Sommario: 1. Premessa – 2. Gli effetti di regolamentazione del mercato della sentenza Lexitor: costo totale del credito, comparabilità delle offerte e stimolo alla concorrenza – 3. La riduzione dei costi up-front o istantanei in caso di estinzione anticipata – 3.1. L’interpretazione del diritto nazionale in conformità al diritto comunitario – 3.2. L’interpretazione letterale dell’art. 125-sexies – 3.3. L’interpretazione tellogica – 3.4. L’interpretazione storico – sistematica – 3.5. Ambito temporale di applicazione del principio di diritto espresso dalla sentenza Lexitor – 4. I criteri di calcolo della riduzione dei costi up-front: il criterio pro rata temporis e le nebbie dell’integrazione giudiziale secondo equità – 5. Conclusioni
1. Premessa
La Corte di Giustizia, con la nota sentenza Lexitor, 11 settembre 2019, causa C 383-18, ha affermato che “l’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la Direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”.
Tale decisione, seguita dalle linee orientative del 4 dicembre 2019 della Banca d’Italia e dalla pronuncia del Collegio di Coordinamento dell’ABF 11 dicembre 2019, n. 2625, ha suscitato un acceso dibattito su due questioni centrali: l’applicabilità di tale principio nel nostro ordinamento in precedenza retto da prassi difformi e l’individuazione dei criteri di riduzione delle componenti up-front del costo totale del credito.
Le risposte a tali interrogativi consentiranno di valutare l’impatto della sentenza e gli effetti della medesima per i soggetti coinvolti (consumatori, intermediari, mediatori creditizi) e per il mercato del credito al consumo, ed in particolare per i prestiti garantiti da cessione del quinto dello stipendio o della pensione che negli ultimi anni hanno rappresentato il terreno d’elezione dell’estinzione anticipata, facendo emergere anomalie, comportamenti opportunistici e anticoncorrenziali[1].
Sono necessarie alcune preliminari sintetiche considerazioni per inquadrare meglio il contesto nel quale è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia. Analizzando i tassi rilevati per il primo trimestre 2020, si nota che i prestiti con cessione del quinto presentano costi (TEGM pari al 11,45% per i prestiti superiori ad € 15.000 euro e al 7,99% per quelli inferiori a tale soglia) vicini, e fin superiori, ai finanziamenti non garantiti quali i crediti personali (10,11%), altri finanziamenti alle famiglie e alle imprese (8,72%), credito finalizzato (9,15%). Anche la media storica registrata nel ventennio di applicazione della legge 108/96 conferma tale dato: 11,75% per i prestiti con cessione del quinto relativi alla fascia più elevata (oltre 10 milioni di lire, successivamente € 5.000, oggi € 15.000), 16,01% per quelli inferiori a tali soglie a fronte di un TEGM medio del 10,86 per gli altri finanziamenti alle famiglie e alle imprese[2].
Se si considera che il tasso di interesse è direttamente proporzionale al rischio della singola operazione creditizia, risulta anomalo che i prestiti garantiti dalla cessione del quinto abbiano fatto registrare costi complessivi superiori alle altre categorie di prestiti non garantiti. Nella cessione del quinto si assiste ad una particolare gestione del rischio da parte del finanziatore: da un lato viene sterilizzato il rischio dell’inadempimento volontario mediante la cessione dei crediti da lavoro o pensione, dall’altro la legge vieta agli intermediari di assumere i rischi di morte o di impiego dei cedenti, imponendone la copertura assicurativa. Ne consegue che i rischi di default assunti dall’intermediario sono davvero minimi.
Banca d’Italia, ancora nel 2018[3], ha posto particolare attenzione alle eccessive e non giustificate estinzioni dei prestiti spesso sollecitate dagli intermediari, sulla non chiarezza delle commissioni e sui comportamenti opportunistici nella determinazione della struttura dei costi con particolare riferimento alle onerose commissioni up-front che arrivano spesso a rappresentare una parte considerevole del costo totale del credito.
In tale contesto pare evidente che le commissioni up-front, sulle quali interviene la sentenza Lexitor, e le reti di mediatori ed altri intermediari così remunerati, assumono un ruolo decisivo incentivando la convenienza dei rinnovi con una lievitazione dei costi complessivi imposti ai consumatori per offerte non facilmente confrontabili.
2. Gli effetti di regolamentazione del mercato della sentenza Lexitor: costo totale del credito, comparabilità delle offerte e stimolo alla concorrenza
La sentenza Lexitor si è pronunciata sulla seguente questione pregiudiziale: “Se la disposizione contenuta nell’articolo 16, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 3, lettera g), della Direttiva [2008/48], debba essere interpretata nel senso che il consumatore, in caso di adempimento anticipato degli obblighi che gli derivano dal contratto di credito, ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, compresi i costi il cui importo non dipende dalla durata del contratto di credito in questione”[4].
La Corte di giustizia, rilevata la possibilità di interpretazioni letterali divergenti ed una formulazione della disposizione non del tutto coincidente nelle diverse versioni linguistiche dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48, risolve la questione pregiudiziale richiamando gli obiettivi perseguiti dalla Direttiva e l’evoluzione del diritto comunitario in materia. In particolare la Corte osserva che “l’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48 ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di «equa riduzione» quella, più precisa, di «riduzione del costo totale del credito» e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare “gli interessi e i costi”.
La precisazione del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito, secondo la Corte, è diretta ad attuare un’elevata protezione del consumatore che, trovandosi in una situazione di asimmetria informativa, non avrebbe un’adeguata tutela in quanto la distinzione tra costi legati alla durata del prestito e costi a questa indipendenti sarebbe in ogni caso rimessa alle decisioni dell’intermediario e comporterebbe maggiori difficoltà nell’individuazione dei costi che possono essere oggetto di riduzione. La Corte sottolinea che la distinzione tra costi legati o meno alla durata del prestito (c.d. recurring o up-front) comporterebbe il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati, ritenendo così necessario neutralizzare anche la sola tentazione dell’intermediario a limitare i costi ricorrenti a favore di quelli non legati alla durata del contratto (cfr. par. 32).
La Corte analizza anche gli effetti della propria decisione per arrivare ad affermare che la soluzione prospettata non è idonea a penalizzare in maniera sproporzionata l’intermediario, in quanto lo stesso, da un lato, può richiedere l’indennizzo previsto dall’art. 16 della Direttiva e, dall’altro, può reimpiegare immediatamente il credito anticipatamente restituito (cfr. par. 34 e 35).
L’art. 16 della direttiva 2008/47/CE e l’art. 125-sexies affermano in maniera del tutto coincidente il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata del prestito (“il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”).
Ai sensi dell’art. 121 lett. e) t.u.b. “costo totale del credito indica gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, ad eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza”. Il costo totale del credito rapportato, su base annua, all’importo totale del credito erogato, esprime il “tasso annuo effettivo globale” o “TAEG”, ovvero “il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito” (come definito all’art. 121, lett. m t.u.b).
Il “costo totale del credito” ed il TAEG rappresentano il fulcro attorno alla quale ruota l’intera disciplina del credito al consumo prevista dalla direttiva 2008/48, come esplicitato al considerando 39[5] che individua quale obiettivo dell’Unione la comparabilità delle informazioni relative al costo del credito. Affinché le informazioni dirette al consumatore possano essere agevolmente comparabili, proprio per l’asimmetria informativa che connota i rapporti, devono essere semplici, di immediata intuizione e presentate in modo uniforme in tutta l’Unione, sì da poter effettivamente orientare le scelte del consumatore e promuovere allo stesso tempo un elevato livello di concorrenza e di tutela del cliente.
La Corte di Giustizia in diverse occasioni ha rilevato che la Direttiva 2008/48 risponde a due distinte finalità: garantire un equivalente livello di tutela del consumatore in Europa e facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno[6]. In tale contesto il TAEG riveste un’importanza essenziale in quanto consente al consumatore di valutare, dal punto di vista economico, la portata dell’impegno derivante dalla conclusione del contratto di credito[7]e deve pertanto rispondere a canoni di trasparenza e chiarezza in assenza dei quali la propria funzione sarebbe posta nel nulla[8].
Tali finalità hanno indubbiamente connotato anche la disciplina di recepimento della Direttiva che sotto diversi profili assegna centrale importanza alle nozioni di costo totale del credito e del tasso annuo effettivo globale (TAEG)[9], quale elemento principale per la comparazione delle offerte[10].
