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Attualità

Onere della prova e riforma del processo tributario

Riflessioni a margine delle prime pronunce sul tema

1 Marzo 2023

Irene Pellecchia, Counsel, Chiomenti

Alessandra Campana, Senior Associate, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la novella introdotta dalla riforma del processo tributario connessa alla modifica della ripartizione dell’onere della prova nel processo tributario.


1. La Legge 130 del 2022

Con la legge 31 agosto 2022, n. 130, denominata “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari”, è stata portata a compimento la tanto attesa riforma del processo tributario.

Tra le novità di maggior rilievo, rientra senz’altro l’introduzione[1] (invero, inaspettata[2]) del comma 5-bis[3] all’art. 7 del D.lgs. n. 546/1992, disposizione relativa ai poteri istruttori delle Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado. La legge 130 del 2022, in particolare, contiene due distinte previsioni: una prima previsione volta ad introdurre una regola di riparto dell’onere della prova nell’ambito del processo tributario, tanto nei giudizi d’impugnazione di atti impositivi, quanto in quelli in materia di rimborso, ed una seconda previsione volta ad individuare i criteri di valutazione delle prove posti a carico del giudice tributario.

Nel dettaglio, il citato comma 5-bis ha cristallizzato le seguenti regole: (i) spetta “all’Amministrazione” [4] provare in giudizio, in modo circostanziato e puntuale, e comunque in coerenza con la  normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva e/o l’irrogazione delle sanzioni; (ii) spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati; (iii) il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel processo tributario[5] e annulla l’atto impugnato se non sono soddisfatti i predetti requisiti probatori.

Dalla formulazione appare innegabile la natura precettiva della disposizione. Difatti, sebbene la stessa si collochi, come detto, all’interno dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 546/1992, dedicato ai poteri del giudice tributario, l’impiego dei criteri di valutazione individuati non costituisce una mera facoltà per tale giudice[6]. Invero, tentando di ridefinire i confini delle regole di riparto dell’onere della prova, la disposizione in commento impone ora al giudice di effettuare un’analisi significativa del corredo probatorio fornito, imponendo di verificare nel processo tributario la sussistenza di una prova circostanziata, puntuale e specifica dei fondamenti sostanziali della maggior pretesa e delle correlate sanzioni.

Come noto, prima che il legislatore intervenisse prevedendo l’introduzione di una regola ad hoc in materia di onere della prova nell’ambito del processo tributario, si riteneva[7] che la regola di distribuzione di tale onere tra contribuente ed Amministrazione finanziaria fosse quella indicata dall’art. 2697 del Codice civile. Per effetto di ciò, veniva attribuito, da un lato, all’Amministrazione finanziaria (ritenuta “attrice in senso sostanziale”) l’onere di provare i fatti “costitutivi” della pretesa fiscale e, dall’altro, al contribuente l’onere di provare i fatti “impeditivi”, “modificativi” o “estintivi” della pretesa.

Senonché, tale assetto si è sempre più frequentemente prestato a semplificazioni, talvolta prive di qualunque collegamento con la normativa di riferimento[8].

Analogamente, la regola enunciata dall’art. 2697 c.c. è stata spesso derogata in favore dell’applicazione del principio della “vicinanza alla prova”, a mente del quale l’onere della prova viene fatto gravare sul soggetto “più vicino” alle fonti di prova. Si pensi, in materia di reddito d’impresa, alla tesi espressa dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’onere della prova incomberebbe sul Fisco, per ciò che concerne la rettifica degli elementi positivi di reddito, e sul contribuente, per tutto quanto attiene invece agli elementi negativi di reddito[9]. Inoltre, tale principio è stato richiamato nelle liti in materia di transfer pricing, laddove la Corte di cassazione ha stabilito che graverebbe sull’Agenzia delle entrate solamente l’onere di provare l’esistenza della transazione oggetto di contestazione ad un prezzo “apparentemente” inferiore a quello normale, facendo gravare in capo al contribuente l’onere di dimostrare che la transazione sia intervenuta a normale valore di mercato[10].

Ebbene, il presente contributo è preordinato a formulare alcune considerazioni a valle delle prime applicazioni giurisprudenziali della legge 130 del 2022 ad opera delle Corti di merito e della Corte di cassazione[11].

