Premessa
Con la pronuncia n. 9417 del 14 gennaio 2020 (dep. 10 marzo 2020), Pres. Aceto, Est. Gai, la Suprema Corte torna ad occuparsi della (discussa) tematica concernente l’ammissibilità della delega di funzioni in ambito fiscale.
Senza dubbio alcuno, il tema circa la rilevanza da assegnare a tale delega rappresenta una delle questioni centrali nell’ambito del diritto penale dell’economia: occorre cioè domandarsi cosa accade – sotto il profilo della responsabilità penale – laddove il titolare della qualifica, anziché porre in essere personalmente le funzioni connesse alla stessa, provveda a delegare un soggetto terzo, circostanza sempre più frequente (e, a ben vedere, necessitata) in ragione delle crescenti dimensioni delle società e dell’incrementarsi degli adempimenti imposti.
Sentenza
Questa in estrema sintesi la vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte: all’ indagato – l’odierna sentenza è stata infatti emessa in fase cautelare – veniva contestata, in qualità di legale rappresentante di una società cooperativa, la commissione del delitto ex art. 5 D. Lgs. 74/2000, in relazione all’omessa presentazione delle dichiarazioni I.V.A. e dei redditi per le annualità 2014 e 2015.
A seguito dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Brescia, che confermava la misura cautelare reale del sequestro preventivo di somme di denaro e altri beni e cespiti nella disponibilità dell’indagato, la difesa di quest’ultimo proponeva ricorso per cassazione, rilevando che le dichiarazioni per gli anni in contestazione erano state sottoscritte da un soggetto terzo, ex amministratore della società, e presentate dal commercialista della società, all’uopo delegato.
Ad ulteriore sostegno di tale rilievo, il ricorso evidenziava altresì che avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 1 del D.P.R. 322/1998, il quale – nello statuire che la dichiarazione deve essere sottoscritta, a pena di nullità, dal rappresentante legale – prevede che la nullità sia sanata se il soggetto tenuto a sottoscrivere la dichiarazione vi provveda entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito da parte del competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate.
Con il secondo motivo, il ricorrente contesta la conclusione a cui è pervenuto il tribunale, per cui l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni fiscali non sarebbe delegabile. Sul punto, nel ricorso si rileva come – nell’ambito dell’amministrazione delle società – sarebbe prassi costante la delega di alcune specifiche funzioni, tra cui gli adempimenti fiscali, a consulenti che esercitano la professione di commercialista.
Ciò posto, come si può leggere nelle motivazioni, la Suprema Corte respinge il ricorso della difesa, trattando unitamente i due motivi di ricorso.
In primo luogo, l’obbligo tributario viene inquadrato come obbligo infungibile, motivo per cui “l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione”.
Ne deriva pertanto, quale logico corollario, che l’obbligo tributario risulta quindi personale ed indelegabile a terzi: “colui che abbia affidato al commercialista ovvero ad un consulente fiscale l’incarico di compilare la dichiarazione, non può dirsi, per ciò stesso, esonerato da responsabilità, sia perché la legge tributaria considera come personale il relativo dovere, sia perché una diversa interpretazione, che trasferisca il contenuto dell’obbligo in capo al delegato, finirebbe per modificare l’obbligo originariamente previsto per il delegante in mera attività di controllo sull’adempimento da parte del soggetto delegato “.
La Corte esclude, quindi, che l’eventuale delega possa modificare il destinatario dell’obbligo, titolare della posizione di garanzia, il quale – in ossequio ai criteri di tassatività e di legalità – continua a coincidere necessariamente con il soggetto individuato dalla legge (in senso conforme, Cass. pen., sez. III, n. 9163/09).
In secondo luogo, con riferimento all’invocata applicazione dell’art. 1 del D.P.R. 322/1998, la Suprema Corte precisa che si tratta “di norma valevole nei rapporti tributari che esula dalla fattispecie penale”, rilevando come peraltro la“sanatoria, non dimostrata nel caso concreto, […] presuppone comunque l’adesione del soggetto realmente obbligato, situazione neppure verificatasi nel caso in esame”.
Da ultimo, la Corte etichetta come mero “frutto di un equivoco interpretativo” l’affermazione del ricorrente secondo cui nell’ambito di amministrazione di persone giuridiche sarebbe prassi quella di delegare specifiche funzioni. In merito, il giudice di legittimità rileva come non si tratterebbe in realtà di “delega di funzioni, che rimane circoscritta ad obblighi delegabili a terzi, tra i quali non v’è quello, imposto dalle leggi tributarie in capo al legale rappresentante, di presentazione delle dichiarazioni fiscali, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l’inoltro telematico”.