Si deve peraltro sottolineare che la centralità del TAEG non solo trova conferma nel diritto nazionale, ma ne esce persino rafforzata. In un contesto nel quale l’art. 23 della Direttiva 2008/48 rimette alla discrezionalità degli Stati membri l’individuazione delle sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali di recepimento, il legislatore italiano, all’art.125-bis ha ritenuto di precisare che la mancata o la scorretta indicazione del TAEG determina la nullità delle relative clausole e l’applicazione del tasso sostitutivo previsto al settimo comma, disposizione ritenuta dalla Corte di Giustizia del tutto proporzionata per il raggiungimento degli obiettivi essenziali conseguenti all’indicazione del TAEG[11].
Su posizioni del tutto convergenti si è espressa anche la Banca d’Italia che, con gli Orientamenti di vigilanza “Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione” del marzo 2018, ha ritenuto che l’incorporazione di tutti gli oneri nel tasso annuo nominale (TAN) rappresenti una buona prassi di settore, in quanto diretta a consentire una maggior tutela del consumatore sia in termini di chiarezza, semplicità e comprensibilità della struttura tariffaria, sia per una maggior tutela del cliente che in caso di estinzione anticipata ha diritto ad una riduzione di tutti gli oneri[12].
In tale contesto il riconoscimento del diritto del consumatore ad estinguere anticipatamente in ogni tempo il prestito è ancorato ad “una riduzione del costo totale del credito” ai sensi dell’art. 16 della Direttiva (“In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito”) e dell’art. 125sexies t.u.b.: (“In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito”).
La funzione di tale previsione pare del tutto evidente: il TAEG, quale elemento fondamentale per orientare la scelta del consumatore, deve esprimere il costo totale del credito su base annua al momento della conclusione del contratto. Tuttavia l’art. 16 par.1 della Direttiva così come l’art. 125-sexies t.u.b., riconoscendo un vero e proprio diritto del consumatore al rimborso, anche parziale, del prestito in ogni tempo, proprio per consentire una maggiore “fluidità” e concorrenzialità del mercato, ancorano la riduzione conseguente all’estinzione anticipata al costo totale del credito. Così come al momento della sottoscrizione del contratto il consumatore ha diritto a conoscere il TAEG e il costo totale del credito che gli verrà applicato (cfr. art. 10 par. 2 lett. g della direttiva), allo stesso modo, in caso di rimborso anticipato, la riduzione deve riguardare tutti i costi in modo da confermare, seppur tendenzialmente e non in termini di equivalenza matematica, lo stesso costo rapportato, su base annua, al capitale erogato. L’unico discostamento dall’applicazione del TAEG contrattuale può derivare dall’applicazione dell’indennizzo previsto all’art. 125-sexies, secondo comma, che non pare idoneo ad incidere sulla confrontabilità delle offerte in ragione della natura dello stesso, e comunque della sua limitazione all’1% o allo 0,5% del capitale residuo a seconda che il rimborso avvenga prima o dopo l’ultimo anno di vita del prestito.
Una regola che imponga un costo totale del credito tendenzialmente omogeneo in caso di rimborso anticipato o alla scadenza, ha l’indubbia funzione di semplificare il mercato[13] e di consentire un più agevole controllo da parte del consumatore che non è tenuto ad analizzare i dettagli del contratto e, in particolare, i costi non legati alla durata del prestito di cui non potrebbe ottenere alcuna riduzione. In questo modo si facilita la comparabilità del costo totale del credito e si persegue l’obiettivo della Direttiva di assicurare un maggior livello di concorrenza tra gli intermediari, limitando gli effetti dell’asimmetria informativa dei consumatori. Per contro, consentendo una distinzione tra costi recurring e up-fornt, non soggetti a riduzione in caso di rimborso anticipato, la comparabilità delle offerte sarebbe certamente meno agevole in quanto, al mutare delle voci inserite nel TAEG e di quelle oggetto di riduzione, il consumatore si troverebbe in difficoltà nell’individuare il contratto maggiormente adeguato anche in considerazione del diritto di estinguere anticipatamente il prestito.
La previsione del diritto alla riduzione del costo totale del credito rappresenta così un nodo centrale della disciplina europea per la realizzazione degli obiettivi di un efficiente mercato concorrenziale (incentivato dalla facoltà di estinguere anticipatamente il prestito e di rivolgersi ad un nuovo intermediario che applichi migliori condizioni) e di un elevato livello di tutela dei consumatori, finalità che, come si è visto, sono condivise dal legislatore nazionale e devono indubbiamente essere tenute in considerazione per risolvere ogni eventuale dubbio interpretativo.
3. La riduzione dei costi up-front o istantanei in caso di estinzione anticipata
Nonostante qualche prima voce in senso contrario[14], pare autorevolmente prevalere l’orientamento secondo il quale, in caso di estinzione anticipata, il nostro diritto interno debba essere interpretato in conformità alla sentenza Lexitor, con conseguente riconoscimento del diritto del consumatore alla riduzione di tutti i costi, compresi quelli che non dipendono dalla durata del prestito.
Si è infatti ben sottolineato[15] che non si pone alcun problema di diretta applicazione della direttiva, quanto invece la necessità di un’interpretazione del diritto nazionale in conformità all’art. 16 par. 2 della direttiva 2008/48/CE, come interpretato dalla Corte di Giustizia con la sentenza Lexitor.
In tal senso si è espresso anche il Collegio di coordinamento ABF[16] che, mutando radicalmente il proprio precedente orientamento, ha sottolineato che non si versa “nel caso di scuola” della disapplicazione dell’art.125-sexies TUB per incompatibilità con il diritto comunitario e della conseguente limitazione ad invocare la diretta applicazione di una direttiva self-executing nei soli rapporti verticali, trattandosi invece di una norma nazionale di recepimento della direttiva operante nei rapporti orizzontali contrattuali tra clienti e banche, con una formulazione sovrapponibile a quella della norma comunitaria.
Su posizioni coincidenti pare collocarsi anche la Banca d’Italia la quale, con le linee orientative del 4 dicembre 2019, ha precisato che in caso di rimborso anticipato dovrà essere assicurata la riduzione del costo totale del credito, comprensiva di tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte.
Tali soluzioni paiono corrette in quanto l’art. 125-sexies t.u.b è suscettibile di un’interpretazione letterale, teleologica o storico sistematica conforme alla sentenza Lexitor che, al fine di tutelare il consumatore, gli attribuisca il diritto ad una riduzione “del costo totale del credito, compresi i costi il cui importo non dipende dalla durata del contratto di credito in questione”.
3.1. L’interpretazione del diritto nazionale in conformità al diritto comunitario
Come affermato dalla giurisprudenza univoca della Corte di Cassazione, i principi espressi dalla Corte di Giustizia costituiscono una regula iuris applicabile dal giudice nazionale in ogni stato e grado del giudizio. La sentenza della Corte di Giustizia è quindi fonte di diritto oggettivo[17].
Tali conclusioni sono del resto condivise dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia che in diverse occasioni ha affermato che l’obbligo per gli Stati membri di conseguire il risultato previsto dalle direttive e il dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari idonei a garantire l’adempimento di tale obbligo si impone a tutte le autorità degli Stati membri, comprese, nell’ambito delle loro competenze, quelle giurisdizionali[18]. I giudici nazionali sono quindi tenuti a prendere in considerazione l’insieme delle norme dell’ordinamento interno e ad applicarle con ogni possibile sforzo ermeneutico al fine di interpretare il diritto interno in conformità al diritto dell’Unione.
Ancora recentemente la Grande Sezione della Corte di Giustizia, ha affermato che l’obbligo di interpretare il diritto nazionale in maniera conforme al diritto dell’Unione ed in particolare alle sentenze della stessa Corte comporta l’obbligo di modificare anche orientamenti giurisprudenziali consolidati[19].
E’ poi del tutto pacifico che l’obbligo di interpretazione conforme riguardi anche le direttive che disciplinano rapporti tra privati ed imponga al giudice ogni sforzo necessario per evitare un contrasto con il diritto dell’Unione. L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale è infatti immanente al Trattato stesso, in quanto permette al giudice nazionale di assicurare, nel contesto delle proprie competenze, la piena efficacia delle norme comunitarie[20].
Proprio la preminente funzione dell’interpretazione conforme ha portato la Corte di Giustizia[21] ad individuare margini molto ampli di applicazione di tale principio.
L’interpretazione conforme deve riguardare non solo le norme interne introdotte per recepire la Direttiva, bensì tutto il diritto nazionale per giungere ad una lettura conforme alla Direttiva[22]e obbliga il giudice a seguire ogni canone interpretativo che consenta di interpretare il diritto interno in modo da consentirne un’applicazione conforme agli scopi della Direttiva[23].
