Con la sentenza che si allega, la Suprema Corte fornisce importanti delucidazioni in merito alla fattispecie di omesso versamento I.V.A. ex art. 10 ter D.Lgs. 74/2000.
Questa in sintesi la vicenda sottoposta all’attenzione della Suprema Corte: all’odierno imputato – subentrato nella precedente gestione di una s.r.l. nell’intervallo temporale compreso tra la presentazione della dichiarazione di imposta e il termine di scadenza del versamento – veniva contestata la violazione dell’art. 10 ter in relazione all’annualità I.V.A. 2010 per un ammontare di poco inferiore a 500.000 Euro.
Nel respingere il ricorso dell’imputato, la Cassazione precisa in via preliminare che “risponde […] del reato di omesso versamento di IVA, quantomeno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 38687 del 04/06/2014, Decataldo, Rv. 260390; Sez. 3, n. 3636 del 09/10/2013, dep. 2014, Stocco, Rv. 259092)” (p. 3).
In questo senso, nessuna efficacia esimente può essere attribuita al pagamento (per così dire) “preferenziale” degli stipendi dei lavoratori rispetto ai crediti erariali (“l’omesso versamento dell’Iva non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 cod. civ.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod. civ.”), dal momento che tale ordine di prelazione rimane – secondo l’impostazione della Suprema Corte – strettamente circoscritto alla sfera del diritto fallimentare, non estendendosi così all’area tributaria.
Parimenti, si legge sempre nelle motivazioni, nessuna rilevanza – ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo e dell’esigibilità della condotta – assume “la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, perché essa non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione ma prima dell’adozione di provvedimenti da parte del tribunale (Sez. 3, n. 39310 del 17/05/2019, Lolli, Rv. 277171; Sez. 3, n. 49795 del 23/05/2018, G., Rv. 274199)” (p. 3) o “lo stato di dissesto imputabile alla precedente gestione, quando risulta che l’agente al momento del suo subentro nella carica aveva la consapevolezza della crisi di liquidità e non era nell’impossibilità a lui non ascrivibile di intraprendere alcuna iniziativa per fronteggiare tale situazione (Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262)” (p. 4).
Infatti, in ossequio al consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi, la sentenza precisa che ai fini della sussistenza del reato qui contestato, non è richiesta il c.d. dolo di evasione e/o la volontà di violare il precetto penale, essendo la fattispecie ex art. 10 ter integrato “dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento anti-doveroso di volontario contrasto con il precetto violato” (p. 4).
Di conseguenza, secondo tale impostazione, le condotte di omesso versamento potranno dirsi “scriminate” solo nell’ipotesi in cui l’imputato alleghi la prova “che non sia stato altrimenti possibile […] reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, tra l’altro in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad allo stesso non imputabili” (p. 4)
Detto altrimenti, occorre che venga dimostrata la sussistenza di una causa di forza maggiore, da intendersi, secondo il tradizionale orientamento, come “l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). Sì che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico” (p. 5).
In questo senso, conclude la Cassazione, non sono idonee ad assumere valore scriminante “le differenti scelte imprenditoriali compiute, legate in particolare al pagamento dei dipendenti, nonché la piena consapevolezza dell’omissione e l’opzione altresì di emettere fatture pur senza avere ricevuto il corrispettivo” in quanto tali vicissitudini risultano, a parere della Corte, mere scelte imprenditoriali “legate all’ineludibile rischio d’impresa (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; cfr. altresì, ad es., Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128)” (p. 5).