I. Premessa
1. Le due decisioni dell’ACF n. 2127 dell’8 gennaio 2020 e n. 2297 del 2 marzo 2020 sono, a quanto consta, le prime che hanno applicato (o richiamato) i principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione con la nota sentenza n. 28314 del 4 novembre 2019 (in materia di uso selettivo, da parte dell’investitore, della nullità di protezione prevista dall’art. 23 TUF)[1].
Tali principi – lo ricordiamo – sono i seguenti:
a) “la nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell’art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore, con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio”;
b) “l’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro”.
2. La questione più rilevante rimessa alle Sezioni Unite era se fosse ammissibile per l’investitore (l’unico legittimato a far valere la nullità di protezione) usare in modo selettivo tale rimedio, ossia impugnare soltanto alcuni ordini (quelli che avevano comportato una perdita) e non altri (quelli che non l’avevano comportato o addirittura avevano dato luogo a un guadagno), eseguiti nell’ambito del rapporto di intermediazione finanziaria.
Le Sezioni Unite – premesso che la forma scritta vale solo per il contratto quadro e che a tal fine è sufficiente la firma dell’investitore – hanno affermato, in sintesi, quanto segue:
a) l’uso selettivo della nullità non contrasta, in generale, con lo statuto delle nullità di protezione, ma tale uso deve comunque essere improntato a buona fede;
b) il principio di buona fede va applicato peraltro secondo un parametro univoco e coerente;
c) in particolare, occorre comparare le operazioni oggetto della domanda di nullità con quelle che ne sono escluse, per verificare se permanga un pregiudizio per l’investitore corrispondente alla domanda;
d) qualora l’esito delle operazioni non oggetto della domanda di nullità abbia prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio fatto valere con la domanda, l’intermediario può sollevare l’eccezione di buona fede, al solo scopo di paralizzare l’azione; qualora, invece, vi sia un danno per l’investitore, anche all’esito della comparazione con le operazioni non colpite da nullità, l’effetto impeditivo opererà nei limiti del vantaggio conseguito dall’investitore;
e) l’effetto paralizzante dell’eccezione di buona fede opera ove sia oggetto di allegazione.
II. Le questioni teorico-pratiche che emergono dalla sentenza delle Sezioni Unite
Prima di esaminare le due decisioni dell’ACF, è utile riepilogare in sintesi alcune delle più rilevanti questioni teorico-pratiche, delle quali occorre tener conto sia in generale, sia per la gestione del contenzioso finanziario.
A) Il giudicato
La sentenza dà atto che “nel giudizio di merito” si era “formato il giudicato sulla nullità del contratto quadro per difetto di forma” (il che significa che il relativo accertamento era diventato incontrovertibile ai sensi dell’art. 2909 c.c.); nel contempo essa rileva che dagli atti di causa risultava che il contratto quadro era stato peraltro sottoscritto dall’investitore (circostanza questa che, alla luce della più recente giurisprudenza della Cassazione sul c.d. “contratto monofirma”, sarebbe stata idonea ad escludere invece la nullità, tuttavia coperta in modo incontrovertibile dal giudicato)[2].
Ora, la Cassazione, pur precisando che ciò “costituisc(e) circostanza irrilevante, in relazione all’accertamento della nullità, perché coperta dal giudicato”, aggiunge che essa “non può” però “essere del tutto ignorata, in relazione alla valutazione della legittimità delle diverse forme di tutela dell’intermediario determinate dall’uso selettivo delle nullità di protezione”.
In tal modo, la Corte sembra attribuire rilevanza, anche se ai limitati effetti dell’eccezione di buona fede, a un fatto risultante dagli atti ma incontrovertibilmente escluso dal giudicato.
La questione è se questa affermazione della Cassazione possa essere letta come espressione di un principio che consenta di derogare agli effetti del giudicato e se tale eventuale deroga possa estendersi anche ad altre fattispecie e in quali limiti, ovvero, se, in generale, la violazione del canone di buona fede possa superare o limitare gli effetti della incontrovertibilità del giudicato.