La Grande Sezione della Corte di Giustizia[24] ha ancora recentemente confermato che il giudice nazionale deve adoperarsi e ricorrere ad ogni possibile interpretazione conforme alla Direttiva, con il solo limite di non arrivare ad un’interpretazione oggettivamente contra legem, che rappresenta l’unico limite che non può essere travalicato.
L’applicabilità del principio di riduzione di tutti i costi, affermato dalla sentenza Lexitor non pare in alcun modo incompatibile con la formulazione dell’art. 125-sexies t.u.b. Anzi una corretta interpretazione letterale, teleologica e storico sistematica possono confermarne un’interpretazione del tutto conforme al diritto comunitario.
3.2. L’interpretazione letterale dell’art. 125-sexies
La formulazione letterale dell’art. 125-sexies t.u.b. si compone di tre distinte locuzioni: (i) la prima nella quale viene riconosciuto che “il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito” ove si precisa che la riduzione deve quindi riguardare “il costo totale del credito” e non solo parte dello stesso; (ii) una seconda esplicativa del costo del credito, “pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti”; (iii) una terza che è diretta ad individuare un criterio di calcolo della riduzione che deve essere operata“per la vita residua del contratto”, ovvero secondo il criterio di proporzionalità evitare che il costo del credito possa variare a seconda dell’etichettatura di singole voci di costo, operata unilateralmente dall’intermediario.
La norma interna, del tutto sovrapponibile a quella comunitaria[25], può quindi essere interpretata anche nella sua formulazione letterale, riconoscendo al consumatore il diritto alla riduzione del costo totale del credito corrispondente agli interessi ed agli altri costi pattuiti e dovuti in proporzione alla vita residua del contratto, e quindi secondo un criterio di stretta proporzionalità. Tale interpretazione pare preferibile in quanto consente, non solo di valorizzare l’elemento centrale del “costo totale del credito”, ma anche di attribuire a tale espressione il significato precisato all’art. 121, lett. e) t.u.b che verrebbe altrimenti disatteso e distorto. Del resto l’esemplificazione del costo totale del credito, pari agli interessi e agli altri costi dovuti per la vita residua del contratto, non può essere in contrasto con la sua definizione in quanto tra i costi sono certamente compresi tutti gli oneri, diversi dagli interessi, che formano il costo totale e servono ad esprimere il TAEG. La distinzione tra costi up-front e recurring è poi del tutto assente nella disciplina primaria di cui agli artt. 121 e ss. t.u.b. Ne consegue che l’interpretazione dell’art. 125-sexies in conformità alla sentenza Lexitor determina l’illegittimità della disciplina secondaria di attuazione non conforme fondata su tale distinzione.
L’interpretazione opposta, seguita in passato dalla giurisprudenza dell’ABF, presuppone invece che l’art. 125-sexies t.u.b. si componga di due distinte affermazioni: (i) la prima nella quale viene riconosciuto il diritto del consumatore “il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito”; (ii) la seconda, delimitativa della prima, diretta a precisare la nozione di costo totale del credito, “pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”.
Tale interpretazione è però soggetta ad alcune evidenti forzature.
Una volta precisata la definizione di un termine o di un’espressione utilizzata in un testo legislativo, è evidente che alla stessa debba essere sempre e solo assegnato tale significato. In considerazione del fatto che la definizione di costo totale del credito comprende ogni costo ad eccezione delle sole spese notarili, l’affermazione del diritto alla riduzione del costo totale non può che fare riferimento a tutti i costi, ovvero “gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza”. Già solo per tale ragione non pare consentita alcuna distinzione che porti a ritenere che alcuni costi, diversi dalle spese notarili, possano essere esclusi dalla riduzione, con conseguente illegittimità di ogni ripartizione tra costi recurring e up-front.
Affermare che il consumatore ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito precisando che tale diritto riguarda gli interessi e solo una parte di costi, ovvero quelli dovuti in ragione della durata del contratto, si risolverebbe in un’evidente antinomia, se non in una contraddizione in termini, che deve essere risolta facendo prevalere la nozione di costo totale del credito di cui all’art. 121 lett. e) t.u.b. Proprio per tale ragione il diritto alla riduzione del costo totale del credito è del tutto insensibile non solo alla natura dei costi, ma anche alla circostanza che alcuni di essi siano stati già corrisposti a soggetti terzi o riguardino il corrispettivo di prestazioni già eseguite[26].
3.3. L’interpretazione teleologica
Ad identiche conclusioni si deve giungere facendo ricorso alle intenzioni del legislatore che consentono di risolvere l’apparente antinomia tra l’affermazione del diritto alla riduzione totale del costo del credito e la precisazione che la stessa riguarderebbe i soli interessi e costi per la vita residua del prestito[27]. Come si è visto, gli obiettivi della Direttiva 2008/48, ed in particolare del diritto al rimborso anticipato ed alla riduzione del costo totale del credito, sono individuati dalla Corte di Giustizia e dalla stessa Direttiva: (i) nella tutela del consumatore (cfr. par. 29) e nella necessità di evitare anche solo il rischio che l’intermediario sia portato ad imputare i costi del credito a voci o “etichette” escluse dalla riduzione (parr. 31 e 32); (ii) nel semplificare l’individuazione dei costi che possono essere oggetto di riduzione (par. 33);(iii) nella funzione segnaletica e comparativa dell’indicazione del TAEG, diretta ad orientare il consumatore e ad assicurargli un costo tendenzialmente omogeneo per tutto il prestito, finalità che, come si è visto, risultano ulteriormente rafforzate nell’ordinamento interno dallo specifico apparato sanzionatorio previsto all’art. 125-bis t.u.b.
La distinzione tra costi recurring e up-front non consente (e non ha consentito) la realizzazione di tali finalità, come emerso dal vasto contenzioso sorto avanti l’ABF e dai continui interventi sulla materia di Banca d’Italia, prima nel 2009[28], poi nel 2011[29]e ancora di recente nel 2018[30], ove si prendeva atto che, nonostante i precedenti sforzi, il mercato della CQS era ancora caratterizzato da “comportamenti impropri” degli intermediari.
Per contro la regola Lexitor che impone una riduzione di tutti i costi può consentire di raggiungere in maniera ragionevole e proporzionata le finalità della legislazione nazionale che ha recepito la Direttiva 2008/48: (i) ogni qualificazione e distinzione tra voci di costo è irrilevante; (ii) viene sancito un principio chiaro e preciso che non comporta alcuna difficoltà di qualificazione dei costi, con un evidente effetto di riduzione del contenzioso; (iii) viene in ogni momento contrattuale salvaguardata la funzione del TAEG, e si orientano le offerte verso la formula “tutto TAN”, raccomandata da Banca d’Italia, con conseguente semplificazione delle offerte, che in quanto più facilmente comparabili potrebbero stimolare la concorrenza nel comparto[31] ed una riduzione del costo del credito, che oggi ha raggiunto livelli eccessivi[32].
3.4. L’interpretazione storico – sistematica
Alle medesime conclusioni si deve pervenire anche attraverso una lettura storico-sistematica della disciplina di riferimento. Il diritto interno ha infatti seguito una linea evolutiva del tutto identica al diritto europeo[33], passando dalla generica nozione di “equa riduzione”[34] a quella di una riduzione del costo totale che deve riguardare interessi e costi. E’ evidente l’intenzione del legislatore italiano ed europeo di innalzare il livello di protezione del consumatore.
L’introduzione dell’attuale art. 125-sexies t.u.b. deve quindi aver segnato un necessario innalzamento della tutela del cliente che non può coincidere con l’applicazione delle regole codicistiche generali o con la previgente disciplina. Nei contratti ad esecuzione continuata ai sensi dell’art. 1373, secondo comma, c.c. in caso di recesso il cliente non è tenuto a corrispondere i compensi inerenti prestazioni non godute. Il Collegio di Coordinamento dell’ABF, nell’affermare il diritto alla restituzione dei costi recurring, già in passato precisava che “anche in assenza dell’art. 125-sexies TUB, il consumatore avrebbe comunque il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente trattenute dall’intermediario, secondo la disciplina generale dell’art. 2033 c.c., di cui l’art. 125-sexies, primo comma, TUB”[35]
Pare quindi ovvio che la restituzione anticipata del capitale faccia sorgere il diritto a non corrispondere gli interessi sul capitale rimborsato anticipatamente in quanto causalmente non giustificati in ragione del minor periodo temporale nel quale il consumatore ha goduto del credito. I compensi relativi a prestazioni non godute presuppongono quindi la natura continuativa del costo, rapportata alla durata del prestito e sono quindi identificabili negli oneri recurring. Ne consegue che qualora tali costi vengano anticipati al momento della conclusione del contratto il consumatore ha diritto a chiederne la restituzione ex art. 2033 c.c.
