La crisi che ormai da anni attanaglia l’economia italiana ha reso sempre più difficile, complesso e oneroso l’accesso al credito da parte delle imprese, in particolare quelle di piccole medie dimensioni (PMI). Una delle misure, più innovative benchè ancor poco utilizzata, adottata dal precedente Governo, per cercare di superare questa congiuntura negativa, è la normativa relativa ai nuovi strumenti di finanziamento, minibond e cambiali finanziarie.
Nell’estate del 2012, il D.L. 22 giugno 2012, n. 83 – cosiddetto “Decreto Sviluppo” – approvato dal Governo Monti con l’obiettivo di allineare le opportunità finanziarie del sistema nazionale a quelle offerte dai più avanzati sistemi industriali e finanziari europee, ha introdotto la possibilità anche per le società non quotate e per le PMI italiane di emettere dei veri e propri titoli di debito, a breve (cambiali finanziarie) e a medio-lungo termine (minibond), al fine di ottenere nuova finanza e nuove risorse monetarie. Si tratta, pertanto, di un ulteriore strumento messo a disposizione delle imprese italiane per la raccolta di capitali finanziari che può essere alternativo, complementare o anche sostitutivo rispetto alla raccolta presso soci o presso il settore bancario.
Premettiamo che per “piccole” si intendono le imprese con meno di 50 dipendenti ed un fatturato annuo o uno stato patrimoniale annuo inferiore a 10 milioni di Euro mentre per “medie” si intendono le imprese con meno di 250 dipendenti ed un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro o un totale dell’attivo dello stato patrimoniale inferiore a 43 milioni di euro.
Le imprese, piccole e medie, non quotate possono emettere questi strumenti finanziari al ricorrere di determinate condizioni, tra le quali:
- il supporto di uno Sponsor (una banca o intermediario finanziario) coadiuvato, se ritenuto opportuno, da un Advisor, che assista l’impresa nella gestione della procedura di emissione dalla fase iniziale fino al collocamento vero e proprio,
- la certificazione dell’ultimo bilancio sociale da parte di un revisore legale o di una società di revisione iscritta tra i revisori,
- gli strumenti finanziari emessi devono essere collocati obbligatoriamente presso “investitori qualificati” che non siano, direttamente o indirettamente soci della società e devono essere destinati alla circolazione esclusivamente tra tali investitori.
Se si tratta di titoli non quotati, lo sponsor dovrà procedere ad una valutazione periodica, nonché ad una classificazione delle società emittenti in una categoria di rischio alla luce della capacità di rispettare i propri obblighi. In particolare, lo sponsor avrà l’obbligo di mantenere nel proprio portafoglio fino alla scadenza una quota dei titoli emessi, facilitando la liquidità degli scambi sui titoli per tutta la durata dell’emissione, nella seguente misura:
- una quota non inferiore al 5% del valore di emissione, per le emissioni di valore fino a 5 milioni di euro;
- in aggiunta alla quota precedente, un ulteriore 3% del valore di emissione eccedente i 5 milioni di euro fino a un valore massimo di 10 milioni di euro;
- un’ulteriore quota del 2% per il valore dell’emissione eccedente i 10 milioni di euro.
Lo sponsor dovrà anche provvedere a classificare la categoria di rischio dell’emittente, tenendo conto della qualità creditizia dell’impresa e dovrà fornire aggiornamenti almeno trimestrali sulla classificazione di rischio ed ogni qualvolta intervenga un elemento straordinario.
Il delinearsi di questo nuovo modello finanziario e l’introduzione di eccezioni ai vigenti limiti quantitativi all’emissione, potrebbero far pensare all’avvio di un processo di rivisitazione del concetto dell’attività creditizia quale “attività riservata” al sistema bancario, così come l’istituzionalizzazione del ruolo di sponsor sembra rappresentare un passo importante verso la “disintermediazione” nell’accesso al credito, in cui le istituzioni bancarie da prestatori di ultima istanza divengono “facilitatori” del processo di finanziamento della propria clientela corporate.
Ci spieghiamo. I vigenti limiti quantitativi riguardano le società non quotate, che non possono emettere obbligazioni per “una somma complessivamente eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato” (art. 2412 codice civile).