B) Ambito di applicabilità dei principi della sentenza delle Sezioni Unite
Non vi è dubbio che i principi espressi dalla Cassazione si applicano a tutti i giudizi nei quali, come nel caso da cui trae origine la sentenza delle Sezioni Unite, sia passato in giudicato l’accertamento della nullità del contratto quadro (in quanto sottoscritto soltanto dal cliente) ma sia ancora pendente la questione dell’uso selettivo, appunto, della nullità di protezione.
Il tema è, peraltro, se tali principi si applichino soltanto a questa tipologia di fattispecie o anche ad altre situazioni e, in particolare, al caso in cui un contratto quadro manchi del tutto.
In quest’ottica, occorre verificare se rappresenti o no elemento essenziale della ratio decidendi della sentenza la considerazione, da parte delle Sezioni Unite, del fatto che la sottoscrizione del contratto quadro risultasse comunque dagli atti di causa.
Ad avviso di chi scrive, i principi espressi dalla Cassazione possono trovare applicazione anche a fattispecie non esattamente corrispondenti a quella da cui trae origine la pronuncia delle Sezioni Unite.
Ciò – in sintesi, e a prescindere (per brevità) da altre considerazioni – proprio perché tali principi derivano, a loro volta, da regole di carattere generale, quale la buona fede.
In questa prospettiva, non dovrebbero, quindi, esservi ostacoli per invocare l’eccezione di buona fede, nei termini indicati dalla sentenza, anche al caso in cui un contratto quadro manchi del tutto, per non essere mai stato sottoscritto da alcuna delle parti.
C) Rilevabilità d’ufficio o solo su istanza di parte dell’eccezione di buona fede
Altra questione è se l’eccezione di buona fede sia o no rilevabile d’ufficio.
Al riguardo la sentenza è esplicita: essa afferma, infatti, che non si tratta di eccezione in senso stretto. Il che significa che l’eccezione è rilevabile anche d’ufficio.
AI fini di un corretto inquadramento della questione, occorre peraltro qui ricordare, in sintesi, la distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato e i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Cassazione per individuare le une e le altre:
a) l’eccezione in senso lato consiste in “qualunque difesa della quale il convenuto si serva per ottenere il rigetto della domanda, quindi anche la semplice negazione dei fatti allegati ex adverso” (Cass., 3 febbraio 1998, n. 1099);
b) l’eccezione in senso proprio consiste invece nella “contrapposizione di fatti ai quali la legge attribuisce immediatamente e direttamente una autonoma identità modificativa, impeditiva, o estintiva degli effetti del rapporto sul quale si fonda la domanda” (Cass., 3 febbraio 1998, n. 1099); essa trova il proprio fondamento giuridico nel secondo comma dell’art. 2697 c.c.
c) l’eccezione in senso stretto è “quell(a) rilevabile soltanto ad istanza di parte”;
d) le eccezioni in senso stretto “si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte” (Cass., sez. un., 27 luglio 2005, n. 15661. Cfr. anche Cass., 3 febbraio 1998, n. 1099).
Dunque, la regola generale è che tutte le eccezioni sono rilevabili d’ufficio, salvo che non siano eccezioni in senso stretto.
Quanto al regime processuale applicabile alle diverse tipologie di eccezioni, va ricordato che:
a) la Cassazione, con la pronuncia, a sezioni unite, del 3 dicembre 1998 n. 1099, aveva affermato che il rilievo d’ufficio delle eccezioni non riservate all’inziativa della parte era comunque subordinato a specifica allegazione della parte medesima[3];
b) con la sentenza del 7 maggio 2013, n. 10531 le Sezioni Unite della Cassazione hanno poi affermato, invece, che “il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto” (cfr. in questo senso anche Cass., 10 ottobre 2019, n. 25434).In tal modo esse hanno risolto il contrasto giurisprudenziale “tra le pronunce che subordinavano il rilievo d’ufficio di ogni eccezione alla tempestiva allegazione, proveniente dalla parte, nel giudizio di primo grado, e pronunce secondo cui la deducibilità in appello di eccezioni in senso lato è ammessa anche se i fatti sono per la prima volta allegati in sede di impugnazione” e “hanno superato il limite (…) secondo cui la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione è pur sempre soggetta alla tempestiva allegazione del fatto estintivo, modificativo, impeditivo esclusivamente a cura della parte interessata” (cfr. Cass., 10 ottobre 2019, n. 25434).