Anche la decisione del Collegio di Coordinamento 11 dicembre 2019 si pone chiaramente in questa linea, affermando che, anche in assenza dell’art. 125-sexies, l’intermediario avrebbe in ogni caso dovuto restituire i costi recurring[36]:
E’ anche sulla base di tale considerazione del il Collegio di Coordinamento arriva ad affermare che“l’art.125 sexies TUB, integrando la esatta e completa attuazione dell’art.6 della Direttiva, come questa va letto e applicato nel senso indicato dalla CGUE, come se dicesse cioè (anzi, come se avesse detto fin dalla sua origine) che il diritto alla riduzione del costo del credito in caso di anticipata estinzione del finanziamento coinvolge anche i costi up-front, al di là di ogni differenza nominalistica o sostanziale, pur esistente, con gli altri costi. Il che, a ben vedere, costituisce naturale concretizzazione dell’obiettivo perseguito dalla Direttiva di assicurare una elevata protezione del consumatore, giacché non si capirebbe altrimenti, al di là delle esigenze di trasparenza, in cosa consista tale speciale tutela a fronte di regole generali che nei rapporti di durata consentirebbero comunque al recedente di non corrispondere i compensi per prestazioni non scadute (art. 1373, comma 2, c.c.)”.
Condiviso che la Direttiva 2008/48/CE ha la finalità di assicurare un più elevato livello di protezione del consumatore rispetto alla disciplina previgente, sarebbe illogico concludere che tale intervento normativo non abbia avuto altro effetto che ribadire l’applicabilità dei principi codicistici che regolano l’indebito e quindi la riduzione dei soli costi recurring dovuti per tutta la durata del prestito, risultato al quale si sarebbe dovuti pervenire applicando le regole generali di cui agli artt. 1373 e 2033 c.c.
3.5. Ambito temporale di applicazione del principio di diritto espresso dalla sentenza Lexitor
E’ pacificamente riconosciuto in via generale che le sentenze interpretative della Corte di Giustizia hanno efficacia vincolante ed ultra partes anche per i rapporti giuridici sorti prima della sentenza purché non esauriti o coperti da giudicato[37]; si tratta infatti di decisioni di natura dichiarativa con valore vincolante e retroattivo per il giudice nazionale.
Solo eccezionalmente la Corte di Giustizia, a tutela della buona fede dei soggetti interessati e al fine di evitare gravi inconvenienti, può limitare gli effetti temporali delle proprie sentenze. Tale potere non è stato esercitato con la sentenza Lexitor e non può essere invocato avanti il giudice nazionale per limitarne gli effetti. Del resto, come chiarito dalla stessa Corte di Giustizia, il potere di circoscrivere temporalmente gli effetti della decisione deve essere esercitato nella sentenza che affronta la questione pregiudiziale, e non in pronunce successive della stessa Corte, alle quali è preclusa ogni integrazione delle proprie precedenti decisioni che non abbiano ritenuto di limitare gli effetti della pronuncia resa[38].
In questo senso si sono espressi la dottrina[39] ed il Collegio di Coordinamento ABF[40] che hanno ribadito l’efficacia retroattiva ed ultra partes della sentenza della Corte di Giustizia i cui principi troveranno conseguentemente applicazione per ogni estinzione intervenuta successivamente al recepimento della Direttiva 2008/48.
4. I criteri di calcolo della riduzione dei costi up-front: il criterio pro rata temporis e le nebbie dell’integrazione giudiziale secondo equità
Le indicazioni della Banca d’Italia e la decisione del Collegio di Coordinamento suscitano non poche perplessità con riferimento all’individuazione del criterio di calcolo per procedere alla riduzione di tutti i costi.
La comunicazione della Banca d’Italia 4 dicembre 2019, una volta affermato il principio secondo il quale per i nuovi contratti deve essere assicurata una riduzione di tutti i costi a carico del consumatore ad eccezione delle imposte, precisa che per garantire la necessaria trasparenza, devono essere precisati nell’informativa precontrattuale e nelle condizioni di contratto i criteri di riduzione dei costi, che non vengono però dettagliati. Anzi, pilatescamente, Banca d’Italia rimette al “prudente apprezzamento degli intermediari” la determinazione dei criteri di rimborso dei costi chiaramente indicati come up-front nei contratti, salvo precisare che “dovrà trattarsi di un criterio proporzionale rispetto alla durata (ad esempio lineare oppure costo ammortizzato)”.
Il Collegio di Coordinamento arriva invece ad ammettere in maniera più esplicita la possibilità di utilizzare criteri alternativi alla riduzione lineare e strettamente proporzionale. La decisione si snoda nelle seguenti affermazioni:
(i) prima della sentenza Lexitor l’obbligo di provvedere ad una riduzione dei costi recurring, così come la loro restituzione in caso di pagamento anticipato, potevano derivare dall’applicazione delle norme generali sul recesso e sull’indebito oggettivo (art. 1373, terzo comma e 2033 c.c); tale criterio non doveva essere inteso in maniera rigida, come per altro rilevato dallo stesso Collegio di Coordinamento con la decisone n. 10003/2016 che ha consentito, in caso di specifica pattuizione, la restituzione dei costi in misura differenziata per ogni frazione di tempo di durata del prestito, ancorché non esattamente proporzionale;
(ii) come rilevato nelle conclusioni dell’Avvocato Generale, l’art. 16 della Direttiva 2008/48 “non stabilisce il metodo di calcolo da utilizzare lasciando agli stati membri un certo margine di manovra in materia”; la Corte di Giustizia non avrebbe imposto un criterio di riduzione comune e unico per tutte le componenti del costo del finanziamento, intendendo la “totalità” non già come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo;
(iii) il criterio pro rata temporis alla luce del mutato quadro giuridico di riferimento sarebbe “ancora il più logico con riguardo ai costi ricorrenti, ma non rispetto ai costi istantanei, proprio a causa della loro diversa tipologia; vi sarebbe pertanto una “lacuna del regolamento contrattuale”, non configurabile prima della sentenza Lexitor, che le parti potrebbero pattiziamente colmare individuando un criterio di riduzione agevolmente comprensibile che corrisponda ad un principio di relativa proporzionalità;
(iv) in assenza di un criterio di rimborso dei costi up-front determinato nel contratto non resterebbe che “il ricorso alla integrazione giudiziale” secondo equità (art.1374 c.c.) per una valutazione della “giustizia del caso concreto” demandata ai singoli collegi territoriali secondo le particolarità delle singole fattispecie;
(v) nel caso specifico il Collegio di Coordinamento ha ritenuto di seguire un “metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.d. curva degli interessi), come desumibile dal piano di ammortamento”.
L’intero impianto della decisione parte da un presupposto molto fragile, suggerito dalle conclusioni dall’Avvocato Generale, ovvero la mancata individuazione di un criterio di calcolo per la riduzione individuato nella Direttiva 2008/48 o nella sentenza della Corte di Giustizia. A prescindere dal rilievo che le conclusioni dell’Avvocato Generale, pur autorevoli, rappresentano un parere non vincolante, pare che la decisione del Collegio di Coordinamento non tenga in adeguata considerazione un importante passaggio della motivazione laddove la Corte (par. 24) individua due possibili interpretazioni della locuzione «per la restante durata del contratto», che compare all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48. La Corte afferma che tale espressione (i) potrebbe significare “che i costi interessati dalla riduzione del costo totale del credito sono limitati a quelli che dipendono oggettivamente dalla durata del contratto oppure a quelli che sono presentati dal soggetto concedente il credito come riferiti ad una fase particolare della conclusione o dell’esecuzione del contratto”, o in alternativa (ii) indicare “il metodo di calcolo che deve essere utilizzato al fine di procedere a tale riduzione consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione alla durata residua del contratto”.
E’ evidente che tra le due interpretazioni la Corte abbia optato per la seconda, escludendo che la riduzione possa riguardare i soli costi che dipendono dalla durata del contratto. Il riferimento alla “restante durata del contratto” indica quindi il metodo di calcolo strettamente proporzionale per la riduzione di tutti i costi[41]. Non si è quindi in presenza di lacune normative o contrattuali, bensì di una norma imperativa che non necessità di alcuna integrazione equitativa. Né pare corretto ritenere che sia necessario adeguare i criteri di conteggio al mutato contesto giuridico di riferimento in quanto le norme primarie (artt. 125-sexies t.u.b. e 16 par. 1 della direttiva 2008/48) non hanno subito alcuna modifica.
