La sentenza della Corte di cassazione n. 18039 del 19 ottobre 2012 si segnala, non per la novità delle statuizioni, ma per il carattere non originale degli argomenti addotti a sostegno delle ragioni dell’intermediario finanziario convenuto: invece che provare di aver adempiuto agli obblighi di condotta ed ai requisiti di forma imposti dal previgente articolo 29 del Regolamento Intermediari 11522 del 1998, l’intermediario sostiene che il cliente – riportiamo i virgolettati della sentenza – “non è uno sprovveduto” ed “è abituato ad investire per conseguire guadagni”.
Questo modo di argomentare è ovviamente disatteso dalla Corte di cassazione, che non può non applicare, molto semplicemente, l’art. 21 TUF e l’art. 29 del Regolamento Intermediari 11522 del 1998 e rinviare la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, affinché essa motivi sulle “modalità con cui la banca ha acquisito le informazioni relative alla situazione finanziaria, agli obiettivi di investimento e alla propensione al rischio del signor Gallotta”.
Il rinvio appare tuttavia problematico, perché, una volta accertato e motivato, in ipotesi, che l’intermediario non avesse adempiuto agli obblighi di condotta e che non fossero presenti i requisiti di forma, l’emananda sentenza di rinvio dovrebbe porsi il conseguente quesito circa la conseguenza dell’inosservanza dell’obbligo di astensione dal compimento delle operazioni: se cioè la perdita conseguente al compimento delle operazioni debba restare a carico del cliente ovvero debba ricadere sull’intermediario in ragione della violazione di un testuale obbligo di astensione e così della configurabilità di un danno in re ipsa, che solleva il cliente dall’onere della prova del nesso di causalità. E’, questo, l’iter logico giuridico inaugurato sin dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. 26724 e 26725 del 19 dicembre 2007 le quali hanno elaborato la regola secondo cui quando “l’obbligo di astensione sia stato violato (…), assumono rilievo le conseguenze del fatto che l’intermediario non si sia astenuto dal compiere un’operazione dalla quale, in quelle circostanze, avrebbe dovuto astenersi (…), non quelle derivanti dalle modalità con cui l’operazione è stata in concreto realizzata o avrebbe potuto esserlo ipoteticamente da altro intermediario” (sentenze nn. 26724 e 26725 in data 19 dicembre 2007, in Contratti, 2008, 231 ss. ed in Giur.it., 2008, 347 ss.). Regola perfettamente colta e valorizzata dalla giurisprudenza di merito (secondo App. Milano, 28 marzo 2012, Pres. Di Leo – Rel. Raineri, “può dirsi ormai consolidato l’orientamento secondo cui non è necessario procedere alla verifica del nesso causale tra violazione delle regole di condotta e danno quando si è in presenza di un’operazione non adeguata, di cui non sia stata fornita specifica segnalazione per iscritto all’investitore, poiché non sono le concrete e specifiche modalità esecutive a venire in questione, ma il compimento stesso dell’operazione, che non avrebbe dovuto avere luogo”; secondo la App. Torino, 2 febbraio 2011, Pres. Griffey – Rel. Stalla “nel caso di operazioni inadeguate” sussiste “una tipica responsabilità da mancata astensione” e “l’accertamento contro fattuale della relazione causale va svolto con riguardo alla situazione obiettivamente accertata ed alla violazione del precetto immediato di astensione (compimento di un investimento pregiudizievole che si aveva l’obbligo di non compiere), non già a quella che si sarebbe potuta eventualmente determinare in ipotesi di adempimento della banca al precetto mediato costituito dall’obbligo di segnalazione dell’inadeguatezza”; il Tribunale di Milano, con due sentenze in data 14 febbraio 2009 – Trib. Milano, 14 febbraio 2009, Pres. Bernardini – Rel. Raineri, inCorr.giur., 2009, pagg. 984 – e 18 febbraio 2009 – Trib. Milano 18 febbraio 2009, Pres. Vanoni, Rel. Raineri – ha statuito che, dopo le Sezioni Unite, “sul rimedio (risarcimento e non nullità) e sul nesso inadempimento e danno (da considerarsi sussistente in re ipsa per il semplice fatto della violazione del divieto) non residuano spazi di dubbio. E questo collegio, al di là del doveroso rispetto per l’autorevole pronuncia, ritiene di condividere il principio secondo cui nella fattispecie di conflitto (e di inadeguatezza) deve considerarsi irrilevante l’indagine sul nesso causale fra inadempimento e danno”; nello stesso senso milita un ulteriore precedente del Tribunale di Milano – Trib. Milano, 3 giugno 2008 – nonché la giurisprudenza del Tribunale di Venezia – Trib. Venezia, 28 febbraio 2008, in www.ilcaso.it – nonché il Tribunale di Mondovì secondo cui “la violazione del divieto di eseguire operazioni non adeguate in assenza di uno specifico avvertimento scritto preclude ogni accertamento circa il nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno che deve ritenersi sussistente in re ipsa”.
Al riguardo, il principio di diritto che si rivelerà decisivo nel prosieguo è più articolato di quanto potrebbe apparire ad una prima lettura della sentenza: perché centrale si rivelerà non solo la prova – a carico dell’intermediario – di avere adempiuto agli obblighi necessari per evitare l’insorgenza dell’obbligo di astensione, bensì l’applicazione della regola che, in presenza dell’obbligo di astensione, esonera il cliente dalla prova del nesso di causalità e così giustifica, sotto ulteriore e rilevante profilo, ciò che la stessa sentenza ripetutamente chiarisce, e cioè che nessun rilievo assume per escludere la condanna dell’intermediario la circostanza che il cliente “non (fosse) sprovveduto” e fosse “abituato ad investire per conseguire guadagni”.