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Operatività in derivati ristretta per gli enti locali, dopo la Legge di Stabilità 2014. Restano salvi i mutui strutturati ed alcune ipotesi particolari

8 Gennaio 2014

Avv. Domenico Gaudiello, partner DLA Piper, responsabile del dipartimento di Finanza Pubblica

Di cosa si parla in questo articolo

La Legge di Stabilità 2014 prosegue nel solco già tracciato dalla disciplina precedente (art. 62 della legge 133 del 2008), colmando dopo oltre cinque anni una ampia lacuna normativa e confermando definitivamente un regime restrittivo per la futura operatività in derivati degli enti locali.

Si tratta di un nucleo di divieti e limitazioni largamente annunciato benché, come vedremo di seguito, l’operatività degli enti locali non risulti del tutto azzerata.

Di sicuro, per effetto del susseguirsi delle norme, il D.M. 389/2003 (la dettagliata normativa di settore riguardo alle tipologie di derivati ammessi) viene del tutto rimosso dall’ordinamento cosicché l’unico riferimento normativo è oggi costituito dall’art. 62 della legge 133 del 2008, come appunto modificato dall’art. 1, comma 572, della Legge di Stabilità 2014 (ossia la legge 147 del 24 dicembre 2013).

Vediamo in dettaglio cosa è ancora consentito agli enti locali in relazione ai contratti derivati dal comma in questione.

In base all’ordinamento vigente (come risultante dalle Legge di Stabilità 2014), gli enti locali possono sicuramente stipulare mutui (rectius contratti di finanziamento) acquistando anche opzioni cap. Si tratta della protezione che l’ente può acquistare per contenere entro una soglia massima l’oscillazione del tasso variabile, con ciò programmando il costo massimo del finanziamento stipulato. Questa previsione lascia dunque aperto un canale operativo in tema di derivati: l’opzione cap (che resta un contratto derivato finanziario ai sensi del D.Lgs. 58/98) può essere ancora acquistata dagli enti locali, ma deve formare parte del contratto di mutuo. Dunque, controparte della opzione cap è la stessa banca erogatrice del finanziamento.

Resta altresì salva per l’ente la estinzione anticipata dei contratti derivati, purché sia totale (ossia dell’intero contratto). La previsione non contiene particolari motivi di perplessità.

Altrettanto salva è la possibilità per gli enti locali di rinegoziare i derivati in presenza di una modifica delle passività sottostanti. Su questo la previsione lascia qualche dubbio: in che modo è possibile modificare i contratti derivati, in assenza di una disciplina di dettaglio di riferimento? Quesito di rilevanza pratica notevole: una volta rimosso dall’ordinamento il D.M. 389/2003, resta del tutto vago il regime in base la quale sia possibile riformulare le condizioni di un contratto derivato. Non è per nulla appagante prevedere (come pure fa l’art. 1 comma 572) che la rinegoziazione non deve contenere opzioni digitali e deve solo prevedere il passaggio da fisso a variabile o viceversa, ferma restando la corrispondenza del derivato rinegoziato con la passività sottostante. Domanda: se l’ente intende rinegoziare un sinking fund relativo ad una sottostante passività (rinegoziata), che limiti dovrà seguire quanto al paniere dei titoli oggetto del sinking fund (una volta che il D.M. 389/2003 non è più in vigore)?

È infine previsto che gli enti locali possono comunque riassegnare i contratti derivati esistenti “senza che vengano modificati i termini e le condizioni dei contratti riassegnati”.

Previsione speciosa, questa. L’unico modo per leggerla in chiave pratica è interpretarla nel senso di consentire all’ente di accettare che una controparte bancaria subentri a quella originaria dell’ente locale. C’era bisogno di prevedere una simile fattispecie? La cessione dei contratti stipulati con la PA è sempre ipotesi residuale, indipendentemente dalla procedura seguita per la originaria aggiudicazione. La banca cessionaria deve avere caratteristiche omogenee a quelle della controparte cedente, diversamente non sarebbe giustificabile l’accettazione che l’ente locale darebbe alla cessione stessa. La previsione in questione vuole quindi rimuovere un ostacolo prima esistente ai fini dell’operatività delle cessioni dei contratti derivati? Verrebbe da dire di no. Piuttosto la norma ha il sapore di un monito (inutile): se i contratti vengono ceduti, le condizioni dei contratti devono restare le stesse originariamente vigenti con la controparte cedente. Monito privo di utilità se si pensa che la normativa in esame già ha precisato che le rinegoziazioni dei contratti derivati possono avvenire solo in presenza di una modifica delle passività.

Molto puntuali sono altre due facoltà che il legislatore introduce. L’ente locale può sempre procedere alla cancellazione di singole clausole del contratto derivato, qualora queste si riferiscano a facoltà di risoluzione anticipata spettanti alla controparte bancaria o a componenti opzionali diverse dalla opzione cap. L’ente può dunque sciogliersi dagli obblighi derivanti in capo ad esso da dette facoltà (spettanti invece alle controparti bancarie), purché regoli per cassa entro l’esercizio il costo di detta estinzione. Anche questa previsione soffre di eccessiva speciosità pur venendo incontro a concrete esigenze emerse sul mercato. Molti enti locali hanno interesse a rimuovere quelle clausole di risoluzione anticipata (o quelle opzioni cd. digitali) previste in capo alle banche controparti delle operazioni in derivati. Assai più raro è il caso che sia l’ente a disporre ab origine della facoltà di risoluzione anticipata, così da avvalersi della previsione che gli consente di accettare un pagamento per rinunciare definitivamente ad avvalersene.

La previsione resta tuttavia speciosa perché configura esplicitamente lo scenario secondo cui un diritto di risoluzione (rectius recesso) anticipata, (e.g. il diritto potestativo terminare il contratto allo scattare di una certa data) possa essere oggetto di rinuncia da parte del titolare originario (normalmente la banca) in cambio di un prezzo pagato dalla controparte (normalmente l’ente). Il tutto, senza chiarire minimamente che nesso possa esserci tra queste facoltà di recesso e la finalità generale (ed imperativa) di copertura che l’ente locale doveva perseguire quando ha stipulato il contratto contenente la clausola in questione.

In uno sguardo d’assieme, l’operatività futura in derivati ammessa dalla Legge di Stabilità 2014 è assai ridotta. Resta però un ampio novero di modalità per intervenire sul portafoglio in derivati esistente. E forse questa è la parte più importante della disciplina esaminata, perché chiarisce una volta per tutte (pur residuando qualche alone di dubbio) come gli enti locali possono intervenire correttamente sui contratti derivati in essere, con quali strumenti negoziali e con quali responsabilità in capo ai dirigenti competenti. Al riguardo, si pensi alla ribadita previsione dell’obbligo in capo al dirigente locale competente di dare piena evidenza della avvenuta comprensione dei rischi e delle caratteristiche delle previste operazioni di cancellazione, rinegoziazione o riassegnazione.

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