D) Segue
Alla luce del principio per cui le eccezioni sono di regola rilevabili d’ufficio, l’eccezione di buona fede per abuso della nullità selettiva deve ritenersi rilevabile d’ufficio.
Infatti: a) non esiste alcuna norma di legge che preveda che tale eccezione possa essere rilevata soltanto ad istanza di parte; b) non sembra potersi sostenere che l’eccezione di buona fede si ricolleghi a un controdiritto che possa essere fatto valere anche in via autonoma.
Come si è anticipato, in coerenza con i principi sopra riepilogati, le Sezioni Unite affermano che l’eccezione di buona fede “non è configurabile come eccezione in senso stretto”, ed è quindi rilevabile d’ufficio.
Occorre peraltro esaminare il passo della sentenza che affronta la questione:
“l’eccezione di buona fede, operando su un piano diverso dall’estensione degli effetti della nullità dichiarata, non è configurabile come eccezione in senso stretto non agendo su fatti costitutivi dell’azione (di nullità) dalla quale scaturiscono gli effetti restitutori, ma sulle modalità di esercizio dei poteri endocontrattuali delle parti.
Deve essere, tuttavia, oggetto di specifica allegazione” (cfr. sentenza, part. 23).
Dunque:
a) l’eccezione di buona fede, poiché non è un’eccezione in senso stretto, è rilevabile d’ufficio;
b) essa deve però essere oggetto di specifica allegazione.
Ora, al riguardo occorre osservare quanto segue:
A) La sentenza sembra affermare che l’eccezione di buona fede “non è configurabile come eccezione in senso stretto” in quanto non agisce (“non agendo”) “su fatti costitutivi dell’azione (di nullità)”.
Senonché l’eccezione non rilevabile d’ufficio (in quanto eccezione in senso proprio) nonattiene, per definizione, ai fatti costitutivi dell’azione (ossia non si sostanzia nella contestazione dei fatti costitutivi dell’azione), ma consiste nella contrapposizione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi riservati alla parte.
La possibile alternativa è allora interpretare il passo della sentenza nel senso che la Cassazione abbia inteso affermare quanto segue:
a) l’eccezione di buona fede non agisce sui fatti costitutivi dell’azione di nullità nel senso che essa opera su piano processuale, e non sostanziale;
b) infatti l’accoglimento dell’eccezione di buona fede paralizza gli effetti dell’azione di restituzione (conseguente all’accertamento della nullità) e impedisce quindi, sul piano processuale, che la domanda sia accolta.
B) Più problematica è l’affermazione secondo cui l’eccezione deve essere oggetto di specifica allegazione.
Infatti su questo punto la sentenza sembra non coerente con i precedenti orientamenti delle stesse Sezioni Unite del 2013, le quali, come si è visto, avevano affermato che “il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto” (cfr. in questo senso anche Cass., 10 ottobre 2019, n. 25434).
