Con la sentenza in oggetto, il Tribunale di Viterbo si è espresso in merito agli obblighi informativi, di adeguatezza e divieto di effettuare operazioni in conflitto di interessi nella prestazione di servizi di investimento.
La sentenza resa in grado di appello dal Tribunale di Viterbo conferma sostanzialmente la decisione del giudice di prime cure (che aveva risolto il contratto intercorso tra le parti ed ordinato la restituzione delle somme investite) evidenziando alcuni principi che testualmente si riportano:
1) Il richiamo alla pubblicazione del “prospetto informativo” ed alla consegna della “scheda prodotto”, così come all’inoltro dell’estratto conto periodico, è insufficiente al fine di contraddire l’assenza di prova che è stata ritenuta rispetto all’osservanza dell’obbligo di cui all’art. 21 dlgs 58/1998 -TUF: non risulta dimostrato che l’investitrice sia stata effettivamente e concretamente informata sulla natura dell’operazione finanziaria e sui rischi ad essa connessi, con specifico riferimento al carattere “illiquido” del prodotto ed alla conseguente difficoltà di smobilizzo. Infatti, non soddisfa tale obbligo il “fornire informazioni generiche e approssimative, ma è necessario soddisfare il bisogno informativo dei destinatari nel caso concreto”.
2) In disparte la dubbia profilatura della cliente come “rischio medio” (pur a fronte dell’obiettivo di protezione del capitale), deve essere confermato il giudizio di incoerenza in relazione all’acquisto di azioni non quotate sui mercati regolamentari, in quanto suscettibili di determinare la perdita integrale dell’investimento. D’altro canto, va respinta la censura secondo cui sarebbe priva di fondamento l’attribuzione a queste ultime del “rischio elevato”, in contrasto con la classificazione come “basso” e poi “medio”: siffatta qualificazione non si basa sulla successiva (e perdurante) difficoltà di realizzo (in concreto registrata) ma sull’intrinseca natura di tali strumenti, in conformità alla particolare tutela delineata dall’art. 44 regolamento Consob.
3) Appare quindi del tutto congrua la conclusione secondo cui deve ritenersi “la negligenza professionale della banca convenuta per violazione del divieto di dare corso ad operazioni finanziarie non adeguate al profilo di rischio dell’investitore mandante senza avvertirlo delle ragioni specifiche dell’inadeguatezza, con violazione del mandato, avendo comportato per il mandante l’acquisizione di valori mobiliari rischiosi ed in una situazione di conflitto di interessi della parte mandataria.
4) La gravità dell’inadempimento, reiterato nel tempo, è idonea a supportare la risoluzione negoziale, con conseguente effetto reciprocamente restitutorio”.
Il Giudice pertanto – dopo aver confermato sostanzialmente la sentenza favorevole al risparmiatore eccettuata la restituzione dei dividendi già percepiti – condannava la Banca alla refusione delle spese di lite.