2. Le prime pronunce giurisprudenziali

I primi arresti giurisprudenziali, tra loro sostanzialmente uniformi, non hanno presentato significativi profili innovativi e lasciano, dunque, aperte talune questioni.

Una prima interpretazione della novella della riforma del processo tributario è stata resa dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 31878 del 27 ottobre 2022.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava una contestazione in materia di IVA avente ad oggetto operazioni soggettivamente inesistenti. Secondo quanto riportato dalla sentenza, l’Ufficio aveva lamentato una violazione delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova operata dai Giudici d’appello nella misura in cui avevano ritenuto corretto l’operato della società contribuente, benché questa non avesse assolto la prova in ordine alla diligenza impiegata. L’Agenzia delle entrate aveva, infatti, precisato che con riferimento alle ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, troverebbe applicazione il principio secondo cui l’Amministrazione è tenuta a provare solo “che il soggetto interposto è privo delle dotazioni necessarie all’esecuzione della prestazione”, mentre graverebbe sul contribuente l’onere di “provare che non sapeva, o non avrebbe potuto sapere, con l’ordinaria diligenza, dell’evasione o della frode posta in essere dal cedente”.

Ebbene, la Corte, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle entrate, ribadendo l’applicabilità nel caso da essa esaminato dei principi citati poc’anzi, ha statuito che “la società contribuente aveva l’onere di dimostrare la propria buona fede, cioè che, nella specifica situazione accertata nella fase delle indagini, i comportamenti posti in essere integrassero l’ordinaria diligenza richiesta ad un operatore economico accorto. Ciò, in quanto, la nuova formulazione legislativa contenuta nel D.Lgs. n. 546/1992, art. 7, comma 5-bisnon stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale.

L’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 31878 del 27 ottobre 2022 non sorprende, essendo di fatto coerente con la natura meramente ricognitiva della nuova formulazione legislativa, già ampiamente riconosciuta in dottrina[12].

D’altra parte, nel suo primo pronunciamento la giurisprudenza di merito è sembrata valorizzare maggiormente la portata della legge 130 del 2022, ritenendola idonea a trasferire in capo agli enti impositori l’onere probatorio anche in relazione a contestazioni rispetto alle quali il medesimo onere era stato posto in capo al contribuente dalla precedente giurisprudenza di legittimità, in forza di principi derogatori alla regola di cui all’art. 2697 c.c.

In specie, la Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Siracusa, nella sentenza n. 3856 del 23 novembre 2022, avente ad oggetto il disconoscimento, da parte dell’Agenzia delle entrate, della deducibilità dal reddito d’impresa di alcuni costi della società ricorrente per carenza di documentazione a supporto ha sostenuto che la novella normativa recata dal comma 5-bis, a ben vedere, avrebbe introdotto nel processo tributario una nuova regola autonoma, sorta per dirimere le questioni in ordine al riparto dell’onere della prova, così superando l’utilizzo  nel processo tributario dell’art. 2697 del Codice civile.

Più nel dettaglio, tali Giudici hanno statuito che «in base alla nuova regola, dunque, è inequivocabile che sia l’Amministrazione Finanziaria che è tenuta a provare le contestazioni afferenti a tutte le tipologie di violazioni, a prescindere che si controverta di maggiori ricavi o minori costi nel regime d’impresa».

Così pronunciandosi, gli stessi Giudici hanno chiarito che l’orientamento consolidatosi ante riforma del processo tributario in seno alla Suprema Corte, basato sulla dicotomia costi-ricavi ai fini dell’incombenza dell’onere probatorio, rappresenta, di fatto, un equivoco in cui sarebbe incorsa la giurisprudenza di legittimità, atteso che costi e ricavi, pur se con segno opposto, concorrono entrambi alla quantificazione del reddito d’impresa, quale “valore netto”.

Pertanto – come precisato nel prosieguo dalla stessa sentenza – l’equivoco sarebbe stato ormai risolto in via definitiva, atteso che la nuova disposizione sull’onere della prova consente senza ombra di dubbio di chiarire che «anche per i componenti negativi di reddito l’onere probatorio non può che incombere sull’Amministrazione Finanziaria con l’unica eccezione riguardante le controversie da rimborso in relazione alle quali l’onere della prova rimane sempre a carico del contribuente».

