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Editoriali

Offerte iniziali e scambi di cripto-attività: il nuovo approccio regolatorio della Consob

4 Aprile 2019

Antonella Sciarrone Alibrandi

Prorettore, Ordinario di diritto bancario, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Presidente dell’Associazione dei docenti di diritto dell’economia (ADDE)

Di cosa si parla in questo articolo

1. La Consob ha da qualche settimana pubblicato un “Documento per la discussione” in tema di Initial Coin Offering (ICO) e cripto-assets. Tale Documento si segnala, innanzitutto, per alcune scelte innovative – di respiro europeo – sotto il profilo della strategia regolatoria prescelta.

Esso costituisce, in primo luogo, un’innovativa e apprezzabile formula di better regulation, che si discosta dagli ormai ben noti documenti di consultazione predisposti dalle authority nazionali prima dell’emanazione di normativa secondaria per avvicinarsi invece ai documenti proposti dai supervisor europei (EBA, ESMA, EIOPA) su temi particolarmente nuovi (come il FinTech), riguardo ai quali si vogliono raccogliere, con maggiore ampiezza e libertà di espressione – anche attraverso un Public Hearing – , i suggerimenti del mercato e degli esperti. Grazie a questa strategia normativa, il regolatore può giovarsi infatti di uno strumento di “istruttoria legislativa”, i cui benefici si rivelano tanto più importanti quanto più tecnologicamente complessi sono i servizi finanziari che intendono erogarsi.

Inoltre, il Documento in esame presenta una seconda caratteristica innovativa basandosi sul cosiddetto regime di opt-in ovvero sulla attribuzione agli operatori di una facoltà di scelta rispetto al canale da seguire (regolamentato o meno), che, nel caso specifico, si concretizza nella messa a disposizione di uno schema di autorizzazione opzionale cui consegue l’applicazione di un set disciplinare ad hoc. Le motivazioni alla base di tale approccio – che può dirsi un trend emergente anche a livello europeo (basti vedere la recente Proposta di regolamento in tema di European Crowdfunding Service Providers – ECSP –, tutta costruita attorno a un regime di opt-in) – sono chiare. Tale regime è ritenuto, infatti, costituire un punto di equilibrio fra l’esigenza di non ostacolare l’innovatività nell’industria finanziaria e quella di attrarre in un’area regolamentata alcuni fenomeni di innovazione introducendo forme di incentivo disciplinare senza dare vita a una vera e propria riserva di attività. Premesso che si tratta di una strategia regolatoria nuova, rispetto alla quale vi sono ancora troppo pochi elementi su cui basarsi per valutarne la bontà in termini di capacità di offrire adeguata tutela a tutti gli interessi in gioco, non ci si può esimere tuttavia dal formulare, in via di prima impressione, una perplessità di fondo. Dall’introduzione di regimi di opt-in in ambito finanziario parrebbe, infatti, derivare un potenziale peggioramento in termini di trasparenza per gli investitori finali ma anche per coloro che al mercato si rivolgono nell’ottica del capital raising: entrambi si dovranno districare non solo fra le sempre più numerose tipologie di prodotti e servizi che sono l’esito delle tecnologie abilitanti (piattaforme, DLT, etc.) ma anche fra le varianti “regolate e non” dei medesimi da cui discende un differente quadro regolatorio di riferimento. Che questa sia la strada preferibile da percorrere per la costruzione, a livello europeo, di un efficiente mercato unico dei capitali è lecito nutrire qualche dubbio…

2. Venendo al merito di alcune scelte compiute nel Documento in esame, l’obiettivo della Consob è giustamente ambizioso perché propone un “esercizio di definizione” degli elementi costitutivi di ICO e token nel tentativo di tipizzare le cripto-attività alla stregua di un’autonoma categoria cui ricollegare una disciplina ad hoc.

Si tratta senza dubbio di una questione centrale posta anche a livello europeo dall’ESMA in un recente advice rivolto alla Commissione europea volto a sollecitare una revisione della MiFID 2 proprio sotto il profilo della categoria degli “strumenti finanziari” di cui si suggerisce la modifica al fine di renderla idonea a ricomprendere anche alcune tipologie di crypto-asset. Di taglio nettamente differente è al riguardo la scelta della Consob che, nel vigente quadro normativo europeo e anche considerata la presenza nel nostro ordinamento dell’ulteriore tipologia dei “prodotti finanziari”, ragiona, se così si può dire, in un’ottica opposta a quella che vorrebbe ricondurre le cripto-attività a categorie già esistenti e disciplinate. Nel Documento, infatti, non si suggerisce una riconduzione dei token ai “prodotti finanziari”, che condurrebbe alla non auspicabile applicazione delle regole del prospetto e dell’offerta a distanza, entrambe inidonee alla tutela degli interessi in gioco nel fenomeno in discorso. Ad essere proposta è, invece, una tipologia domestica di “cripto-attività”, dotata di un suo proprio set disciplinare light e sottratta, sempre nella logica dell’opt in, alla disciplina TUF dei prodotti finanziari (ma non, evidentemente, a quella degli strumenti finanziari codificati dalla MiFID e dei prodotti di investimento quali PRIIP, PRIP e IBIP). La soluzione proposta è senz’altro interessante e apprezzabile in primis in quanto consapevole del fatto che una delle ragioni di fondo della diffusione del FinTech sia da rinvenirsi proprio nell’eccessiva rigidità e pesantezza del vigente quadro normativo in materia finanziaria che non è opportuno quindi andare ad estendere, invariato, anche alle nuove forme di operatività che si sono sviluppate nella prassi.