La norma in parola peraltro consente il superamento di tali limiti solo a condizione che i titoli obbligazionari siano sottoscritti da investitori professionali sottoposti a vigilanza prudenziale e dispone che, in caso di successiva circolazione, i sottoscrittori rispondano della solvenza dell’emittente nei confronti degli acquirenti dei titoli che non siano investitori professionali.
Evidentemente la disciplina del Codice Civile limita fortemente la possibilità di fare ricorso all’emissione di obbligazioni da parte di società non quotate.
Ecco che entra in gioco il comma 26 dell’articolo 32 del Decreto Sviluppo, che ha innovato il tema introducendo eccezioni al limite quantitativo per quanto attiene alle emissioni: (a) di obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione e (b) di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni.
L’utilizzo dei “nuovi strumenti di finanziamento” potrebbe dunque essere estremamente interessante per strutture di private equity, ipotizzando l’abbinamento tra l’iniezione di capitale e l’emissione di titoli obbligazionari. In questi casi la messa a disposizione – attraverso la sottoscrizione di titoli obbligazionari – di finanza in favore di PMI non passerebbe attraverso l’obbligatoria intermediazione di una istituzione bancaria o finanziaria, essendo sufficiente l’appartenenza alla categoria di investitore professionale.
Contestualmente all’introduzione della normativa sui nuovi strumenti di finanziamento, Borsa Italiana, per agevolare la circolazione degli stessi presso investitori qualificati e offrire alle PMI un mercato italiano dove cogliere le opportunità offerte dalla normativa, ha sviluppato una piattaforma di riferimento chiamata “Extra Mot Pro” totalmente dedicata alla quotazione e allo scambio dei Minibond e delle cambiali finanziarie.
I vantaggi che derivano dall’emissione di questi strumenti, per le aziende non quotate, sono notevoli:
- la possibilità di accedere a mercati regolamentati e a canali di finanziamento extra-bancari, finora riservati solo alle società quotate, con l’opportunità do ottenere in tempi brevi la liquidità necessaria agli investimenti previsti;
- una maggiore diversificazione delle fonti di raccolta;
- la pubblicità gratuita sui media del settore nel momento del collocamento obbligazionario sul mercato Extra Mot Pro;
- da un punto di vista fiscale gli interessi passivi, a determinate condizioni e limiti, sono deducibili;
- sono previste anche delle esenzioni fiscali proprie delle obbligazioni societarie, rendendo di fatto neutrale, anche per gli investitori esteri, la scelta tra i vari strumenti di credito a condizione che detti strumenti finanziari siano negoziati nei richiamati mercati regolamentati.
Approfondendo rapidamente le agevolazioni di natura fiscale, il Decreto Sviluppo ha previsto:
- per la società emittente, la deducibilità degli interessi passivi entro il 30% del reddito operativo lordo (ROL) sia per i titoli quotati sia per i titoli non quotati, per quest’ultimi a condizione che circolino tra investitori qualificati, nonché la deducibilità, nel corso dell’esercizio nel quale sono state sostenute, delle spese di emissione dei titoli;
- per l’investitore che acquista i titoli su mercati regolamentati, è prevista un’imposta sostitutiva pari al 20% dell’interesse maturato sul titolo e l’erogazione dei proventi al lordo dell’imposta, per i soggetti lordisti residenti in Italia;
- per l’investitore estero residente in Paesi white list, invece, l’esenzione dall’applicazione della ritenuta alla fonte sugli interessi ed altri proventi per le obbligazioni e le cambiali finanziarie quotate su mercati regolamentati.
Alcuni studi pubblicati dal Ministero dello Sviluppo Economico stimano che il mercato dei minibond potrebbe valere tra i 50-100 miliardi l’anno. È fin troppo evidente, leggendo queste cifre e in un contesto di crisi come quello attuale, come non sia possibile, per le PMI italiane non quotate, prescindere da questi nuovi strumenti di finanziamento sia per possibilità di avere un ulteriore canale di accesso al credito indipendente da quello bancario sia per la possibilità di realizzare una struttura patrimoniale e finanziaria equilibrata e flessibile, in grado di rispondere alle turbolenze dovute alla competitività dei mercati.