1. La sottoscrizione degli atti fiscali. 2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015. 3. Le prime pronunce di merito. 4. Conclusione.
1. La sottoscrizione degli atti fiscali.
Prima di affrontare una delle questioni attualmente più controverse del panorama giuridico tributario, ovvero la validità degli atti sottoscritti da direttori non vincitori di pubblico concorso o da funzionari da essi delegati, è opportuno operare un excursus normativo della materia, al fine di comprenderne le problematiche sottese.
Innanzitutto, occorre richiamare il Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000 ed aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27 dicembre 2012. Esso sancisce, tra i tanti, il principio in virtù del quale “gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, per delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli atti …”.
Ne consegue che le direzioni provinciali dell’Agenzia delle entrate sono uffici di livello dirigenziale ed i relativi dirigenti devono sottoscrivere gli atti fiscali o delegare altri dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli stessi.
In secondo luogo, è necessario evidenziare che la Legge n. 241 del 1990, così come modificata dalla Legge n. 15 del 2005, determina i casi di efficacia ed invalidità dei provvedimenti amministrativi. In particolare, la predetta Legge 241/90 reca due previsioni normative, ovvero gli artt. 21-septies e 21-opties, che integrano la disciplina degli atti posti in essere dall’Amministrazione finanziaria, individuandone ulteriori requisiti formali.
I succitati artt. 21-septies e 21-opties, rubricati “nullità del provvedimento” e “annullabilità del provvedimento”, dispongono rispettivamente che: “È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge…” e che “È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza … “.
Infine, occorre richiamare, per quanto concerne gli avvisi di accertamento, l’art. 42, comma 1, del D.P.R. 600/73, il quale, nel disciplinare gli aspetti formali e sostanziali del provvedimento amministrativo, prevede che: “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato … L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni e la motivazione di cui al presente articolo”.La stessa disposizione si applica anche ai fini IVA, in virtù dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 56, comma 1, del D.P.R. 633/72, come più volte riconosciuto dalla Suprema Corte.
Ciò premesso, è ormai noto, non solo agli operatori del diritto, come, negli ultimi anni, l’Amministrazione finanziaria abbia notificato, sempre più spesso, atti fiscali sottoscritti da persone diverse dal capo dell’Ufficio.
Ne è derivato un acceso dibattito, dottrinario e giurisprudenziale, in merito alla validità di tali atti e, in particolare, agli eventuali diversi requisiti che debba avere un atto sottoscritto da una persona diversa dal capo dell’Ufficio.
È divenuta così preminente l’esigenza del contribuente di verificare l’esistenza di una delega, la sussistenza dei requisiti professionali che permettano al soggetto delegato di agire per conto del direttore dell’Ufficio e, soprattutto, la legittimità di tale nomina, alla luce dei principi sanciti dalla Legge 241/90, dallo Statuto del Contribuente e dalla Carta Costituzionale.
2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015.
La Corte Costituzionale, con recentissima sentenza n. 37 del 25 Febbraio 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle seguenti norme, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione:
1) dell’art. 8, comma 24, del D.L. n. 16 del 02/03/2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e di potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 44 del 26/04/2012;
2) dell’art. 1, comma 14, del D.L. n. 150 del 30/12/2013 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 15 del 27/02/2014;
3) dell’art. 1, comma 8, del D.L. n. 192 del 31/12/2014 (Proroghe di termini previsti da disposizioni legislative).
In particolare, la principale norma dichiarata incostituzionale è l’art. 8, comma 24, citato, il quale testualmente disponeva: “Fermi i limiti assunzionali a legislazione vigente, in relazione all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volte a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione di cui alle disposizioni del presente articolo, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all’articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005 n. 248. Nelle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n.165 . Ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti”.
Peraltro, la Corte Costituzionale aveva già affermato, in più di una occasione, che “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso” (cfr., sentenze della Corte Costituzionale nn. 194 del 2002, 217 del 2012, 7 del 2011, 150 del 2010 e 293 del 2009).
In conseguenza di ciò, sono decaduti dagli incarichi dirigenziali tutti coloro che erano stati nominati senza un pubblico concorso. Ne è derivato un acceso dibattito in merito ai possibili effetti sulla validità degli atti fiscali emessi dagli stessi, che i Giudici di merito sembrano aver risolto a favore dei contribuenti, fatta eccezione per alcune minoritarie pronunce contrarie.
3. Le prime pronunce di merito.
Come già evidenziato, la questione scaturisce dunque dalla dichiarazione di incostituzionalità delle succitate norme, che avevano legittimato, nel corso degli anni, il conferimento di incarichi dirigenziali a funzionari privi della relativa qualifica, tramite la mera stipula di contratti a tempo determinato, senza, dunque, l’indizione di un pubblico concorso, con grave violazione dei principi di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego.