Resta dunque aperta la questione se, stante il tenore letterale del comma 5-bis citato, secondo cui l’Amministrazione finanziaria “prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnatopossano comunque ritenersi ancora attuali e, dunque, concretamente applicabili quei principi resi dalla giurisprudenza di legittimità volti a derogare la regola generale di riparto dell’onere della prova in forza del suddetto principio “della vicinanza” della prova medesima.

In particolare, ci si chiede se nel caso dei giudizi in materia di transfer pricing non sia più lecito addossare in capo all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare in misura piena, la difformità al “valore normale” del prezzo adottato nella transazione intercompany.

Invero, come detto, la ritenuta applicabilità a tali fattispecie del principio di “vicinanza alla prova” da parte della Suprema Corte è implicitamente sostenuta dal (non condivisibile) convincimento secondo cui l’Agenzia delle entrate avrebbe minore facilità nell’accedere agli strumenti che consentirebbero provare la rispondenza della transazione ai “prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili[13].

Eppure, come correttamente osservato[14], nel sistema tributario gli strumenti cognitivi attribuiti all’Agenzia delle entrate sono tali da consentirle la ricostruzione a posteriori di taluni fatti storici, colmando eventuali asimmetrie conoscitive rispetto al contribuente e, pertanto, la deroga alla regola ordinaria di riparto dell’onere della prova non troverebbe più giustificazione.

Ciò detto, posto che la nuova legge pretende che l’Amministrazione finanziaria provi nel processo tributario la fondatezza dell’atto impositivo dimostrando in modo puntuale le ragioni oggettive poste alla base della pretesa fiscale, non è peregrino affermare che dovrebbe ritenersi insufficiente l’allegazione da parte dell’Agenzia delle entrate soltanto dell’“esistenza di transazioni tra imprese collegate ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale”, finora considerata dalla Cassazione idonea a legittimare l’applicazione del principio di vicinanza alla prova in deroga all’art. 2697 c.c..

Pertanto, alla luce dell’intervenuta riforma del processo tributario della legge 130 del 2022, si ritiene auspicabile un intervento della Suprema Corte volto a sancire nettamente il principio per cui, l’onere della prova ricadente sul Fisco, nelle liti sul transfer price risulti soddisfatto soltanto se l’Amministrazione finanziaria fornisce in giudizio piena prova, “circostanziata e puntuale”, delle “ragioni oggettive” per cui i prezzi intercompany non risultino conformi a quelli praticati in regime di libera concorrenza[15].

In questo senso, del resto, sembra andare anche la più recente giurisprudenza di merito. Ci si riferisce, in specie, alla sentenza n. 45/15/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, la quale ha stabilito che ove l’Agenzia delle entrate effettui una rettifica di transfer pricing, è necessario che essa indichi fatti e le ragioni giuridiche che hanno determinato la contestazione, compiendo, per questa via, una analisi di comparabilità che risulti attendibile[16].

3. Conclusioni

Ad avviso di chi scrive, le prime applicazioni giurisprudenziali della novella meritano di essere accolte favorevolmente. Invero, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 31878 del 27 ottobre 2022, pur non avendo adottato un’interpretazione innovativa, di fatto si è limitata a ribadire la regola già cristallizzata per effetto dell’art. 2697 del c.c. Dall’altro lato, la giurisprudenza di merito, chiamata a pronunciarsi in modo più sostanziale sulla portata della modifica normativa, si è spinta a riconoscere la non conformità della tesi fondata sulla dicotomia costi-ricavi ai fini dell’incombenza dell’onere probatorio.

Ci si aspetta pertanto che i futuri arresti, ponendosi in linea con la posizione assunta soprattutto dalla giurisprudenza di merito, conducano a un révirement della prassi giurisprudenziale basata sull’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, non giustificata da esigenze di coerenza con la normativa sostanziale.

 

[1] Cfr. art 6, della Legge n. 130/2022.

[2] Tale previsione, infatti, è stata aggiunta in occasione della predisposizione del testo finale del Disegno di legge; infatti, nessuna delle relazioni antecedenti all’entrata in vigore della norma.