Di conseguenza – conclude la sentenza – “l’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi incombe direttamente sul contribuente e, in caso di persone giuridiche, su chi ne abbia la legale rappresentanza, tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullità (art. 1, comma 4, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322). Il fatto che il contribuente (la persona giuridica nel caso di specie) possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione (art. 3, commi 3 e 3-bis, d.P.R. n. 322 del 1998, cit.) non vale a trasferire su queste ultime l’obbligo dichiarativo che fa carico direttamente al contribuente il quale, in caso di trasmissione telematica della dichiarazione, è comunque obbligato alla conservazione della copia sottoscritta della dichiarazione (art. 1, comma 6, d.P.R. n. 322 del 1998)”.
Considerazioni
Il principio espresso da questa pronuncia, di inammissibilità di una delega di funzioni in ambito tributario, rappresenta oramai un evergreen, da riconnettersi in primis – secondo la Corte – alla natura strettamente personale degli obblighi fiscali, i quali “non ammettono sostituti ed equipollenti, perché essi rispondono ad una speciale finalità di diritto tributario, quale quella di colpire il complesso dei redditi tassabili” (così già Cass. pen., sez. IV, n. 18845/16).
A ben vedere, l’ostacolo sovente invocato dalla Suprema Corte – da ravvisarsi nella natura “personalissima” dell’obbligazione tributaria – non pare fondato su solide basi giuridiche, anche rilevato come tutti gli obblighi penalmente sanzionati sono personali, certamente di interesse pubblico e perciò non sarebbero trasferibili. L’argomentazione prospettata dovrebbe quindi condurre ad escludere valore esimente alla delega in ogni caso, a maggior ragione quando ad essere tutelato non sia il mero interesse alla percezione dei tributi, ma la vita o l’integrità personale, come accade nella materia antinfortunistica.
Peraltro, proprio nel settore della sicurezza sul lavoro, prima ancora dell’intervento del legislatore, la giurisprudenza – accogliendo le sollecitazioni della prevalente dottrina – aveva riconosciuto l’idoneità della delega ad escludere la responsabilità del delegante, seppur condizionando tale efficacia alla presenza di un articolato quadro di requisiti. Tale elaborazione è stata poi, in un secondo momento, recepita dal legislatore, il quale all’art. 16 del D. Lgs. 81/2008 ha riconosciuto espressa rilevanza alla delega di funzioni.
In secondo luogo, come pure puntualizzato nella sentenza in commento, l’inderogabilità dell’adempimento tributario discenderebbe dalla natura di reato omissivo proprio del delitto di cui all’art. 5 D. Lgs. 74/2000.
Tale l’equazione, come del resto dimostrato dalla disciplina in materia di sicurezza sul lavoro, appare priva di fondamento, ed anzi in aperta contraddizione con l’evoluzione dell’istituto della delega nella materia prevenzionistica e ambientale.
Non può che risultare contraddittorio un ordinamento che, nella condivisibile prospettiva di assicurare il rispetto del principio della personalità della responsabilità penale nel contesto di realtà societarie sempre più articolate, preveda in alcuni casi la delega di funzioni, escludendola invece con riferimento ad adempimenti pure caratterizzati da analoga complessità ed esigenze di effettività. Tale rigoristico atteggiamento della giurisprudenza appare oggi non più in linea con il mutato quadro normativo, a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. 74/2000, il quale ha – come noto – concentrato i delitti fiscali intorno a poche fattispecie incriminatrici, tutte di carattere doloso e per lo più arricchite dal fine di evasione. Mentre nel vigore della precedente legge 516/1982 si assumeva (si veda – fra le tante – Cass. pen., sez. III, n. 1781/91) che la violazione dell’obbligo si realizzasse già sul piano oggettivo in capo al delegante, qualificando come colposa tale violazione (tanto in base ad una pretesa culpa in vigilando, quanto in forza di una culpa in eligendo), oggi – al contrario – l’esistenza di una delega reale (id est, non fittizia) appare radicalmente incompatibile con l’elemento psicologico del dolo.
A ben vedere, sembra di essere al cospetto di una presunzione assoluta di responsabilità in capo al contribuente, che esclude così di fatto – ed in ragione di argomentazioni prive di valore conclusivo – ogni rilevanza, anche solo soggettiva, della delega, con un atteggiamento condizionato dalla mera logica del risultato e del caso concreto.
Sotto questo profilo, appare quindi del tutto censurabile la conclusione a cui perviene la Corte, che persevera nel fondare l’affermazione di responsabilità del contribuente sulla apodittica personalità degli obblighi tributari. Singolare la conclusione a cui spesso si giunge, per cui la presenza di soggetti terzi conduce univocamente ad un problema di natura differente: non di esenzione dalla responsabilità, ma di possibile estensione della stessa.