Volendo correre ai ripari, sia il Governo che l’Agenzia delle entrate hanno sostenuto che gli atti in questione sono assolutamente legittimi e hanno caldamente invitato i contribuenti a non proporre ricorsi facili, in quanto tale scelta avrebbe solo fatto “perdere soldi”.
Tuttavia, la giurisprudenza di merito non si sta mostrando dello stesso avviso. Ormai sono numerose le pronunce dei Giudici di merito che sanciscono la nullità non solo degli avvisi di accertamento, ma anche delle cartelle di pagamento e dei ruoli (cfr, ex multis CTR Milano, sentenza n. 2184/2015; CTP Lecce, sentenze nn. 1789 e 1790 del 2015; CTP Campobasso, sentenza n. 784/2015).
In particolare, la Commissione Tributaria Regionale di Milano, con sentenza n. 2184 del 2015, depositata il 19 maggio 2015, ha affermato tout court che “gli atti impositivi sottoscritti dai c.d. dirigenti decaduti non sono validi” e che“ciò può anche essere sollevato per la prima volta in appello”. Con tale pronuncia, i Giudici meneghini hanno dunque accolto le doglianze del contribuente, che, per la prima volta in appello, aveva sollevato la questione della carenza dei poteri di firma del soggetto delegante la sottoscrizione dell’atto.
I giudici aditi hanno accolto le doglianze del contribuente appellante, a nulla rilevando la richiesta di inammissibilità della domanda nuova avanzata dall’Ufficio, il quale sosteneva altresì la non rilevabilità d’ufficio del vizio in argomento. I Giudici del gravame hanno affermato invece che risulta perfettamente applicabile al processo tributario la Legge n. 241 del 1990, che consente la rilevabilità della nullità de qua in ogni stato e grado del giudizio, persino d’ufficio.
I Giudici milanesi hanno affermato altresì che non è applicabile l’art. 21, comma 2, della medesima legge, che prevede la non annullabilità degli atti amministrativi adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma, poiché trattasi di atti aventi natura discrezionale e non anche vincolante.
Viene, infine, esclusa l’applicazione dell’istituto del c.d. “funzionario di fatto”, applicabile solo ai casi in cui gli atti viziati, poiché emessi da funzionario non legittimato, siano favorevoli al cittadino.
Dal canto loro, i Giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso hanno ritenuto “ammissibile e necessaria l’integrazione dei motivi di ricorso, ex art. 24 del D. Lgs. 546/92, tutte le volte in cui sia imposta dallo jus superveniens ovvero da una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittima una noma decisiva o fondamentale del giudizio, o anche – si legge – da una sentenza della Corte Europea che abbia dichiarato incompatibile la legge applicata con la normativa comunitaria”.
Dunque, i Giudici di merito di Campobasso si discostano da quelli meneghini, in merito alla possibilità che il vizio di sottoscrizione venga rilevato d’ufficio, asserendo che trattasi di un caso di annullabilità e non anche di nullità, che necessita di una esplicita doglianza di parte ricorrente (motivi aggiunti). Infine, essi si conformano ai Giudici meneghini, laddove escludono l’applicabilità della figura del c.d. “funzionario di fatto” sulla base di analoghe argomentazioni.
Occorre altresì evidenziare che le pronunce sulla nullità degli atti fiscali sottoscritti da “falsi” dirigenti non concernono solo gli avvisi di accertamento emessi in tema di imposte sui redditi, ove il vizio è espressamente contemplato dall’art. 42 del D.P.R. 600/73, ma pure altri provvedimenti, quali cartelle di pagamento e relativi ruoli.
Alla luce delle prime pronunce sul tema (nelle quali si legge testualmente “sul punto della nullità degli atti amministrativi firmati dai dirigenti illegittimi, non sembra esservi ombra di dubbio sulla loro caducità”, cfr. CTR Milano citata), deve ritenersi dunque che il provvedimento sottoscritto da un funzionario che non poteva rivestire tale ruolo è affetto da un vizio talmente grave da compromettere, sempre e comunque, la validità dell’atto.
4. Conclusione.
Sulla base di quanto sopra esposto, appare dunque evidente come, alla luce delle prime pronunce di merito e della più volte citata sentenza della Corte Costituzionale, che – ricordiamolo – ha dichiarato illegittima la prassi, adottata dall’Amministrazione finanziaria, di nominare dirigenti senza pubblico concorso, gli atti sottoscritti (o le deleghe concesse) da uno dei dirigenti “illegittimi” sono affetti da nullità assoluta.
In ogni caso, è altresì noto che il Governo stia cercando di porre rimedio, quanto prima, a tale delicato problema e l’augurio di tutti i contribuenti è che una eventuale nuova legge non sia un espediente per aggirare la pronuncia della Corte Costituzionale e, soprattutto, non sia un “colpo di reni” diretto a sanare, con effetti retroattivi, gli atti illegittimi firmati da dirigenti “decaduti”.