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Attualità

Operazioni con parti correlate: criteri di applicazione

22 Aprile 2024

Emilia Pucci, Responsabile Affari Societari e Corporate Governance e Segretario del CdA, Terna S.p.A.

Rocco Santarelli, Partner, Studio Legale Carbonetti e Associati

Di cosa si parla in questo articolo
OPC

Il presente contributo analizza i criteri di applicazione della disciplina delle operazioni con parti correlate (OPC) alla luce dell’orientamento espresso dalla Cassazione con sentenza n. 8440 del 28 marzo 2024.


[*] Il presente contributo ha ad oggetto il commento alla sentenza della Suprema Corte n. 8440 del 28 marzo 2024 in materia di operazioni con parti correlate (“OPC”). Tale disciplina, regolata dal Regolamento Consob 17221/2010 e successive modificazioni (il “Regolamento Consob”) in attuazione dell’art. 2391-bis c.c., si applica alle società con azioni quotate su mercati regolamentati e ha lo scopo di assicurare la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni poste in essere con soggetti (persone fisiche, giuridiche o enti in generale) “vicini” al centro decisionale dell’emittente e portatori di interessi extra-sociali.

1. Sintesi della sentenza

Con la decisione in esame la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Perugia che aveva annullato due provvedimenti sanzionatori emanati dalla Consob relativi alla mancata applicazione da parte di un emittente quotato (Te. Spa) della disciplina per le operazioni con parti correlate[1]. In particolare, l’operazione riguardava il disinvestimento della partecipazione detenuta dall’emittente nel Gruppo Fr. En., venuta a detenere per effetto del conferimento a Te. del 100% delle azioni Fr. En. e conseguente ingresso dei soci di questa nel capitale (con una percentuale del 15% circa). L’operazione di disinvestimento si qualificava come operazione con parte correlata (di maggiore rilevanza) in quanto Um. Pa., ex socio e Presidente di Fr. En., aveva assunto la carica di consigliere e Vice Presidente esecutivo di Te.

La Corte d’Appello di Perugia aveva ritenuto non verificata “almeno formalmente” una violazione della disciplina delle operazioni con parti correlate poiché, al momento dell’approvazione dell’operazione di disinvestimento (in data 7 agosto 2015) Um. Pa. non era più parte correlata di Te. essendosi dimesso con effetti immediati poco prima della delibera. La Corte rigettava altresì l’argomento della Consob circa l’applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma poiché, secondo i giudici, non era dimostrato che Um.Pa. avesse potuto comunque influenzare la decisione del Consiglio di Amministrazione di Te. assunta dopo che egli si era dimesso. In aggiunta, sempre sulla base della ricostruzione del giudice di legittimità, la Corte d’Appello aveva considerato quella del 7 agosto come una “delibera di massima” mentre la delibera vera e propria sarebbe stata assunta il successivo 2 ottobre.

La Suprema Corte ha ritenuto di accogliere i motivi di ricorso della Consob che, in estrema sintesi, riguardavano (i) il momento della verifica circa l’esistenza di una correlazione rilevante che avrebbe dovuto compiersi ben prima della delibera del 7 agosto e cioè a partire dalla fase istruttoria dell’operazione; (ii) la statuizione per cui la definitiva approvazione dell’operazione sarebbe avvenuta il 2 ottobre, quindi a distanza di svariate settimane dalle dimissioni dell’esponente.