Il ragionamento seguito dal Collegio di Coordinamento pare inoltre scontrarsi apertamente con la funzione dell’art. 16 della Direttiva riconosciuta dalla Corte di Giustizia in quanto, pur affermando che la riduzione debba riguardare tutti i costi, sposta la distinzione tra costi up-front e recurring dal piano dei costi esclusi dalla riduzione a quello del criterio di calcolo per la riduzione, sdoganando così una distinzione tra costi recurring, di regola sottoposti al criterio pro rata temporis e costi up-front, soggetti a non chiari principi equitativi che richiedono valutazioni specifiche e adattate alla singola fattispecie. Significa forse che l’equità integrativa possa escludere il rimborso per una quota degli oneri up-front? E quale potrebbe essere la misura non rimborsabile di tali costi?
Come si è ben osservato[42] la sentenza della Corte di Giustizia supera la distinzione tra costi costi up-front erecurring che in caso di estinzione anticipata sono in tutto parificati. Tale impostazione pare operare non solo sul piano dell’individuazione delle voci oggetto di riduzione ma su ogni profilo della regolamentazione del rimborso anticipato, e quindi anche sul criterio di calcolo. La previsione di criteri di calcolo differenziati si scontra apertamente con le finalità della direttiva[43] di consentire un’elevata protezione del consumatore ponendolo al riparto dalle decisioni arbitrarie ed unilaterali dell’intermediario di etichettare alcuni costi in modo da poter limitare la riduzione del costo del credito in caso di estinzione anticipata.
Del resto anche la decisione del Collegio di Coordinamento n. 10003/2016, richiamata nella decisione in commento, fonda l’eccezione al criterio rigidamente proporzionale del pro rata temporis in caso di specifica previsione di tempi di rimborso differenziati, proprio sulla distinzione tra oneri up-front e recurring, consentendo la non rimborsabilità di una percentuale dei costi recurring in quanto corrispondenti a prestazioni già eseguite e quindi scollegate alla durata residua del rapporto[44].
Predicare l’applicazione di un criterio di calcolo della riduzione che tenga conto della natura istantanea dei costi significa in definitiva far rientrare dalla finestra, con una qualche limitazione, ciò che invece la Corte di Giustizia ha chiaramente bandito. Per giungere a tale conclusione, la decisione è costretta ad un’evidente forzatura laddove afferma che la “totalità” dei costi oggetto di riduzione è da intendersi “non già come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo”, distinzione della quale sfuggono il contenuto e la portata.
La possibilità per l’intermediario di utilizzare criteri alternativi al pro rata temporis si presta a forti critiche anche sul piano applicativo. Tale soluzione lascia il consumatore nella incertezza e nella sostanziale impossibilità di conoscere in concreto ed ex ante l’entità della riduzione dei costi applicabile alla singola fattispecie in quanto, come precisa il Collegio di Coordinamento, “la equità integrativa è la giustizia del caso concreto” con la conseguenza che “ogni valutazione al riguardo spetterà ai Collegi territoriali, tenendo conto della particolarità della fattispecie”. La mancata individuazione di un criterio di calcolo comune a tutti i rapporti contrattuali pregiudica la semplicità e la comprensibilità delle condizioni economiche delle offerte, la loro comparabilità, rappresentando un ostacolo per la formazione di un mercato concorrenziale. Le conseguenze sul piano dell’incertezza del diritto e del contenzioso tra clienti ed intermediari paiono del tutto evidenti.
Anche la soluzione adottata in concreto, ovvero la riduzione degli oneri up-front secondo il piano di ammortamento, è priva di ogni giustificazione ed è contraria a precedenti decisioni dello stesso Collegio di Coordinamento che ha sottolineato senza esitazioni che il criterio per la riduzione degli oneri recurring, diversi dagli interessi, non può seguire il piano d ammortamento ed in particolare quello francese in quanto strettamente giustificato dalla modalità di calcolo degli interessi sul debito residuo e non sul capitale in scadenza[45]. Dinamica questa inapplicabile ad ogni onere diverso dagli interessi che non venga calcolato in misura percentuale rispetto al debito residuo. Pare davvero difficile limitare tale divieto ai soli oneri recurring e non a quelli up-front, tranne voler tornare ad una disparità di trattamento tra voci di costo che è indubbiamente contraria alla sentenza Lexitor.
5. Conclusioni
Le conclusioni alle quali giunge la decisione del Collegio di Coordinamento paiono il frutto di una mediazione diretta a mitigare gli effetti della sentenza Lexitor: se ne riconosce l’applicabilità nell’ordinamento italiano ma se ne attenuano le conseguenze sul piano del computo della riduzione del costo totale del credito.
L’applicazione di criteri di calcolo distinti per gli interessi (pro rata temporis o applicazione del piano di ammortamento) altri oneri recurring (pro rata temporis) e up-front (valutazione caso per caso secondo equità) può significativamente limitare i positivi effetti di regolamentazione del mercato conseguenti alla sentenza Lexitor.
Innanzitutto permette agli intermediari ampi margini di manovra nell’individuazione delle commissioni oggetto di riduzione su base rigidamente proporzionale o in forza di altri criteri, meno favorevoli al cliente, non eliminando così il rischio di comportamenti opportunistici ben evidenziati da Banca d’Italia[46]. Il principio dell’equità integrativa ritagliata sul caso concreto, oltre a mal calarsi in un contesto di contratti standardizzati e di un contenzioso di massa, non consente nemmeno di delineare una regola chiara e precisa in quanto impone al consumatore di effettuare per ogni tipologia di costo calcoli differenti e complicati, senza per altro conoscere come possa essere applicato in concreto il criterio di riduzione. Lo stesso spessore quantitativo del contenzioso ABF non è altro che il risvolto di prassi illecite fondate su un’opaca distinzione tra costi up-front e recurring[47].
Lariduzione di tutti i costi, comprese le commissioni up-front, secondo un criterio rigidamente proporzionale avrebbe invece indubbie esternalità positive sul mercato della cessione del quinto. Salvaguardando la valenza comparativa del TAEG e, rendendo più semplici e confrontabili le offerte, si consentirebbe un maggior livello di concorrenza tra gli operatori che dovrebbe avere l’effetto di consentire una complessiva riduzione dei prezzi. La riduzione rigidamente proporzionale di tutte le commissioni, ed in particolare di quelle destinate a remunerare la rete degli intermediari e dei mediatori che operano nel comparto e che pesano in maniera decisiva sugli oneri complessivi, potrebbe incentivare una complessiva riduzione della filiera del credito e l’intervento sul mercato di nuovi intermediari di maggiori dimensioni ad oggi poco attivi.
In tale contesto pare opportuno un intervento della Banca d’Italia che chiarisca che, in caso di rimborso anticipato, tutti gli oneri in passato etichettati come up-front sono sottoposti a riduzione secondo il criterio del pro rata temporis. Tale precisazione avrebbe l’effetto ridurre il contenzioso, incentivare la trasparenza, la semplicità e la confrontabilità delle offerte, fungendo così da stimolo alla concorrenzialità del mercato.
La pronuncia della Corte di Giustizia potrebbe forse essere l’occasione per un ampio ripensamento della disciplina dei prestiti con cessione del quinto dello stipendio o della pensione. Tra gli interventi legislativi, che non possono essere approfonditi in questa sede, si può ad esempio pensare alla eliminazione degli ostacoli che hanno spesso giustificato l’intervento di reti di mediatori ed intermediari, allungando la filiera ed incrementando il costo totale del credito. Consentendo l’accesso degli intermediari alle banche dati telematiche gli stessi potrebbero reperire direttamente le informazioni necessarie per la concessione dei prestiti, riducendo i costi di transazione. Risulterebbero così nel contempo salvaguardati gli obiettivi di garantire adeguata capillarità delle offerte e l’accesso al credito da parte dei soggetti più deboli, da un lato, e, dall’altro, la comparabilità delle offerte quale presupposto per stimolare la competitività del settore e la riduzione dei costi oggi ingiustificati.