[3] Testualmente, la disposizione prevede che “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

[4] Come puntualmente osservato, la nozione di “amministrazione” deve essere declinata in un significato tale da ricomprendere qualsivoglia ente impositore, cfr. E. della Valle, “La “nuova” disciplina dell’onere della prova nel rito tributario”, in Il fisco, 40/2022, p. 3811;

[5] Ferma restando l’operatività del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., come osservato anche da E. della Valle, op. cit.;

[6] M. Ligrani – P. Saggese, “L’onere della prova nel processo tributario, a seguito della legge 31 agosto 2022, n. 130”, Fondazione Nazionale dei Commercialisti, Documento di ricerca del 14 dicembre 2022, p. 11;

[7] Si veda, ex pluribus, tra le più recenti precedenti alla riforma Cass., Sez. Trib., 20 gennaio 2016, n. 955, in cui è stato chiarito che “E’ ormai jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte che, anche nel processo tributario, vale la regola generale in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’art. 2697 c.c. e che, pertanto, in applicazione della stessa, l’amministrazione finanziaria che vanti un credito nei confronti del contribuente, è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, essendosi ormai da tempo chiarito che la c.d. presunzione di legittimità degli atti amministrativi (un tempo evocata per giustificare la loro idoneità ad incidere unilateralmente nella sfera giuridica altrui) non opera nei confronti del giudice ordinario (v. ex multis Cass. Civ., Sez. 5, n. 1946 del 10/02/2012; Sez. 5, n. 13665 del 05/11/2001; Sez. 1, n. 2990 del 23/05/1979, Rv. 399324)”;

[8] D. Deotto e L. Lovecchio, “L’Amministrazione prova in giudizio i rilievi contenuti nell’atto impugnato”, in Il fisco, 39/2022, p. 3714.

[9] D. Deotto e L. Lovecchio, op. cit..

[10] Cfr. Cass., Sez. V, Ord. 6 luglio 2021, n. 19166, in cui viene enunciata la seguente massima: “La prova dell’Agenzia delle entrate non riguarda il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, mentre incombe sul contribuente, in base alle regole ordinarie di vicinanza alla prova ex art. 2697 c.c., ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua del D.P.R. sopra richiamato, art. 9, comma 3, T.U.I.R.”.

[11] Sotto il profilo temporale, è ormai acclarato che la norma, entrata in vigore il 16 settembre 2022, trovi applicazione anche nei giudizi che a tale data risultavano pendenti, e non solo ai giudizi incardinati successivamente. A conferma, la sentenza n. 293/01/2022 della Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Reggio Emilia la quale, sottolineando la natura processuale della disposizione de qua, ha invocato il principio del c.d. tempus regit actum, e ne ha dichiarato l’applicazione anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della citata legge n. 130/2022. Indirettamente, le medesime conclusioni possono ricavarsi dall’Ordinanza della Cassazione n. 31878 del 28 ottobre 2022, di cui si parlerà più diffusamente a seguire, la quale costituisce la primissima pronuncia sul tema.

[12] C. Are, “L’onere della prova nel processo tributario: per la Cassazione nihil sub sole novi”¸ Commento a Cass. Sez. trib – Ord. n. 31880 del 25 ottobre 2022, in Il fisco, n. 47-48/2022, p. 4573 ss.

[13] Cfr. art. 110, comma 7 del D.P.R. n. 917/1986, il quale dispone che “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito”.

[14] G. Vanz, “Criticità nell’applicazione in ambito tributario della regola giurisprudenziale della vicinanza della prova”, in Dir. Prat. Trib., n. 6/2021, p. 2585.

[15] A. Vozza, M. Sironi, “Il principio di “vicinanza alla prova” nei giudizi sul transfer price”, in Il Fisco, n. 36/2022, pagg. 3445 e ss.

[16] Precisamente, i Giudici hanno statuito che “[…] gli atti dell’Amministrazione Finanziaria devono indicare i fatti e le ragioni giuridiche che ne hanno determinato la decisione. Infatti, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere della prova della non corretta determinazione dei prezzi di trasferimento, come previsto dall’art. 110 comma 7, del TUIR, ricade in via principale sull’ente impositore”.

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