2. Gli effetti delle dimissioni rassegnate nel corso della fase istruttoria

La questione di maggiore interesse affrontata dalla Suprema Corte nel caso in esame attiene alla (ir)rilevanza delle dimissioni rassegnate dall’esponente nel corso della fase istruttoria (e, più precisamente, immediatamente prima dell’approvazione) di una operazione con parte correlata ai fini della possibile disapplicazione della relativa disciplina. Il principale argomento su cui si basa la statuizione della Corte riguarda il fatto che la disciplina delle operazioni con parti correlate si dispiega attraverso un iter progressivo e articolato, con qualche margine di differenza a seconda della maggiore o minore rilevanza della transazione[2], che culmina con l’approvazione dell’operazione da parte dell’organo competente (che nelle operazioni di maggiore rilevanza è il Consiglio di Amministrazione) ma non può ridursi ad essa. In altri termini, il processo consta di una serie di presidi e oneri procedurali e pubblicitari che si svolgono a partire dalla fase istruttoria dell’operazione rispetto ai quali le dimissioni non possono considerarsi una condizione risolutiva.

Se ne deduce il principio in base al quale, una volta verificata l’esistenza di una correlazione tra l’emittente e la controparte e presa avvio l’operazione, il sopravvenuto venir meno dell’elemento di collegamento tra i due soggetti non incide sull’applicabilità di detta disciplina. In questa prospettiva, seguendo il ragionamento della Corte, la valutazione tipicamente effettuata dalle strutture interne dell’emittente, in sede di avvio delle trattative, sulla correlazione della controparte assume una sorta di valenza costitutiva dell’inquadramento dell’operazione sui binari della procedura sino alla conclusione delle attività. In effetti, guardando alla ratio della disciplina, la possibile influenza della parte correlata sull’iter istruttorio e decisionale dell’emittente potrebbe già esercitarsi e concretizzarsi in fase di avvio dell’operazione (per il solo fatto ad es. che l’emittente consideri di esaminare e istruire la medesima operazione), il che, se da un lato giustifica l’applicazione della disciplina delle operazioni con parti correlate, dall’altro lato rende indifferente a tal fine la permanenza del rapporto di collegamento.

La questione ha un impatto pratico significativo sull’operatività degli emittenti. L’anagrafe delle parti correlate che ogni emittente istituisce e alimenta ai fini del rispetto delle procedure interne è fisiologicamente destinata a mutare nel tempo per effetto dei vari accadimenti interni ed esterni alla società. Si pensi alla nomina o dimissioni di nuovi esponenti ovvero a mutamenti negli assetti proprietari. Ebbene, la possibilità che tali accadimenti si verifichino nel momento in cui l’emittente sta valutando una certa operazione con i soggetti in questione non è remota. La questione si pone evidentemente non tanto per gli accadimenti “positivi” che determinano cioè la sussistenza di un rapporto di correlazione e conducono a qualificare una certa operazione con parti correlate (in tal caso l’emittente non potrà fare altro che applicare la disciplina a seconda del valore dell’operazione); quanto soprattutto per gli accadimenti “negativi” che, come quello nella fattispecie in esame, comportano l’uscita dal perimetro delle parti correlate e quindi potrebbero astrattamente condurre ad una valutazione di segno opposto sulla natura dell’operazione. In questo scenario, le dimissioni degli esponenti (o comunque eventi interruttivi della correlazione) potrebbero rilevare solo se “sganciate” temporalmente dall’operazione, nel senso che sussista uno iato temporale tra l’evento e l’inizio dell’operazione medesima. A tale requisito potrebbe aggiungersene un secondo: che le dimissioni siano “sganciate” dall’operazione anche sotto il profilo motivazionale, nel senso che le dimissioni dovrebbero essere genuine e non dettate ad es. dalla volontà di evitare l’applicazione della disciplina delle parti correlate ad una prossima operazione. Tuttavia, tale requisito motivazionale si basa su un’ipotesi più nominale che reale non essendo possibile immaginare un esponente che motivi le proprie dimissioni adducendo una siffatta ragione. In conclusione, sul punto, in presenza di questi due elementi l’operazione potrà ragionevolmente essere effettuata senza l’applicazione degli oneri e dei presidi previsti dalla procedura interna in materia di parti correlate.

