La Corte milanese ha disposto la revoca della sentenza dichiarativa dello stato d’insolvenza di una società, emanata a seguito della revoca del concordato preventivo intervenuta, in particolare, per la ritenuta mancata specificazione documentale di un’operazione di merger leveraged buy out, attuata quattro anni prima della presentazione della domanda concordataria.
Rileva la Corte che tale operazione straordinaria era stata posta in essere – nel caso di specie – al fine di evitare il passaggio di una parte consistente del capitale in mani non gradite, senza finalità di acquisizione del controllo della società c.d. bersaglio ex art. 2501-bis c.c. Inoltre, tale operazione, oltre a non apparire in contrasto con il divieto di assistenza finanziaria all’acquisto di azioni proprie, non era sorretta da scopi irragionevoli né, secondo le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, era da considerarsi insostenibile sul piano economico-finanziario.
Pertanto, l’omessa inclusione nel ricorso ex art. 161 l. fall. delle modalità realizzative della fusione sopra illustrata non configura un atto in frode ai creditori (secondo la giurisprudenza, connotato sia da un elemento oggettivo sia da uno soggettivo), non essendo tale operazione illecita né intrinsecamente «depauperativa». Tale considerazione vale a maggior ragione con riferimento al caso di specie, dal momento che occorre evidenziare: 1) sul piano oggettivo, l’insussistenza di un nesso causale tra la fusione e l’insolvenza societaria e l’assenza di condotte amministrative illecite con riguardo all’operazione straordinaria; 2) dal lato soggettivo, la concreta assenza di dolosità nell’occultamento da parte del debitore di «elementi significativi per la formazione del consenso», come dimostrato anche dal lasso di tempo intercorso tra la realizzazione della fusione e la presentazione della domanda di concordato.