III. Segue: ulteriori questioni
Ulteriori questioni che si pongono, anche nell’ottica di una corretta strategia processuale, sono le seguenti:
a) se all’investitore-attore incomba l’onere di allegare e dimostrare la buona fede (qualificando, quindi: (i) la conformità dell’azione a buona fede come elemento costitutivo e/o condizione di ammissibilità della domanda e (ii) la contestazione di tale conformità dell’azione promossa come mera difesa, vale a dire come contestazione dei fatti costitutivi allegati dall’attore);
b) in che termini e modalità l’intermediario abbia l’onere di formulare (e provare) l’eccezione di buona fede da parte dell’intermediario;
c) che cosa debba intendersi in concreto per “sacrificio economico sproporzionato” e quali siano i criteri per l’individuazione e determinazione dell’ingiustificato sacrificio economico;
d) in particolare, a quale data vada verificata l’esistenza o meno dell’ingiustificato sacrificio economico (la situazione può essere molto complessa laddove il rapporto si sia protratto per anni e si sia articolato in una pluralità di operazioni. È quindi prevedibile che nei futuri contenziosi che potranno insorgere o in quelli che si evolveranno a seguito della sentenza delle Sezioni Unite, l’accoglibilità dell’eccezione di buona fede presupporrà l’esperimento di CTU contabile, avente per oggetto il complesso degli investimenti effettuati negli anni dal cliente); al riguardo occorre poi tener conto del fatto che le Sezioni Unite, pur decidendo in tema di azione restitutoria (conseguente all’esercizio dell’azione di nullità dell’ordine), introducono peraltro la nozione di “pregiudizio” ovvero “danno” per l’investitore e di “ingiustificato sacrificio economico” per l’intermediario. In tal modo, ponendo in correlazione tali nozioni con gli effetti dell’esercizio dell’azione restitutoria, le Sezioni Unite sembrano legittimare una lettura: i) dell’azione restitoria (ovvero dei relativi effetti) in chiave risarcitoria, per cui occorre guardare al pregiudizio concreto, sulla base dei risultati complessivi degli investimenti, subito dal cliente, e ii)dell’eccezione di buona fede dell’intermediario in chiave indennitaria (pur nei limiti del petitum azionato dall’investitore). A questa stregua: i)l’azione restitutoria assume elementi di analogia con l’azione risarcitoria, proprio perché occorre che, alla fine, il giudice determini il pregiudizio concreto e ii)l’eccezione di buona fede assume elementi di analogia con l’istituto dell’arricchimento senza causa;
e) quali siano gli effetti del fruttuoso esperimento dell’eccezione di buona fede e natura della sentenza;
f) che cosa accada se, dopo la definizione della causa, i titoli che non avevano dato luogo a perdite subiscano un decremento di valore o addiritttura l’emittente vada in default?
g) che cosa accada se la sentenza non sia ancora passata in giudicato e se l’investitore possa appellare la sentenza facendo valere, ai fini della verifica dell’ingiustificato sacrificio economico, perdite sopravvenute.
IV. Le decisioni dell’ACF in commento
1. Alla luce di questo inquadramento generale, passiamo ora ad esaminare le due decisioni dell’ACF.
Entrambe le decisioni applicano (ovvero richiamano) i principi delle Sezioni Unite, ma con esiti opposti.
Nel caso di cui alla decisione n. 2127 dell’8 gennaio 2020 l’investitore aveva dedotto la falsità della firma apposta sul contratto quadro e la nullità delle operazioni in titoli poste in essere in mancanza di un contratto quadro.
L’ACF rileva anzitutto che non era stata fornita alcuna prova della pretesa falsità, neanche attraverso una perizia di parte grafologica, con conseguente inaccoglibilità per ciò solo della domanda restitutoria.
Tuttavia l’ACF aggiunge che, “nel caso in esame deve, tuttavia, notarsi che la domanda di restituzione del capitale investito nell’operazione per cui è controversia non potrebbe trovare accoglimento neppure qualora si dovesse pervenire alla conclusione del carattere apocrifo (comunque, come detto, allo stato non riscontrabile) della sottoscrizione apposta sul contratto quadro” e che, “all’esito del rigetto, si dovrebbe, in questo caso, giungere in ragione dei principi che sono stati di recente affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza del 4 novembre 2019 n. 28314”.
