Con la pronuncia in esame il Supremo Collegio si è espresso sul tema dell’onere della prova dello svolgimento effettivo di attività commerciale da parte di imprese operanti in Paesi c.d. Black List, ai sensi dell’art. 110, comma 11, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
A tal proposito, la Suprema Corte, dopo aver succintamente descritto l’attuale contesto normativo, affronta la questione posta alla sua attenzione dalla parte ricorrente, la quale denunciava “un vizio di motivazione circa l’onere della prova di cui all’art. 110, comma 11, TUIR, non indicando la CTR le ragioni dell’insufficienza della prova sullo svolgimento effettivo dell’attività commerciale da parte delle imprese Black List e sulla convenienza economica della società contribuente”. Parte ricorrente lamentava, altresì, la mancata valutazione della perizia di parte, nonché la mancata disposizione, da parte della CTR, della consulenza tecnica d’ufficio.
A tal proposito, il Giudice di legittimità che, nel caso di specie, la circostanza che il giudice d’appello abbia deciso in maniera difforme rispetto alle “attese e deduzioni di parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati”, non costituisce vizio di motivazione, atteso che ciò può manifestarsi solo qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione.
Mentre il giudice di prime cure aveva ritenuto adeguatamente provate le condizioni previste dall’art. 110, comma 11, TUIR (svolgimento in via prevalente, da parte delle imprese estere, di un’attività commerciale effettiva e rispondenza delle operazioni poste in essere ad un effettivo interesse economico), la Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza impugnata dal contribuente, non aveva ritenuto soddisfatto l’onere probatorio a carico del contribuente, il quale si era limitato a rappresentare gli elementi oggetto di contestazione mediante consulenza tecnica di parte.
La Corte di Cassazione, aderendo al principio espresso dal giudice d’appello, ribadisce con la sentenza in esame che la sola consulenza di parte non è idonea, di per sé, a provare le condizioni di cui all’art. 110, comma 11, TUIR.
Infine, poiché la CTU non ha natura di vero e proprio mezzo di prova, ma, piuttosto, di mezzo istruttorio, la sua ammissione rientra nel potere discrezionale del giudice.