La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, ha stabilito che, sulla base dei principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità degli obblighi imposti al contribuente, merita di essere riconosciuto il diritto alla detrazione del citato tributo addebitato in rivalsa – sia pur per un’operazione non effettivamente posta in essere – qualora il cedente/prestatore abbia provveduto a versare l’imposta esposta nella relativa fattura in esecuzione di una transazione fiscale conclusa nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, atteso che, in tale circostanza, può considerarsi eliminato definitivamente il rischio di perdita di gettito fiscale.
Richiamando sinteticamente i fatti di causa, la società contribuente veniva raggiunta da un avviso di accertamento avente ad oggetto la ripresa a tassazione dell’IVA relativa ad una operazione di acquisto immobiliare, imposta addebitata in rivalsa e – secondo la contestazione dell’Ufficio – indebitamente detratta.
Con l’atto impositivo l’Ufficio contestava l’abusività della condotta posta in essere dalla società contribuente sull’assunto che, da un lato, (i) appartenendo le parti della cessione immobiliare alla medesima organizzazione imprenditoriale, tale operazione dovesse ritenersi esclusivamente finalizzata a creare un vantaggio fiscale all’acquirente e, dall’altro (ii) che la cedente, avente sede in Lussemburgo, non avesse provveduto al versamento dell’IVA applicata.
Impugnato tale avviso di accertamento presso la competente Commissione Tributaria Provinciale (“CTP”), la società contribuente ne otteneva l’annullamento, inducendo così l’Ufficio a proporre appello presso la competente Commissione Tributaria Regionale (“CTR”), la quale, tuttavia, confermava la decisione del giudice di prime cure; a giudizio del collegio, infatti, avendo il cedente provveduto all’integrale versamento dell’IVA in sede di transazione fiscale, non si era verificato alcun danno all’erario che giustificasse il disconoscimento della corrispettiva detrazione in capo al cessionario.
A seguito di tale giudizio di appello in cui risultava soccombente, l’Ufficio proponeva, quindi, ricorso alla Suprema Corte, lamentando, ai fini che qui interessano, la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 e dell’art. 54 del d.P.R 26 ottobre 1972 n. 633, della Direttiva n. 77/388/CEE (c.d. “VI° Direttiva”) pro tempore vigente e dei principi generali in tema di abuso del diritto, atteso che – secondo le motivazioni del ricorrente – (i) la sentenza impugnata riconosceva il diritto alla detrazione dell’IVA omettendo, tuttavia, di prendere in considerazione la sussistenza degli elementi sintomatici della natura abusiva dell’operazione e che, inoltre, (ii) il versamento del tributo da parte del cedente era avvenuto solamente in epoca successiva rispetto alla notifica dell’atto impugnato e, peraltro, “in via non spontanea”.
In premessa i giudici ermellini, in ossequio ai principi dettati dalla citata VI° Direttiva, hanno sottolineato come il diritto alla detrazione dell’IVA sia strettamente connesso alla effettiva realizzazione della cessione di beni o della prestazione di servizi, rilevando come – in mancanza di tale requisito dell’effettività – un siffatto diritto non possa sorgere, non essendo, a tal fine, di per sé sufficiente la mera indicazione nella relativa fattura (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea 27 giugno 2018, C-364/17, Varna Holideis).
Con riferimento, invece, alla posizione del cedente/prestatore, nell’ordinanza in oggetto viene richiamato l’art. 21, comma 7 DPR 633/1972, il quale stabilisce che “Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti (…) l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.
A parere dei supremi giudici, infatti, tale disposizione appare in linea con il principio di neutralità dell’IVA, in quanto l’art. 21, n. 1, lett. c), della citata VI° Direttiva, con l’intento di eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che potrebbe derivare dall’eventuale esercizio del diritto a detrazione previsto all’art. 17 della medesima VI° Direttiva, prevede che l’IVA esposta in fattura sia dovuta indipendentemente da qualsiasi obbligo di versamento ad essa connesso in ragione di un’operazione soggetta ad IVA (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea 31 gennaio 2013, C-642/11, Stroy Trans; nonché 18 giugno 2009, C‑566/07, Stadeco).
Tale obbligo, tuttavia – continuano i giudici della Suprema Corte – non deve eccedere quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato dalla citata disposizione unionale e, nello specifico, non deve arrecare un pregiudizio eccessivo al principio di neutralità dell’IVA (cfr., altresì, Corte di Giustizia dell’Unione Europea 8 maggio 2019, C-127/18, EN.SA).
E pertanto, ad esempio, nel caso in cui sia erroneamente emessa fattura per operazioni non imponibili, il cedente/prestatore ha diritto al rimborso dell’Imposta sul Valore Aggiunto (“IVA”) versata nel caso in cui (a) questo provveda ad emettere la nota di variazione dell’imponibile di cui all’art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (“DPR 633/1972”), ovvero (b) qualora sia accertato il “definitivo venir meno del rischio di perdita di gettito erariale derivante dall’utilizzo o dalla possibilità di utilizzo della fattura da parte del destinatario della fattura ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta dovuta o assolta in via di rivalsa”. (cfr. Cass. 30 settembre 2020, n. 20843; nonché 12 marzo 2020, n. 7080).
Con riferimento a tale ultimo punto, inoltre, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA addebitata di rivalsa a monte – sia pur per un’operazione non effettivamente posta in essere – deve riconoscersi, in applicazione dei principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità degli obblighi imposti ai contribuenti, laddove il cedente abbia provveduto – come nel caso in esame – a versare integralmente l’imposta esposta nella relativa fattura in esecuzione di una transazione fiscale conclusa nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, in quanto, in tal caso, “risulta eliminato definitivamente il rischio di perdita di gettito fiscale”.
Posto tutto quanto sopra e, in particolare, considerando priva di rilevanza la circostanza, evidenziata dell’Ufficio, secondo cui il versamento dell’IVA sarebbe avvenuto successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento, dovendosi comunque riconoscere l’idoneità di tale versamento a soddisfare la finalità di evitare il rischio di una perdita per l’Erario, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.