[1] Cfr. Delibera 145/2018 di Banca d’Italia, Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione. Orientamenti di Vigilanza che ha messo in evidenza che il mercato della CQS è caratterizzato da “comportamenti impropri rilevati tra gli operatori del comparto, con riflessi sulla clientela per lo più fragile”, mettendo in particolare evidenza “il permanere di criticità nel settore e nei comportamenti verso i clienti, che incidono sul livello e struttura dei costi, sia per le prime erogazioni sia, soprattutto, nei casi assai frequenti di rinnovo delle operazioni (non sempre rispondenti a reali esigenze finanziarie del cliente). Tra le cause vi sono condotte opportunistiche di alcuni operatori e delle reti collocatrici”. “È stata diffusamente riscontrata la mancanza di chiarezza nella rappresentazione dei costi (ad esempio: duplicazione di commissioni a fronte di una medesima attività; ambiguità nel discriminare tra costi upfront e recurring). Ciò può tradursi in un ingiustificato innalzamento del livello complessivo dei costi e in una sottovalutazione degli importi oggetto di restituzione in caso di estinzione anticipata dei contratti”.
[2] I dati relativi alle serie storiche del tegm rilevato sono reperibili sul sito di Banca d’Italia al seguente indirizzo: http://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/compiti-vigilanza/tegm/
index.html.
[3] Cfr. Delibera 145/2018 di Banca d’Italia, Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione: Orientamenti di Vigilanza.
[4] La questione pregiudiziale è stata posta con riferimento all’articolo 49, paragrafo 1, della legge polacca 12 maggio 2011 che ha trasposto la Direttiva 2008/48 sul credito ai consumatori la quale prevede che “in caso di rimborso dell’intero credito prima della data concordata nel contratto, il costo totale del credito è ridotto nella misura dei costi corrispondenti al periodo di durata residua del contratto, anche qualora il consumatore li abbia sostenuti prima di tale rimborso”. Come rilevato nella sentenza, la giurisprudenza polacca è giunta ad interpretazioni contrastanti: alcuni giudici, sulla base della norma interna, hanno ritenuto non compresi i costi non corrispondenti alla vita residua del prestito, mentre in altre occasioni la giurisprudenza era giunta ad includerli, sulla base di un’interpretazione conforme del diritto nazionale al principio espresso nella Direttiva 2008/48.
[5] Cfr. considerando 39, direttiva 2008/48: “Al fine di promuovere l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno e di garantire ai consumatori un elevato grado di tutela in tutta la Comunità, è necessario assicurare la comparabilità delle informazioni riguardanti i tassi annui effettivi globali in tutta la Comunità”. Al medesimo considerando si sottolinea che nonostante l’adozione di una formula matematica uniforme per il calcolo del tasso annuo effettivo globale di cui alla Direttiva 87/102/CEE, lo stesso non è ancora pienamente comparabile in tutta la Comunità in quanto “nei singoli Stati membri, per calcolare tale tasso vengono presi in considerazione fattori di costo diversi. La presente Direttiva dovrebbe dunque definire chiaramente ed esaurientemente il costo totale del credito al consumo”. In tal senso si può leggere anche il 20° considerando che individua la finalità di rendere edotto il consumatore del costo in maniera oggettiva: “Il costo totale del credito al consumatore dovrebbe comprendere tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte, le spese per gli intermediari del credito e tutte le altre spese, legate al contratto di credito, che il consumatore deve pagare, escluse le spese notarili. Occorre stabilire in modo oggettivo in quale misura il creditore è a conoscenza dei costi, tenendo conto degli obblighi di diligenza professionale”.
[6] In tal senso, cfr. CGCE, 5 settembre 2019, Pohotovosť, C-331/18, EU:C:2019:665, punto 41; CGCE, 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová, C-377/14, punto 61, nonché CGCE, 2 maggio 2019, Pillar Securitisation, C-694/17, punto 38)
[7] Così CGCE, 19 dicembre 2019, Home Credit Slovakia a.s, C-280/19. Nello stesso senso, cfr. CGCE 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová, C-377/14, punto 90 CGCE 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia, C-42/15, punto 66 CGCE, 20 settembre 2018, EOS KSI Slovensko, C-448/17, punto 64.
[8] Cfr.. CGCE, 20 settembre 2018, C-448/17, “ parr. 64-65: “Tale informazione del consumatore sul costo globale del credito, sotto forma di tasso calcolato secondo una formula matematica unica, riveste dunque un’importanza essenziale (v., in tal senso, ordinanza del 16 novembre 2010, Pohotovosť, C‑76/10, EU:C:2010:685, punti 69 e 70). Di conseguenza, la mancata indicazione del TAEG in un contratto di credito può costituire un elemento decisivo nell’ambito dell’esame da parte del giudice nazionale interessato della questione se la clausola di tale contratto relativa al costo del credito sia formulata in modo chiaro e comprensibile ai sensi dell’articolo 4 della Direttiva 93/13. Se così non è, un giudice nazionale può valutare il carattere vessatorio di tale clausola ai sensi dell’articolo 3 di tale Direttiva (v., in tal senso, ordinanza del 16 novembre 2010, Pohotovosť, C‑76/10, EU:C:2010:685, punti 71 e 72)”.
[9] Ai sensi dell’art. 124 t.u.b., primo comma, nella fase precontrattuale gli intermediari devono fornire al consumatore prima che egli sia vincolato da un contratto o da un’offerta di credito, “le informazioni necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato” con la consegna del modulo contenente le “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, tra le quali è compreso anche il TAEG. L’art. 123 t.u.b. prevede che gli annunci pubblicitari che riportano il tasso d’interesse o altre cifre concernenti il costo del credito, devono indicare in forma chiara, concisa e graficamente evidenziata il TAEG.
[10] In questo senso cfr. Coll. Coord. ABF, 8 novembre 2018, n. 23293 che ha affermato la nullità della clausola contenente un TAEG non corretto e la conseguente sostituzione del TAEG indicato con il tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali: “La ragione giustificatrice di siffatta soluzione veniva indicata, sia con riferimento alla precedente che all’attuale disciplina, nell’importanza che rivestono, nel credito al consumo, il TAEG ed altre specifiche informazioni essenziali al fine di consentire al consumatore una rappresentazione della portata dell’impegno assunto. Importanza che conduce a prevedere, con riferimento specifico al credito al consumo, un apparato rimediale che va oltre il risarcimento dei danni”. Nello stesso senso v. anche Coll. Coord. ABF, 8 giugno 2018, n. 12832.
[11] In questo senso, cfr. CGCE, 9 novembre 2016, C-42/15, parr. 69-70.
[12] Cfr. Comunicazione Banca d’Italia, 18 marzo 2018: “Schemi tariffari che incorporano nel tasso annuo nominale (TAN) la gran parte o tutti gli oneri connessi con il finanziamento contro CQS rappresentano una buona prassi di mercato. Sebbene imperniata su un’informativa non analitica, tale soluzione, che si caratterizza per la presenza di un limitato numero di commissioni, quando non del tutto assenti, assicura una maggiore tutela del cliente poiché: i) tutti gli oneri incorporati nel tasso sono sempre oggetto di restituzione in caso di estinzione anticipata a prescindere dalla loro natura; ii) semplifica la struttura tariffaria e la rende più comprensibile”. In argomento, in dottrina, cfr. Marchesi, Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione: i nuovi orientamenti dell’Autorità di vigilanza, in Rivista di diritto bancario, www.dirittobancario.it, 2018, 333.
[13] Nelle proprie conclusioni (par. 52), rassegnate nella vicenda Lexitor, l’Avvocato Generale sottolinea la necessità che la riduzione debba essere facilmente calcolabile ex ante proprio in ragione delle finalità della Direttiva 2008/48: “Per contro, non si può ignorare il fatto che il considerando 39, che riguarda specificamente gli obiettivi perseguiti dal’articolo 16, paragrafo 1, non fa alcun riferimento a tale riduzione, ma piuttosto dispone soltanto che «Al consumatore dovrebbe essere concessa la facoltà di adempiere ai suoi obblighi prima della data concordata nel contratto di credito». Ciò suggerisce in effetti che il legislatore dell’UE abbia ritenuto che tale riduzione sia stata concepita come semplice conseguenza del rimborso anticipato e, pertanto, come qualcosa di facile da calcolare. Per di più, l’idea che le conseguenze di un rimborso anticipato debbano essere facilmente valutabili è espressa anche nello stesso considerando, quando la norma fa riferimento, questa volta, all’indennizzo che spetta a un ente creditizio. Infatti, ai sensi del considerando 39, in tale situazione: «(…) il metodo di calcolo dovrebbe essere di facile applicazione per i creditori(…)”. Circa la funzione di semplificazione del TAEG, cfr. De Nova, La semplificazione della normativa di trasparenza bancaria, in riv. dir. bancario, 2019, 409 e ss., ivi 412: “Il TAEG si riduce ad un numero, e quindi siamo in presenza della più semplice delle informazioni”.
