Un altro punto a favore del contribuente in tema di violazione del diritto precontenzioso. A segnarlo è stata ancora una volta la Corte di Cassazione con la sentenza 28 maggio 2015, n. 11088, la quale ha affermato che l’atto impositivo sottoscritto – e dunque “emanato” dal funzionario dell’Ufficio in data anteriore alla scadenza del termine di cui all’art. 12, comma 7, L. 212/2000 è illegittimo, per violazione della disciplina del contraddittorio endoprocedimentale, ancorchè la relativa notifica al contribuente sia effettuata dopo tale scadenza.
Tale principio vale anche nel caso in cui tra lo spirare del termine di sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di notifica e l’emissione del successivo accertamento il contribuente non abbia presentato osservazioni e richieste.
Sono questi i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione nella sentenza 28 maggio 2015, n. 11088, in relazione ad un caso nel quale la verifica fiscale si era conclusa il 22.09.2010, mentre l’accertamento era stato emesso il 18.11.2010, notificato il 23.11.2010 e ricevuto dal contribuente il 25.11.2010.
I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza di secondo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento, ritenendo che lo stesso fosse stato emesso ante tempus, specificando che, ai fini del computo del termine di sessanta giorni occorre prendere come riferimento la data del rilascio del processo verbale di constatazione e quella della emissione (sottoscrizione) dell’avviso di accertamento. Nel caso di specie, pertanto, erano trascorsi solo 57 giorni, a nulla valendo la successiva notifica effettuata dall’Ufficio in data successiva alla scadenza del sessantesimo giorno.
Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità hanno dimostrato di non condividere le differenti posizioni in precedenza assunte dalla Suprema Corte con le sentenze n. 15648 e 25118 del 2014.
In particolare, con la prima, la Corte aveva cassato la sentenza di merito che aveva annullato l’avviso di accertamento poiché emesso prima della scadenza dei sessanta giorni, ma notificato in data successiva, sostenendo che non sussisteva alcuna violazione del contraddittorio, in quanto, finchè l’atto resta nella sfera interna dell’amministrazione – e, dunque, prima della notifica – non è idoneo a costituire esercizio della potestà impositiva.
Con la seconda pronuncia, invece, la Corte, sempre con riferimento ad un avviso di accertamento emesso prima dei sessanta giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione, ma notificato in data successiva, aveva statuito che la censura sollevata dal contribuente sulla violazione del contraddittorio precontenzioso non era accoglibile per carenza di interesse concreto, non avendo costui presentato delle memorie difensive.
Con la pronuncia in commento, invece, la Corte di Cassazione si pone su una linea maggiormente garantista per il contribuente, affermando che la violazione del contraddittorio precontenzioso sussiste quando l’avviso di accertamento venga emesso dal funzionario prima della scadenza dei sessanta giorni dalla data del rilascio del processo verbale di constatazione, indipendentemente, dunque, dal fatto che la notifica sia avvenuta successivamente e a nulla valendo la mancata produzione di memorie difensive.
A tali conclusioni si giunge, secondo la Corte, valorizzando il dettato letterale dell’art. 12, comma 7 della L. 212/2000, che testualmente afferma “l’avviso di accertamento non può essere emanato”, espressione che“non può essere intesa come equivalente a “non può essere notificato o, comunque, altrimenti portato a conoscenza legale del contribuente”. E ciò – spiega la Corte –“per due ordini di considerazioni. In primo luogo perché la notificazione è una mera condizione di efficacia, e non un elemento costitutivo, dell’atto amministrativo di imposizione tributaria cosicchè, quando l’atto impositivo viene notificato, o comunque portato a conoscenza del destinatario, esso è già esistente e perfetto, il che significa che è già stato “emanato”…
In secondo luogo, perché … la norma in esame tende a garantire il contraddittorio procedimentale, ossia a consentire al contribuente di far valere le proprie ragioni nel momento stesso in cui la volontà impositiva si forma quando l’atto impositivo è ancora in fieri”, ragion per cuil’Ufficio deve“attendere il decorso del termine previsto dalla legge per la formulazione delle osservazioni e richieste del contribuente, prima di chiudere il procedimento di formazione dell’atto, ossia prima che lo stesso venga redatto in forma definitiva e, quindi, datato e sottoscritto dal funzionario che ha il potere di adottarlo; vale a dire, come appunto la legge recita, venga “emanato”.
La sentenza in commento contribuisce ad implementare il caldo tema del contraddittorio preventivo, allungando le fila di una serie di pronunce che si sono espresse pro contribuente. Si ricordi, infatti, l’attuale contrasto giurisprudenziale in tema di contraddittorio preventivo nelle c.d. “indagini a tavolino”, per il quale si è in attesa di una pronuncia delle Sezioni Unite a seguito della ordinanza di rimessione n. 527/2015, anche se l’ago della bilancia sembra ormai propendere senza troppe incertezze per l’orientamento più garantista (cfr. Cass., 2594/2014 sulle verifiche scaturenti da indagini finanziarie, Cass., SS.UU. 19667/2014 sulla comunicazione ipotecaria).
Non resta che attendere a questo punto la pronuncia delle Sezioni Unite sull’ordinanza di rimessione, auspicandosi che la Corte di Cassazione – conscia dei suoi ultimi importanti recenti arresti cui la sentenza odierna (11088/2015) contribuisce senza dubbio a dare manforte – si esprima nel senso di una garanzia a 360° del contraddittorio preventivo.