La Corte di Cassazione con sentenza n. 2338 di data 24 gennaio 2024 (Pres. Acierno, Rel. Mercolino) si è pronunciata in tema di nullità di protezione nei contratti bancari, con particolare riferimento ad un contratto di apertura di credito.
In particolare, ha confermato la propria precedente giurisprudenza per cui il cliente che voglia provare la natura ripristinatoria del fido delle rimesse affluite nel conto corrente, non è tenuto a dare prova in forma scritta del contratto di apertura di credito che le giustifica: ciò, in quanto il giudice può rilevare d’ufficio la nullità, per mancanza di forma, solo nel caso in cui ciò sia conforme all’interesse del contraente debole.
A fronte del procedimento monitorio, esperito dall’intermediario per ottenere il saldo debitore di un conto corrente e la restituzione delle somme date a mutuo, il debitore e i fideiussori ingiunti oppongono l’illegittimità della commissione di massimo scoperto e l’erroneo calcolo degli interessi; chiedono quindi in via riconvenzionale la restituzione delle somme illegittimamente pagate.
L’eccezione di prescrizione, sollevata dall’intermediario, impone di distinguere tra somme pagate a titolo solutorio e ripristinatorio del fido.
Infatti, qualora le rimesse siano finalizzate a ripristinare il fido concesso con apertura di credito, il decorso del termine prescrizionale si calcola dal giorno della chiusura del rapporto, e non dalla più risalente data del pagamento.
Tuttavia il correntista non dà prova scritta dell’apertura di credito, e la Corte territoriale rigetta la domanda riconvenzionale.
La Corte di Cassazione richiama la propria costante giurisprudenza in materia di nullità di protezione.
Ribadisce infatti che la nullità per mancanza della forma scritta prevista per i contratti bancari ex art 117 T.U.B. può essere rilevata dal giudice d’ufficio, ai sensi dell’art 127, secondo comma, T.U.B., ma questo è possibile solo qualora conforme all’interesse del contraente debole (come già in Cass. SS.UU. 26242/2014).
Invece, il giudice non può rilevare d’ufficio il vizio qualora ciò sia contrario all’interesse del cliente.
Nel caso di specie, la dimostrazione del contratto di aperura di credito consentirebbe al cliente di giovarsi del più vantaggioso regime prescrizionale delle rimesse ripristinatorie della somma a fido.
Conseguentemente, il giudice non avrebbe potuto rilevare la mancanza della forma prescritta, ma avrebbe dovuto consentire al cliente di dare prova del contratto mediante estratti conto e riassunti scalari.
Cassa quindi la sentenza impugnata.