3. Il regime procedurale nella disciplina delle operazioni con parti correlate e l’applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma

La pronuncia della Suprema Corte e l’analisi del caso offrono altresì lo spunto per ripercorrere i punti di snodo della disciplina in materia di operazioni con parti correlate nell’ottica di mettere a fuoco alcuni elementi di riflessione. Il Regolamento Consob – come anticipato, attuativo della delega contenuta nell’art. 2391-bis c.c. a presidio delle operazioni in potenziale conflitto di interesse – risponde alla necessità di bilanciare rischi e vantaggi connessi alla realizzazione di siffatte operazioni. L’intera disciplina si fonda sulla necessità, da un lato, di salvaguardare gli emittenti dai possibili effetti pregiudizievoli di operazioni con soggetti correlati – che, in quanto potenzialmente condizionate dalla sussistenza di un rapporto di correlazione, potrebbero non risultare in linea con l’interesse della società e degli azionisti – e, dall’altro lato, di tutelare la libertà d’impresa dinanzi a operazioni vantaggiose, ancorché con parti correlate[3]. Nel perseguire tali finalità la disciplina regolamentare ha definito un regime procedurale e di trasparenza che si fonda su precisi presìdi di governance e affida un ruolo centrale a un comitato di amministratori indipendenti. Nel fare ciò, il Regolamento Consob, anche recuperando spunti che avevano sede nelle raccomandazioni di corporate governance, introduce una serie di passaggi endo-consiliari volti a una procedimentalizzazione dell’agire amministrativo, nel presupposto che quanto più è tracciato l’iter da seguire per approvare l’operazione, tanto minore può risultare il rischio di abuso. Tali passaggi possono così scandirsi:(i) individuazione del vincolo di correlazione e della relativa parte correlata alla società; (ii) esame di eventuali cause di esclusione; (iii) coinvolgimento del predetto comitato in base al relativo regime applicabile, anche in funzione della natura e della dimensione dell’operazione.

Posta questa premessa, l’analisi del caso pone una riflessione sull’effettivo allestimento dei presìdi di governance sin dalle fasi inziali dell’operazione e sul grado di efficacia degli stessi, avendo esposto la società al regime sanzionatorio inflitto dall’Autorità di Vigilanza e confermato dalla Suprema Corte.

Il punto di partenza nella corretta applicazione della disciplina de qua risiede nella tempestiva emersione del rapporto di correlazione e, quindi, nella esistenza di elementi di collegamento tra l’emittente e la controparte che potrebbero inficiare la neutralità dell’operazione. Non a caso, una delle censure di rilievo della Sentenza attiene all’“omesso esame circa un fatto decisivo” che, nel caso di specie attiene al fatto che il consiglio di amministrazione della società, in una fase deliberativa che la Corte d’Appello aveva rubricato “di massima”, rinvia la natura dell’operazione tra quelle inquadrabili con soggetti correlati in una fase successiva.

Il commento alla Sentenza in oggetto deve necessariamente prendere le mosse da questo elemento. L’assetto procedurale funziona se dotato di meccanismi idonei a intercettare la sussistenza del rapporto. Nell’intento di supportare il comitato di amministratori indipendenti, molte procedure affidano a comitati manageriali interni una preliminare analisi di tale profilo, attingendo gli elementi a fondamento della relativa verifica dall’anagrafe delle parti correlate la cui istituzione – come sopra ricordato – è richiesta dalle stesse procedure interne. Questa identificazione deve avvenire ben prima del momento decisionale costituendo, invero, l’elemento costitutivo dell’avvio procedimentale che è alla base della correttezza della decisione medesima. Tale identificazione ha l’effetto di garantire il corretto inquadramento della disciplina e, conseguentemente, l’attivazione del necessario iter procedimentale secondo le regole proprie adottate dalla società nella relativa procedura. Una volta verificata l’esistenza del vincolo di correlazione, a poco rilevano le eventuali vicende modificative che hanno interessato il vicepresidente esecutivo.