2. Sulla base dei principi delle Sezioni Unite, l’ACF dell’8 gennaio 2020 rigetta la domanda del cliente, osservando quanto segue:
a) “il resistente ha ben messo in luce – sia nelle controdeduzioni sia nelle repliche – come il ricorrente, nella sua intensa attività di trading on line, abbia realizzato plurime operazioni (…) che gli hanno apportato ingenti profitti”;
b) “se si qualificano tali rilievi – come oggettivamente è possibile fare, alla luce del tenore testuale delle difese dell’intermediario – alla stregua di «eccezione di buona fede» nel senso indicato dalla Cassazione, non appare revocabile in dubbio che essa è in grado di paralizzare integralmente la pretesa restitutoria avanzata dal ricorrente riguardo al capitale investito nell’acquisto di azioni” oggetto di causa “rivelatosi rovinoso, dal momento che il ricorrente con tutti gli altri ordini di investimento, non contestati, attraverso i quali negli anni ha movimentato il proprio portafoglio – e poi in particolare con quelli riguardanti le stesse azioni” oggetto di causa”– ha ottenuto ampi profitti che neutralizzano sostanzialmente le perdite lamentate”.
3. Nel caso di cui alla decisione n. 2297 del 2 marzo 2020 l’ACF ha anzitutto accertato la nullità di un contratto derivato derivato oggetto del ricorso per mancanza di un previo contratto quadro concluso con la forma scritta richiesta dalla legge.
Da qui la legittimazione dell’intermediario a sollevare “eccezione di buona fede, mediante cui chiedere di detrarre dalla somma richiesta dal cliente quanto lo stesso cliente abbia eventualmente incassato per effetto di altri investimenti, in relazione ai quali lo stesso cliente non abbia, invece, formulato analoga domanda di nullità dei relativi ordini”.
In tal modo – precisa l’ACF – “si evita che l’uso c.d. “selettivo” della nullità causata dall’assenza a monte di un valido contratto quadro si ponga in contrasto con il principio di buona fede, arrecando un pregiudizio eccessivo all’intermediario”.
Nel caso specifico l’ACF aveva rilevato che il resistente aveva domandato che, in caso di accoglimento anche parziale delle domande della ricorrente, dalla somma liquidata a suo favore vengano detratti i flussi attivi incassati dalla stessa ricorrente, nonché qualsiasi somma a qualsiasi titolo risulti da questa dovuta al resistente”.
Tale domanda è stata interpretata dall’ACF in termini di eccezione di buona fede. Nel merito tale eccezione è stata peraltro ritenuta infondata, considerato che, “da una parte, il resistente non ha contestato che la somma richiesta dalla ricorrente (pari a € 155.295,54) sia pari al saldo tra flussi attivi e passivi generati dal contratto nullo, e quindi tenga già conto dei flussi attivi incassati dalla ricorrente. Dall’altra, il resistente non ha neanche dimostrato che la ricorrente abbia effettivamente incassato altre somme, per effetto di servizi di investimento comunque prestati dal resistente pur in assenza di un valido contratto quadro, essendosi limitato a formulare una tale eccezione solo in modo generico e indefinito”.
4. Volendo tirare le fila dell’analisi, si può osservare quanto segue:
a) entrambe le decisioni applicano, ovvero ritengono applicabili, i principi delle Sezioni Unite al caso di totale mancanza del contratto quadro (i casi da cui traggono origine le decisioni non sono quindi analoghi a quello che ha dato luogo alla pronuncia delle Sezioni Unite);
b) entrambe le decisioni ritengono di poter ravvisare nelle difese dell’intermediario l’eccezione di buona fede (nel caso della decisione del 2 marzo 2020, l’ACF riqualifica come di eccezione di buona la domanda dell’intermediario volta a detrarre dalla somma liquidata a favore del cliente “i flussi attivi incassati dalla stessa ricorrente, nonché qualsiasi somma a qualsiasi titolo risulti da questa dovuta al resistente”);
c) nel caso di cui alla decisione del’8 gennaio 2020 il vantaggio è stato identificato nel fatto che il cliente, “con tutti gli altri ordini di investimento, non contestati, attraverso i quali negli anni ha movimentato il portafoglio (…) ha ottenuto ampi profitti che neutralizzano sostanzialmente le perdite lamentate”. Purtroppo non è dato comprendere dalla decisione quale sia stata la specifica movimentazione del portafoglio e se i profitti ottenuti fossero riferibili alla vendita di titoli ovvero se l’intermediario avesse prospettato una valorizzazione (e con quali criteri) di titoli presenti in portafoglio.