[14] In tal senso cfr. Maimeri, Credito al consumo: quali commissioni sono rimborsabili, in FCHub, 15 ottobre 2019, consultabile all’indirizzo https://fchub.it/wpcontent/uploads/
2019/10/credito_al_consumo.pdf; CATURANO, Estinzione anticipata e diritti del consumatore: l’impatto della Corte di Giustizia sul “Caso Italiano”, 18 ottobre 2019, consultabile all’indirizzo www.expartecreditoris.it/provvedimenti/estinzione anticipata-e-diritti-del-consumatore-limpatto-della-corte-di-giustizia-ue-sul-caso italiano; tra le prime decisioni cfr. Trib. Napoli, 20 novembre 2019.
[15] Dolmetta, Anticipata estinzione e « riduzione del costo totale del credito». Il caso della cessione del quinto, in Banca Borsa, 2019, II, 644 ss; Tina, Il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del finanziamento ex art. 125-sexies, primo comma, t.u.b. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. in rivista diritto bancario, 2019, 155 ss, ivi 166.
[16] Collegio di Coordinamento dell’ABF 11 dicembre 2019, n. 2625.
[17] Cfr. Cass., 8 febbraio 2016, n.2468: “La Corte di giustizia della UE è l’unica autorità giudiziaria deputata all’interpretazione delle norme comunitarie, la quale ha carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarla anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa. Ne consegue che a tali sentenze, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito effetto retroattivo, salvo il limite dei rapporti ormai esauriti, e “ultra partes”, di ulteriore fonte del diritto della UE, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito dell’Unione”; nello stesso senso cfr. Cass., Cass. 17994/15; Cass. 1917/12; Cass. 4466/05; Cass. 857/95; La Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 19 del Trattato UE deve garantire l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione presso tutti gli Stati membri e la legittimità degli atti del diritto dell’Unione. Qualsiasi sentenza che applica o interpreta una norma comunitaria ha la natura di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, in quanto la Corte di Giustizia, come interprete qualificato, ne precisa autoritariamente il significato e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative (Cass. 4466/05).
[18] Cfr. in particolare, CGUE (grande sezione), 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., cause riunite da C-397/01 a C-403/01, EU:C:2004:584, punti 113 e 114, nonché CGUE (grande sezione), 19 gennaio 2010, Kücükdeveci, C-555/07, EU:C:2010:21, par. 47; I 10 aprile 1984, Von Colson e Kamann, 14/83, EU:C:1984:153, punto 26.
[19] CGUE (grande sezione), 19 aprile 2016, n.441, 33: “In tali circostanze, occorre precisare che l’esigenza di un’interpretazione conforme include l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una Direttiva” – v., in tal senso, CGUE, 13 luglio 2000, Centrosteel, C-456/98, EU:C:2000:402, punto 17
[20] In questo senso, cfr. CGUE, 15 maggio 2003, Mau C-160/01, Racc. pag. I-4791, par. 34.
[21] Cfr. CGUE (grande sezione) 5 ottobre 2004 C-397/01 – C-403/01; nello stesso senso cfr. CGUE, 4 ottobre 2004, (grande sezione) “il principio dell’interpretazione conforme esige quindi che il giudice del rinvio faccia tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia della Direttiva 93/104, al fine di evitare il superamento dell’orario massimo di lavoro settimanale fissato all’art. 6, punto 2, della stessa (v., in questo senso, sentenza Mai-leasing, cit., punti 7 e 13)”.
[22] Cfr. CGUE, 25 febbraio 1999, C-131/97, Carbonari e altri, par. 49.
[23] Cfr. CGUE, 13 luglio 2000, C-456/98, parr. 16-17 ove ampi rinvii alla precedente consolidata giurisprudenza della Corte.
[24] Cfr. CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite C 569/16 e C 570/16[24].
[25] Così Collegio di Coordinamento ABF, 11 dicembre 2019, n. 2625; nello stesso senso cfr. Tina, op. cit., 165.
[26] In senso contrario, v. Rabitti, ABF e Lexitor: estinzione anticipata e riduzione del costo del credito alla luce del principio di equità integrativa, in www.dirittobancario.it, 5 la quale propende per la non rimborsabilità delle commissioni di mediazione e di agenzia in quanto destinate alla remunerazione di terzi.
[27] In questo senso cfr. Trib. Avellino, 28 ottobre 2019: “Le argomentazioni della Corte sono condivisibili, laddove evidenziano la finalità della norma: la tutela del consumatore cd il suo diritto ad estinguere anticipatamente un debito con riduzione dei costi complessivi del credito (dunque sia i costi up-front che revolving). Invero, quanto al bilanciamento degli interessi coinvolti, osserva la Corte che la decurtazione dei costi integralmente sostenuti dal consumatore fornisce immediata liquidità all’istituto di credito, che gli consente di rimborsare tutti i costi in base alla durata effettiva del finanziamento. Ritenuto di dover aderire a tale orientamento, in ragione della ratio della normativa comunitaria recepita dall’ordinamento nazionale e già costituente principio normativo interno prima ancora del recepimento , la domanda introduttiva del giudizio deve trovare pieno accoglimento, in relazione a tutti i costi del credito”.
[28] In tal senso cfr. Comunicazione di Banca d’Italia, 10 novembre 2009, Cessione del quinto dello stipendio e operazioni assimilate: cautele e indirizzi per gli operatori.
[29] Comunicazione di Banca d’Italia, 7 aprile 2011, Cessione del quinto dello stipendio o della pensione e operazioni assimilate (CQS), con la quale Banca d’Italia sollecitava gli intermediari a «definire correttamente – in linea con le nuove disposizioni sul credito ai consumatori – la ripartizione tra commissioni up-front e recurring, includendo nelle seconde le componenti economiche soggette a maturazione nel tempo»; assicurare “il principio di competenza economica nella rilevazione delle commissioni percepite in relazione all’operatività in CQS, distinguendo quelle che maturano in ragione del tempo (c.d. recurring), da rilevare pro rata temporis, dalle altre, da rilevare quando percepite».
[30] Cfr. Delibera 145/2018 di Banca d’Italia, Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione: Orientamenti di Vigilanza.
[31] In questo senso cfr. Dolmetta, op. cit. 648.
[32] Banca d’Italia negli Orientamenti di Vigilanza del 2018 (cfr. § 23) rilevava che “il livello dei prezzi non sempre riflette le attività concretamente svolte e funzionali all’erogazione del credito. Sul cliente gravano oneri non sempre giustificati, che sono anche il frutto di scelte organizzative e operative non efficienti”. Per contro la stessa Banca d’Italia segnalava che “schemi tariffari che incorporano nel tasso annuo nominale (T AN) la gran parte o tutti gli oneri connessi con il finanziamento contro CQS rappresentano una buona prassi di mercato. Sebbene imperniata su un’informativa non analitica, tale soluzione, che si caratterizza per la presenza di un limitato numero di commissioni, quando non del tutto assenti, assicura una maggiore tutela del cliente poiché: i) tutti gli oneri incorporati nel tasso sono sempre oggetto di restituzione in caso di estinzione anticipata a prescindere dalla loro natura; ii) semplifica la struttura tariffaria e la rende più comprensibile”. Sul punto v. anche Dolmetta, op. cit. 648 il quale rileva che l’operatività del credito al consumo e della cessione del quinto dello stipendo è connotata da prassi operative improprie.
[33] Cfr. parr. 27 e 28 della sentenza Lexitor: “l’articolo 8 della Direttiva 87/102, che è stata abrogata e sostituita dalla Direttiva 2008/48, stabiliva che il consumatore, «in conformità alle disposizioni degli Stati membri, (…) deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito». 28 Dunque, occorre constatare che l’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48 ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di «equa riduzione» quella, più precisa, di «riduzione del costo totale del credito» e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare «gli interessi e i costi”
[34] L’art. 125, secondo comma, t.u.b., in vigore fino al recepimento della Direttiva 2008/48 prevedeva che “Le facoltà di adempiere in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità spettano unicamente al consumatore senza possibilità di patto contrario. Se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, ha diritto a un’equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR”. Il Decreto del Ministero del Tesoro 8 luglio 1992, art. 3, comma 1, regolando l’adempimento anticipato, ha previsto che: “il consumatore ha sempre la facoltà dell’adempimento anticipato; tale facoltà si esercita mediante versamento al creditore del capitale residuo, degli interessi ed altri oneri maturati fino a quel momento e, se previsto dal contratto, di un compenso comunque non superiore all’uno per cento del capitale residuo”.
