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Giurisprudenza

Obbligazioni Parmalat ed obbligazioni Argentina: banca condannata per non aver informato del rischio

17 Maggio 2012

Corte d’Appello di Torino, 10 aprile 2012, n. 615

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 615 del 10 aprile 2012 la Corte d’Appello di Torino affronta il tema degli obblighi informativi e di astensione dall’eseguire operazioni inadeguate in capo agli intermediari relativamente ad operazioni di investimento in obbligazioni Parmalat ed obbligazioni Argentina.

Di particolare interesse l’analisi delle circostanze di fatto che hanno spinto la Corte d’Appello di Torino a riformare parzialmente la decisione del Tribunale, condannando l’intermediario al risarcimento del danno patito dall’investitore.

Obbligazioni Parmalat

Per quanto attiene il danno da investimento in obbligazioni Parmalat, la Corte evidenzia come, se è vero che il default della Parmalat si verificò in maniera subitanea e non prevista da parte del mercato, altrettanto indubbio è che vari elementi di analisi avrebbero dovuto indurre gli intermediari a ravvisare, nella situazione del gruppo, più di un motivo di allarme, se non univocamente volto a preconizzare un vero e proprio fallimento, certamente significativo di una particolare rischiosità degli investimenti in titoli emessi dalle società del gruppo medesimo.

In particolare, la Corte d’Appello di Torino, nel riprende la perizia penale prodotta fra gli atti di causa e relativa a risultanze di bilancio ed attingibili presso la Centrale Rischi – e, dunque, conosciute o comunque conoscibili dagli operatori bancari – ha evidenziato le seguenti tre anomalie.

La prima, riguardante l’ingente emissione di obbligazioni da parte di Parmalat effettuata pur a fronte della dichiarazione in bilancio di rilevantissime disponibilità liquide; tale contraddizione non appariva giustificata da ragioni di carattere finanziario, tenuto conto degli interessi passivi pagati e degli interessi attivi che l’anzidetta liquidità avrebbe generato se fosse stata investita in titoli sostanzialmente privi di rischio, come sempre dichiarato dalla società.

La seconda, concernente il fatto che la Centrale Rischi e le banche-dati evidenziavano complessivamente un’esposizione debitoria superiore a quanto esposto dai bilanci; in particolare, la Centrale Rischi evidenziava l’utilizzo di linee di credito autoliquidanti in misura largamente superiore al fatturato di Parmalat, cioè la società finanziata da tali linee di credito.

Una terza, insita nel fatto (che certamente non poteva sfuggire alla banca) che le obbligazioni Parmalat venivano appositamente emesse attraverso consociate finanziarie estere, al fine di aggirare i limiti imposti dalla normativa nazionale ex artt. 2410 segg. cod.civ..

Secondo la Corte d’Appello di Torino, tali anomalie avrebbero dovuto far meglio comprendere il fatto che il rating di Parmalat, al momento dell’emissione dedotta in giudizio (intervenuta non più di un anno e mezzo prima del default), fosse "BBB-"; vale a dire, ancora di "investment grade", ma già al limite della natura speculativa e di rischio, e comunque al limite basso della classificazione di affidabilità.

Ciò premesso, la Corte d’Appello di Torino ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra l’inadempimento informativo della banca e la verificazione del danno patito dall’investitore, il quale, se adeguatamente informato, avrebbe potuto optare per un investimento in titoli (magari anche azionari) di maggiore affidabilità, posto che il rendimento delle obbligazioni Parmalat, pari al 5,125%, non appariva così elevato nè di per sé tale da rendere manifesto al cliente il livello di rischio.

Ancora, la Corte d’Appello di Torino ha ravvisato l’inadeguatezza dell’investimento non soltanto in ragione della tipologia del titolo, ma anche e soprattutto per dimensione dell’investimento, posto che, nel caso di specie, l’operazione venne eseguita per l’importo di euro 269.061,25, a fronte di un portafoglio complessivo di euro 761.924,83. Rispetto a tale portafoglio,la quota Parmalat era pertanto corrispondente a circa il 35%; nella considerazione globale dei titoli di maggior rischio, la quota raggiungeva, con i titoli Argentina acquistati circa un anno prima, oltre il 40 %.

Obbligazioni Argentina

Per quanto attiene l’investimento in obbligazioni Argentina, la Corte d’Appello di Torino ha evidenziato come, quand’anche fosse stato fatto richiamo alla circostanza che i titoli erano emessi da autorità di Paesi emergenti, ciò non poteva dare conto della realtà di una situazione contingente nella quale il ‘rating’ allora disponibile (BB, BA3, BB-) presso le principali agenzie internazionali di valutazione (Moody’s, Standard & Poor’s) collocava i titoli in questione nella tipologia puramente speculativa, dal futuro non sicuro e fortemente esposti, nelle loro prospettive di remunerazione e rimborso, alle variazioni economiche generali del Paese emittente.

Di tale situazione, già conclamata al momento delle sue operazioni di investimento, e certamente nota o comunque agevolmente conoscibile da parte della banca, doveva essere edotto l’investitore.

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