V. Conclusioni
Se, come si ritiene, i principi delle Sezioni Unite sono suscettibili di un’applicazione più ampia rispetto alla tipologia di controversia da cui originano, l’entità delle vertenze in cui verranno in rilievo le questioni che abbiamo fin qui enunciato potrebbe essere non irrilevante.
Occorrerà, peraltro, attendere al riguardo l’evoluzione della giurisprudenza per comprendere quali specifici contenuti assumeranno nozioni come quella di “pregiudizio” ovvero “danno” per il cliente e di “ingiustificato sacrificio economico” per l’intermediario, ovvero ancora per comprendere in che modo saranno affrontate e risolte le questioni alle quali abbiamo accennato.
Sarà altresì interessante vedere come i principi e/o le affermazioni contenuti nella sentenza (ad esempio, in tema di giudicato) saranno eventualmente recepiti e applicati dalla giurisprudenza anche al di là dello specifico ambito dell’intermediazione finanziaria.
[1] In giurisprudenza si segnalano due decisioni di merito, inedite, che hanno applicato e/o richiamato i principi delle Sezioni Unite: a) Corte d’Appello di Lecce, 30 dicembre 2019, che ha rigettato la domanda dell’attore proprio accogliendo l’eccezione di buona fede dell’intermediario. La causa aveva per oggetto l’impugnazione di alcune operazioni in titoli che avevano dato luogo a perdite, operazioni che sarebbero state nulle in quanto non precedute dalla conclusione di un valido contratto quadro. L’intermediario aveva prodotto diversi contratti quadro sottoscritti dal cliente, ragione per cui la Corte aveva ritenuto infondata la domanda di nullità per le operazioni coperte da tali contratti. Vi erano peraltro alcune operazioni che erano state poste in essere prima della stipula dei contratti quadro, e quindi in mancanza di un contratto quadro. Per esse la Corte ha applicato i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite e, ritenuta fondata l’eccezione di buona fede, ha respinto (anche) la domanda avente per oggetto tali operazioni; b) Tribunale di Salerno del 5 marzo 2020, che ha ritenuto invocabile l’eccezione di buona fede nel caso di mancata stipula del contratto quadro in un caso in cui “la “de cuius” dell’attore” aveva “chiesto il disinvestimento totale della posizione”; ragione per cui l’uso selettivo dell’azione di nullità è stato ritenuto anche lesivo del “divieto di “venire contra factum proprium”, cioè di tenere un comportamento contraddittorio rispetto ad un comportamento precedentemente tenuto e che abbia ingenerato in capo all’altra parte un affidamento (Cass. Civ. n. 9924/2009; Cass. Civ., SS.UU., n. 21260/2016”. Per la dottrina più recente, cfr. l’analisi di Dolmetta, All’essenza della nullità di protezione: l’operatività «a vantaggio». Per una critica costruttiva di Cass. SS.UU., n. 28314/2019, in Rivista di Diritto bancario, gennaio-marzo 2020
[2] Che si fosse formato un giudicato contraddittorio con la realtà storica si spiega, quindi, con il fatto che il contratto era stato sottoscritto soltanto dall’investitore, e non anche dalla banca, e, all’epoca dei giudizio di merito, non si era ancora consolidato il principio della validità del contratto c.d. “monofirma”.
[3] In particolare, la Cassazione aveva affermato che “occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva”.