Sotto questo profilo, la Suprema Corte, recuperando uno dei principi che permea i principi contabili internazionali, evidenzia come l’attenzione debba essere rivolta alla “sostanza” del rapporto e non solo alla sua “forma” giuridica e, correttamente, richiama il relativo riferimento, contenuto nell’allegato 1, punto 3.1 del Regolamento Consob. Nel solco dell’orientamento giurisprudenziale già tracciato in precedenti pronunce, la Corte ribadisce un principio in forza del quale la prevalenza della sostanza dei rapporti giuridici rispetto alla loro forma debba essere inteso nell’ottica della tutela del mercato e degli investitori.

Tale elemento consente di accedere al successivo elemento valutativo della Suprema Corte, nella parte in cui critica la sentenza della Corte d’Appello per il fatto di aver escluso che un vicepresidente esecutivo potesse essere in grado di orientare le scelte del Consiglio di Amministrazione nella misura in cui non prenda parte alla decisione dell’organo collegiale. A fondamento del suo convincimento, correttamente, la Suprema Corte valorizza il contributo che un soggetto apicale può fornire non tanto nella fase conclusiva – che peraltro si realizza a livello collegiale – quanto in quella istruttoria. È infatti nella fase preparatoria che la leva decisionale può imprimere un maggior condizionamento ed è su questo passaggio che si condensa, con maggior evidenza, la debolezza della corretta attuazione dell’impianto procedurale messo in atto dalla società.

La Corte d’Appello (erroneamente) fonda l’argomentazione sul fatto che la definitiva approvazione dell’operazione sia avvenuta nella riunione consiliare del 2 ottobre 2025, a distanza di mesi dalla seduta del 7 agosto 2025 nel corso del quale il vicepresidente e parte correlata dell’operazione si era dimesso. Ancorché la ricostruzione della vicenda in fatto non sia perfettamente nitida, la sentenza consente di riportare l’attenzione su uno dei temi nodali che ispira l’intera disciplina ovvero quello della corretta scansione procedimentale che – se correttamente impostata – dovrebbe agevolare l’acquisizione del preventivo parere del comitato di amministratori indipendenti e, nel preliminare iter, neutralizzare il potenziale conflitto d’interessi. La piena attuazione di tale finalità si realizza con un tempestivo ingaggio degli amministratori indipendenti che compongono il comitato chiamato al rilascio del relativo parere. Quanto più si anticipa, in una logica di trasparenza, il coinvolgimento degli amministratori indipendenti, tanto più si affievoliscono gli effetti di eventuali condotte espropriative e non nell’interesse della società da parte di soggetti legati da vincoli di correlazione. Si ricorda, sul punto, che nella recente revisione del Regolamento Consob[4], il regolatore ha posto particolare enfasi al “tempestivo” coinvolgimento degli amministratori indipendenti nella fase delle trattive e in quella dell’istruttoria, attraverso la ricezione di un flusso informativo completo e aggiornato[5].

Sotto differente profilo, la Suprema Corte punta l’attenzione sui doveri di vigilanza del Collegio Sindacale, evidenziando come tale organo non possa limitarsi a una verifica estrinseca del rispetto delle procedure legali, avendo l’obbligo di relazione all’assemblea circa le criticità emerse per difetto di “correttezza sostanziale” di dette operazioni. In una precedente sentenza, era stata riscontrata una responsabilità dei sindaci, anche a fronte di insufficienti informazioni da parte degli amministratori, potendo gli stessi avvalersi della vasta gamma di strumenti informativi ed istruttori prevista dall’art. 149 del Testo Unico della Finanza[6]. Anche in relazione a tale aspetto, emerge la volontà di consolidare un orientamento giurisprudenziale teso a garantire, attraverso una sia pur graduata responsabilità dei differenti soggetti coinvolti, la tutela del mercato e degli investitori.

