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Editoriali

Nuove regole di governo dei problemi finanziari

30 Novembre 2020

Giulio Tagliavini

Professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari, Università degli Studi di Parma

Di cosa si parla in questo articolo

Da alcuni mesi, in via progressiva, osserviamo l’introduzione di dinamiche decisamente nuove nel governo dei problemi bancari e finanziari.

Sotto un primo punto di osservazione, vediamo che la view complessiva circa i problemi del debito pubblico è mutata. Un anno fa il debito pubblico italiano ci terrorizzava, in quanto pari al 134.8% del PIL. Adesso ci terrorizza ancora, essendo previsto in crescita al 160%, ma allo stesso tempo non capiamo più bene per quale ragione ci spaventasse a 134,8% e, di conseguenza, non siamo più sicuri che il dato nuovo ci debba spaventare nella stessa misura. È un debito che pagheranno i nostri nipoti? O hanno qualche ragione quegli economisti che ritengono questo squilibrio come – tutto sommato – secondario (in assenza di inflazione)?

Vediamo inoltre che lo spread tra i titoli italiani e i titoli dei paesi con economie più solide è molto più basso ora di quanto non fosse in periodi precedenti, durante i quali il rischio di tali titoli era certamente più limitato. È cresciuto il rischio (non abbiamo dubbi su questo) e, allo stesso tempo, è diminuito lo spread. Cominciamo a convincerci che evidentemente lo spread misura qualcosa di differente rispetto a un equilibrio di mercato, che tiene conto del grado di rischio differenziale.

Il momento di difficoltà attuale non prende origine dal mondo finanziario, ma da un fatto sanitario, e rischia di propagarsi come conseguenza in squilibri sulle dinamiche finanziarie. Il Quantitative Easing è stato progettato ed attuato prima della pandemia, e si dimostra un mezzo potente anche nella fase attuale. Il mercato azionario è in condizioni brillanti. Le banche sono al sicuro da crisi di fiducia. Le autorità monetarie intervengono efficacemente a difesa del livello dei mercati azionari e della liquidità bancaria, con un mix di obiettivi indubbiamente nuovo.

Debito pubblico, spread di rischio, mercato azionario, banche, sono tutti elementi che, in qualche misura, sono state sottratti alle logiche di mercato. Questo porta alcuni osservatori a parlare di “nazionalizzazione” dei mercati finanziari. Quello che stiamo riscontrando corrisponde al disegno di stendere “reti di sicurezza” e allontanare pericoli di contagio. In una grande misura è una direzione opportuna. È quello che ci aspettiamo in un momento di particolare incertezza.

Questa opera finalizzata a stendere “reti di sicurezza” sta progredendo ulteriormente, su temi macro e su temi di gestione della banca. Sul profilo macro, si tratta di concretizzare la direzione di lavoro già delineata, annunciata e in fase di attuazione: affiancare nuovi strumenti di politica fiscale agli strumenti già operativi di politica monetaria. È uno spostamento di focus definito per l’Europa (sia pure di attuazione molto difficoltosa in ragione dei vincoli di coordinamento tra paesi europei) e per gli Stati Uniti. Fornirà grande supporto all’economia, e produrrà tutti gli effetti collaterali che temiamo (sui processi concorrenziali tra settori, tra operatori forti e fragili, sulla competizione tra nazioni).

Sul profilo gestionale delle banche abbiamo visto un importante esempio (aggiuntivo) sulla dividend policy. Le banche si adeguano da tempo a una vigilanza prescrittiva sul livello di capitalizzazione. Ma il profilo del dividendo è aggiuntivo, in quanto restringe la possibilità dei banchieri di pianificare manovre per relazionarsi al meglio con i propri azionisti. Le controindicazioni sono evidenti. Più in generale, la pandemia si trasferisce sui conti delle banche, indebolendoli, attraverso il rischio di credito. Le misure di definizione e gestione del rischio di credito sono cruciali. È vero che le banche devono avere a disposizione capitale effettivo, e non capitale depotenziato, nei fatti, da svalutazioni di prestiti non (ancora) esplicitate in bilancio. Ma detto questo sulla linea di principio generale, è anche vero che le banche operano come “buffer” che assorbono squilibri che hanno rilevanza secondaria e superabile. Se prendiamo a riferimento una definizione molto restrittiva di “continuità aziendale”, causiamo effetti negativi complessivi, anche per la resilienza del sistema bancario.

Nel complesso, dunque, vediamo che si sta concretizzando un fenomeno che potremmo addirittura considerare una “nazionalizzazione” dei problemi finanziarie e del credito. Per nazionalizzare una banca non è necessario detenerne il capitale. È sufficiente detenere il diritto di condizionare le decisioni importanti. Questa dinamica corrisponde a una attenuazione dello spazio di azione delle regole di mercato. Opportuno nel breve termine. Più complesso dirlo su tempi più lunghi.

Tutto questo ha un rilievo enorme sui profili giuridici. Lungo diverse direzioni: 1) la elaborazione delle regole ha un rilievo maggiore rispetto a contesti in cui ci si limita ad imporre principi generali o regole su profili di base; 2) il tema della compliance risulta avere un peso enormemente potenziato; 3) la qualità delle regole per il governo dell’economia e della finanza (e gli strumenti e le procedure di gestione di tale regole ed enforcement) è decisiva per il supporto della competitività nazionale; 3) gli effetti potenzialmente distorsivi devono essere osservati e gli interessi che vengono colpiti devono essere tutelati.

La capacità di affrontare gli effetti economici della pandemia e, in particolare, la capacità di affrontare le conseguenze sul livello dell’indebitamento delle imprese e, più esattamente, l’inasprimento del rischio di credito, dipende molto dal livello delle difficoltà di partenza. Un particolare livello di debolezza di partenza comporta una vulnerabilità delle imprese nella competizione internazionale e nella definizione dei flussi delle acquisizioni transfrontaliere e, naturalmente, si ripercuote sulla solidità delle banche. Norme come il “calendar provisioning” (la definizione stringente di default) e la policy di ritenzione dell’utile delle banche hanno un obiettivo dichiarato sempre opportuno. Ma anche hanno la conseguenza di rendere rigido il sistema in un momento in cui la rigidità può essere controproducente. Un sistema reso rigido, infatti, affronta la perturbazione spezzandosi o finendo comunque vittima delle proprie debolezze. Il prezzo delle azioni delle banche italiane tiene conto di questa particolare difficoltà dell’economia italiana e delle condizioni di rischio.

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