[35] ABF, Collegio di Coordinamento, 11 novembre 2016, n. 10003: “Del resto, se il contratto prevedesse, in luogo del pagamento totale anticipato dei costi accessori, un pagamento posticipato rispetto alle corrispondenti prestazioni recurring, una volta estinto il rapporto anticipatamente, non sussisterebbe alcun dubbio che l’intermediario non potrebbe pretendere il pagamento di prestazioni non rese, ossia delle prestazioni successive alla estinzione. Se il cliente pagasse, egli avrebbe per definizione diritto alla ripetizione dell’indebito. Del tutto analoga è – deve essere – la situazione in cui viene a trovarsi il consumatore qualora i costi e gli oneri accessori del finanziamento siano interamente sostenuti al momento della conclusione del contratto”.
[36] Cfr. ABF. Collegio di Coordinamento, 11 dicembre 2019, n. 2625:”sarebbero stati comunque ripetibili ex lege secondo regole di diritto comune, e cioè anche prescindendo dalla previsione dell’art.125-sexies TUB. I costi continuativi sono stati infatti concepiti come il corrispettivo di attività future rispetto alla conclusione del contratto e pertanto non possono ritenersi dovuti allorquando, in conseguenza della estinzione anticipata del finanziamento, tali attività non possono avere luogo. Il loro pagamento, per il sopravvenuto difetto funzionale del sinallagma, sarebbe perciò privo di causa, con la conseguenza che ove, come accade nella prassi generalizzata di tali rapporti, siano stati corrisposti dal consumatore in via anticipata, già al momento di conclusione del contratto (di fatto attraverso la erogazione di un capitale netto inferiore all’importo del prestito per un differenziale corrispondente al peso delle commissioni), dovrebbero essere calcolati in riduzione rispetto alla somma dovuta per la estinzione anticipata del finanziamento. Dal che discende che, in difetto di adempimento dell’obbligo di riduzione dei costi, cui fa riferimento l’art.125 sexies TUB, il consumatore avrebbe il diritto di chiederne poi la restituzione secondo la regola dell’indebito oggettivo”.
[37] Cfr. Cass., 11 settembre 2015, n. 17993: “La Corte di giustizia della UE è l’unica autorità giudiziaria deputata all’interpretazione delle norme comunitarie, la quale ha carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarla anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa”. Nello stesso senso v. Cass. 8 febbraio 2016, n.2468; Cass., 3 marzo 2017, n.5381.
[38] CGUE, 27 Marzo 1980, C- 66/79, Salami, par. 11: “Soltanto in via eccezionale la Corte di giustizia, come ha essa stessa riconosciuto nella sentenza 8 aprile 1976 (Causa 43/75, De/renne c/ Sabena, Race, pag. 455), potrebbe essere indotta, in base ad un principio generale di certezza del diritto, inerente all’ordinamento giuridico comunitario, e tenuto conto dei gravi sconvolgimenti che la sua sentenza potrebbe provocare per il passato nei rapporti giuridici stabiliti in buona fede, a limitare la possibilità degli interessati di far valere la disposizione così interpretata per rimettere in questione tali rapporti giuridici. Una limitazione del genere può tuttavia essere ammessa soltanto nella sentenza stessa relativa all’interpretazione richiesta. L’esigenza fondamentale dell’applicazione uniforme e generale del diritto comunitario implica la competenza esclusiva della Corte di giustizia a decidere sui limiti temporali da apporre all’interpretazione da essa data. Infine, tenuto conto delle precisazioni richieste dal giudice nazionale, è d’uopo osservare che la norma di diritto comunitario interpretata nel modo indicato ha, fin dalla sua entrata in vigore, effetti conformi all’interpretazione data”; nello stesso senso v. anche CGUE, 2 febbraio 1988, Barra, C-309/85: “questa limitazione è però ammessa, secondo la costante giurisprudenza della Corte, solo nella stessa sentenza che statuisce sull’interpretazione richiesta. L’esigenza fondamentale dell’applicazione uniforme e generale del diritto comunitario implica che solo la Corte può decidere sulle limitazioni nel tempo da apportare all’interpretazione che essa fornisce”. Tra le molte decisioni conformi cfr. CGUE, 8 ottobre 1987, Kolpinghuis, C-80/86; CGUE, 17 Maggio 1990, C-262/88, Barber, par. 41; CGUE, 14 Dicembre 1993, C-110/91, Moroni, par. 32; CGUE, 15 Dicembre 1995, C-415/95, Bosman, par. 142.
[39] Cfr. Dolmetta, op. cit., 647; Tina, op. cit. 163.
[40] Cfr. Collegio di Coordinamento dell’ABF 11 dicembre 2019, n. 2625: “com’è noto, le sentenze interpretative della CGUE sono efficaci ultra partes anche rispetto a situazioni sorte anteriormente, con esclusione di quelle coperte dal giudicato o esaurite, a meno che sia la stessa Corte a limitare in via eccezionale la efficacia retroattiva della propria pronuncia in eventuale contemplazione di possibili ripercussioni dirompenti su un sistema di rapporti giuridici formatisi in buona fede, facoltà di cui nella specie non ha però ritenuto di avvalersi”.
[41] In questo senso cfr. Dolmetta, op. cit., 651 il quale rileva che “le clausole che prevedono regimi di computo difformi da quello rigidamente proporzionale sono dunque da ritenere nulle (e non apposte)”. Nello stesso senso parrebbe orientato anche Tina, op. cit., 174 il quale rileva che “sembra potersi concludere che il principio di diritto espresso nella sentenza presupponga il ricorso alla prima linea interpretativa sopra evidenziata, in base alla quale l’art. 16, par. 1, dir. 2018/48/CE si riferisce ad una «modalità di calcolo della riduzione, che «consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione alla durata residua del contratto”. L’Autore però, nonostante tale premessa, ammette criteri non rigidamente proporzionali o relativamente proporzionali.
[42] Cfr. Dolmetta, op. cit., 649. Nello stesso senso v. anche Tina, op. cit.,169 il quale però, dopo aver affermato il superamento tra costi up-front e recurring “su un profilo propriamente ontologico”, ammette, non senza qualche forzatura e contraddizione, criteri di calcolo della riduzione non rigidamente proporzionali e differenziati tra le due categorie di costi.
[43] In questo senso cfr. le conclusioni dell’Avvocato Generale, par. 59 ove si osserva che la previsione di due criteri distinti di calcolo, uno per gli interessi ed uno per gli altri costi, si porrebbe in contrasto con la stessa formulazione dell’art. 16, paragrafo 1.
[44] Collegio di Coordinamento ABF 11 novembre 2016, n. 10003/2016: “il criterio pro rata temporis non è solo il più «logico», ma trova sempre necessaria applicazione indipendentemente dalla sua integrazione con norme secondarie; solo il principio di stretta proporzionalità che vi è normalmente sotteso può essere contrattualmente derogato, nel caso in cui sia anticipatamente concordata e stabilita la quota (differenziata nel tempo) di commissioni recurring in maturazione riferibili ad ogni rata, dovendo sempre applicarsi la regola che tutte le commissioni continuative, pagate in anticipo al momento di conclusione del contratto, devono poi essere rimborsate al consumatore per le quote imputabili alla rate non maturate (competenza economica)”.
[45] Cfr. Collegio di Coordinamento ABF, 22 settembre 2014, n. 6167: “la logica strumentale al calcolo della quota di interessi sul capitale residuo non si giustifica in riferimento ai costi recurring. Tali costi in realtà remunerano, e quindi sono corrispettivi allo svolgimento di attività amministrative del rapporto, sicché il loro costo, al netto di fattori esogeni, è costante in pendenza di rapporto, perché il tempo e le energie dedicate al loro svolgimento è indipendente dall’ammontare delle somme amministrate ed è piuttosto correlato alle complicazioni della normativa che si deve applicare, sicché anche diminuendo l’ammontare complessivo del prestito amministrato i costi recurring non variano e non ha alcun senso imputare diversamente nel tempo il loro ammontare Da ciò deriva il convincimento che in riferimento a detti costi il criterio pro rata temporis è il più logico e, con ciò stesso, il più conforme al diritto ed all’equità sostanziale”.
[46] Cfr. Delibera 145/2018 di Banca d’Italia, Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione: Orientamenti di Vigilanza.
[47] Come emerge dalle relazioni dell’ABF nel corso del 2017 sono stati presentati oltre 22.000 ricorsi, pari al 73% del contenzioso complessivo, mentre nel 2018 sono stati presentati in materia di cessione del quinto oltre 17.000 ricorsi, pari al 64% del contenzioso ABF.