La garanzia di tali istanze così come il diritto della società a poter compiere operazioni nel proprio interesse, sia pur nei confronti di soggetti correlati, possono essere soddisfatte solo attraverso l’applicazione di un regime di trasparenza e di correttezza sostanziale. Ne consegue che solo attraverso un bilanciamento dei ruoli nei passaggi endo-consiliari è possibile tracciare l’accuratezza dei presidi identificati dall’emittente attraverso la relativa allocazione all’interno delle procedure.

 

[*] Le opinioni espresse da Emilia Pucci nel presente contributo sono personali e non riferibili all’ente di appartenenza.

[1] Un provvedimento sanzionatorio aveva come destinatario la società quotata per violazione degli obblighi di informativa al pubblico ai sensi dell’art. 114, comma 5, d. lgs. 58/98; l’altro provvedimento sanzionatorio aveva invece come destinatari i sindaci della stessa società quotata per violazione del dovere di vigilanza ai sensi dell’art. 149, comma 1, lett. a), d. lgs. 58/98. Si ricorda che all’epoca dei fatti in questione la mancata applicazione dei presidi OPC poteva determinare conseguenze sanzionatorie in capo alla società solo laddove fossero stati omessi gli adempimenti pubblicitari previsti dal Regolamento Consob ed i sindaci per omessa vigilanza. Il d.lgs. n. 49 del 10 maggio 2019, in recepimento della direttiva 2017/828/CE, ha poi introdotto l’art. 192-quinquies, d. lgs. 58/98 che prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa nei confronti delle società quotate ovvero dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione e direzione in caso di violazione della disciplina di riferimento.

[2] La sentenza della Corte di Cassazione richiama infatti il contenuto del Regolamento Consob che, con riferimento alle operazioni di minore rilevanza, dispone che le procedure prevedano almeno: a) che, prima dell’approvazione dell’operazione, un comitato, anche appositamente costituito, composto esclusivamente da amministratori non esecutivi e non correlati, in maggioranza indipendenti, esprima un motivato parere non vincolante sull’interesse della società al compimento dell’operazione nonché sulla convenienza e sulla correttezza sostanziale delle relative condizioni. Tale parere è allegato al verbale della riunione del comitato; b) la facoltà del comitato di farsi assistere, a spese della società, da uno o più esperti indipendenti di propria scelta. Lo stesso comitato verifica preventivamente l’indipendenza degli esperti; c) che all’organo competente a deliberare sull’operazione e al comitato indicato nella lettera a) siano fornite con congruo anticipo informazioni complete e adeguate. In aggiunta, nelle OPC di maggiore rilevanza è previsto che il comitato, composto esclusivamente da amministratori indipendenti non correlati, o uno o più componenti dallo stesso delegati siano coinvolti nella fase delle trattative e nella fase istruttoria attraverso la ricezione di un flusso informativo completo e tempestivo e con la facoltà di richiedere informazioni e di formulare osservazioni agli organi delegati e ai soggetti incaricati della conduzione delle trattative o dell’istruttoria. Per un recente commento, D. REGOLI, Operazioni con parti correlate, in Trattato delle società, (diretto da V. DONATIVI), UTET, p. 1945.

[3] Sia consentito rinviare a E. Pucci, Il parere degli amministratori indipendenti nelle operazioni con parti correlate: profili funzionali, Rivista delle Società, 2014, p. 336.

[4] Cfr. la delibera Consob 21624/2020, pubblicata per consentire il recepimento della Direttiva (UE) 2017/828 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, che modifica la Direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti, in G.U. dell’Unione europea del 20 maggio 2017.

[5] Sia consentito rinviare a E. Pucci – R. Santarelli, Le operazioni con parti correlate, in Il recepimento in Italia della Shareholder Rights II, (a cura di F. Raffaele- E. Ruggiero), CEDAM, 2021, p. 51.

[6] V. Cass. 26 gennaio 2021, n. 1602.

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