3. Un ulteriore ragione di apprezzamento del Documento in discorso risiede poi nella scelta di un approccio regolatorio interessato non solo alla fase delle nuove emissioni di crypto-asset (prospettiva assai comune a livello di documenti internazionali e di altri Stati membri quali Francia, Regno Unito e Malta), ma anche alla fase, fino a questo momento più inesplorata, della successiva negoziazione delle cripto-attività oggetto di preventiva emissione e diffusione al pubblico. Dopo aver infatti individuato nella potenziale negoziabilità dei token uno dei tre elementi caratterizzanti questa nuova tipologia di asset (unitamente all’impiego di tecnologie innovative per incorporare nel token la posizione giuridica sottostante e alla sussistenza della natura di investimento finalizzato al finanziamento di progetti imprenditoriali), il Documento si occupa anche dei sistemi di scambi dedicati che costituiscono sia mercati secondari in cui gli iniziali sottoscrittori possono smobilizzare cripto-attività (exchange) sia contesti in cui custodire le medesime (wallet).

In entrambe le fasi assumono un ruolo centrale le “piattaforme” – quelle attraverso cui si effettuano le offerte di cripto-attività nel primo caso e quelle che operano come piattaforme di trading e come wallet provider, nel secondo -, a conferma del fatto che è questa una categoria chiave (per non dire la categoria chiave) del FinTech, in grado di introdurre nel sistema finanziario modifiche profonde alle strutture di mercato nonché alle dinamiche contrattuali fra i diversi soggetti coinvolti.

L’idea suggerita dalla Consob nel Documento è quella di rendere le piattaforme licensed, chiamando in particolare i gestori delle piattaforme coinvolte nella fase di emissione al rispetto di requisiti soggettivi analoghi a quelli previsti per i gestori dei portali per le offerte di crowdfunding adattati – sotto il profilo procedurale, organizzativo e di controllo – ai rischi sottesi a questa tipologia di operatività. Per tali soggetti si immaginano anche adeguati presidi per la selezione dei progetti imprenditoriali meritevoli di accedere alla piattaforma nonché regole di condotta da rispettare nel rapporto con gli investitori. Per le piattaforme coinvolte nella fase di scambio di cripto-attività si prevede, invece, l’introduzione di una serie di regole volte ad assicurare un trasparente e non discriminatorio svolgimento degli scambi, idonei presidi per la gestione dei conflitti di interesse, procedure per identificare e gestire i rischi ai quali è esposto il sistema.

La scelta di porre l’attenzione, in chiave regolatoria, sui gestori delle piattaforme appare senz’altro condivisibile e sotto questo profilo, al netto delle perplessità più sopra esposte rispetto al regime di opt-in, il Documento della Consob merita pieno apprezzamento.

4. Sia consentita, in conclusione, una considerazione di più ampio respiro che va ben al di là del perimetro specifico dell’intervento della Consob (ed evidentemente ben oltre quanto rientrerebbe nelle sue competenze di regulator).

Proprio perché le piattaforme costituiscono la categoria chiave del FinTech ma più in generale del mercato digitale, sembrerebbe opportuno, a livello europeo, disegnare una regolazione delle piattaforme digitali che risponda a un criterio funzionalistico: una regolazione, cioè, basata sull’elaborazione di una disciplina generale che, cross-settorialmente invece che per singoli silos, provveda a disciplinare i rapporti tra utenti e piattaforma, a prescindere dal fatto che quest’ultima operi in ambito commerciale o finanziario. Ciò consentirebbe – specie se si trattasse di una regolamentazione per principi (c.d. standard) – di predisporre una sorta di “piattaforma regolamentare” comune a tutti i marketplace digitali in grado di assicurare flessibilità normativa, sulla cui base il legislatore europeo potrebbe poi intervenire in ambiti di mercato specifici, laddove ciò risulti necessario e secondo il grado di intensità ogni volta richiesto.

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1.- È trascorso poco più di un mese dalla pubblicazione della sentenza SS.UU. 8770/20 e parecchie sono già le voci levatesi a discuterla. Altre, senz’altro, ne seguiranno perché la sentenza è di quelle destinate a far rumore.
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