella di pagamento per difetto di motivazione, in quanto non risultava segnatamente indicato con certezza quale organo avesse materialmente operato il pagamento, quali fossero le annualità cui fare riferimento per il calcolo dell’imposta, quali i criteri in base ai quali era stata applicata l’aliquota media e quali le modalità di calcolo utilizzate.
I Giudici di primo grado accoglievano il ricorso, dichiarando la nullità della cartella impugnata per difetto di motivazione, e successivamente tale decisione veniva confermata anche dai Giudici di appello, sulla base della considerazione per la quale “erano state iscritte a ruolo imposte in misura superiore rispetto a quelle dichiarate e liquidate, non si evincessero con certezza chi fossero stati i sostituti di imposta che avevano proceduto alla presentazione del modello 770/2001, il periodo assoggettato a controllo, le annualità prese a riferimento per il calcolo dell’imposta, l’aliquota e le modalità di calcolo”.
L’Ufficio proponeva pertanto ricorso per cassazione per violazione di legge dell’art. 7, Legge n. 212/2000 e dell’art. 3, D.P.R. n. 602/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., che veniva rigettato dalla Suprema Corte poiché la cartella di pagamento presentava “imprecisioni ed errori tali da non consentire al contribuente la verifica dell’iter logico-giuridico seguito dall’Agenzia delle Entrate o dal Concessionario della riscossione per determinare l’ammontare dell’imposta”.
In particolare, gli ermellini evidenziavano come, “oltre al dato decisivo dell’errore nell’indicazione delle annualità prese in considerazione per determinare l’aliquota media del biennio precedente …”, anche “l’equivocità della motivazione” della cartella aveva contribuito a renderla “inammissibilmente generica”, nella parte in cui si legge che “i dati sono stati desunti da dati esposti dal sostituto di imposta … e/o nel quadro RM del modello unico 2001 o nel quadro F del modello 730/2001”, tanto da lasciare al contribuente – “che per molteplici ragioni non potrebbe più avere a disposizione copia o riferimento del modello a suo tempo presentato, né può essere costretto ad ulteriori attività di ricerca per verificare la pretesa dell’ufficio impositore” – “l’incertezza circa il suo precedente comportamento”.
La soluzione cui pervengono i Giudici di Piazza Cavour consolida quel filone giurisprudenziale secondo cui è nulla la cartella di pagamento la cui motivazione sia equivoca (rectius, generica) e, quindi, tale da non consentire al contribuente la verifica dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione finanziaria.
Invero, la cartella di pagamento, quale tipico provvedimento esplicativo della volontà dell’Amministrazione finanziaria, è destinata ad incidere in viaimmediataedunilaterale sulla sfera giuridica di unsoggetto privatoe, come tale, è necessario, ex lege, che la medesima sia dotatadel contenuto motivazionale atto a fornire e garantire l’intelligibilità della pretesa tributaria, al fine di rendere edotto il contribuente dei motivi di fatto e di diritto, in base ai quali l’Ufficio ha avanzato la pretesa tributaria, così come previsto dall’art. 3, della Legge n. 241 del 1990.
Alla luce dei suesposti principi, appare dunque evidente come l’obbligo di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione finanziaria sia ineludibile e, soprattutto, non surrogabile da una generica, quanto equivoca, motivazione, nel pieno rispetto del diritto di difesa del contribuente, che è costituzionalmente garantito dall’art. 24.