Il presente contributo affronta il tema delle operazioni di fusione cross border, soffermandosi sui principali adempimenti da adottare, indagando le ragioni di diritto societario sottese al trasferimento all’estero di diverse società italiane e analizzando i rimedi adottati dal legislatore nazionale per mitigare il fenomeno.
1. Premessa
È ben noto come la corporate governance abbia subito, negli ultimi vent’anni, notevoli mutamenti nei diversi ordinamenti giuridici europei, talvolta incisivi, talvolta non quanto avrebbero dovuto, tutti comunque ispirati dalla necessità di modernizzare i relativi sistemi ed a renderli sempre più in linea con le aspettative e le esigenze degli investitori.
Il principio della concorrenza, considerato di primaria importanza dall’Unione Europea, nonché la creazione di un mercato comunitario sempre più interconnesso, hanno innescato una “race to the top” fra gli Stati membri diretta a strutturare (e dunque offrire, anche ad investitori stranieri) sistemi di corporate governance sempre più appetibili e dai contorni elastici, incidendo, in particolare, sull’autonomia statutaria riconosciuta alle società appartenenti ai diversi ordinamenti.
Tale processo, ha visto l’Italia collocarsi in una posizione spesso subordinata rispetto ad altri ordinamenti (anche comunitari) caratterizzati da una maggiore flessibilità operativa e da una gamma più ampia di “strumenti” di corporate governance a disposizione degli operatori, causando (come evidente nel caso FCA) un processo di “forum shopping giuridico” di diverse società italiane verso gli ordinamenti più flessibili di altri Paesi comunitari (quello dei Paesi Bassi, fra tutti).
Il legislatore nazionale, dunque, al fine di porre rimedio a tale processo di “emigrazione”, ha progressivamente eroso il tradizionale dogma “un’azione, un voto” (che per diverso tempo ha caratterizzato il sistema di corporate governance italiano) mediante l’introduzione/revisione di “strumenti” societari (e.g., azioni a voto plurimo, azioni a voto maggiorato, ecc.) con l’obiettivo di colmare il gap di “attrattività” oggettivamente esistente tra l’ordinamento nazionale e taluni ordinamenti stranieri, seppur, talvolta, tardivamente e solo in recepimento degli impulsi provenienti dalla prassi operativa.
Tale processo di evoluzione legislativa a livello nazionale, è stato affiancato da un parallelo processo, interamente di matrice comunitaria, diretto a favorire (in ossequio ai noti principi generali di cui al TUE e TFUE) l’integrazione tra i mercati dei Paesi membri dell’UE e la libera circolazione dei capitali, incentivando, di conseguenza, operazioni di integrazione tra società operanti in diversi Paesi, con la creazione di un mercato sempre più interconnesso e dai confini geografici meno definiti.
In tale contesto di riferimento si colloca l’emanazione della direttiva 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni in materia di fusione transfrontaliera e strutturata con l’obiettivo di dotare gli Stati membri di una disciplina di fondo dal carattere organico che permetta (e regoli con il maggior grado di uniformità possibile) operazioni di aggregazione tra società appartenenti ad ordinamenti giuridici differenti.
Ciò premesso, sotto il profilo metodologico, il presente articolo si compone di due distinti paragrafi (tra loro connessi): (i) il primo paragrafo compie un’analisi dei principali profili relativi alle operazioni di fusione cross border, enucleando, in sintesi ed in un’ottica pratico-operativa, i principali adempimenti da porre in essere a tal fine (come disciplinati dal D.lgs. n. 108/2008, che recepisce la direttiva 2005/56/CE, nonché dalle applicabili disposizioni di cui al codice civile); mentre (ii) il secondo paragrafo fornisce una breve panoramica di alcune motivazioni di diritto societario sottese al processo di trasferimento all’estero di diverse società italiane e analizza i rimedi adottati dal legislatore nazionale al fine di adeguare il sistema di corporate governance alle novità introdotte in altri ordinamenti, tentando di colmare il gap esistente.
2. Operazioni cross border: la Fusione Transfrontaliera
Il più importante passo verso un sistema giuridico che consenta l’integrazione tra società appartenenti a sistemi giuridici differenti viene mosso dal legislatore italiano, dietro impulso di matrice comunitaria, tramite il recepimento della direttiva 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. “decima direttiva”), recante disposizioni in materia di fusione transfrontaliera.
Tale direttiva è ispirata dalla volontà di sviluppare un’Unione Europea sempre più aperta e interconnessa in cui possano svilupparsi companies maggiormente competitive nei mercati globali e, al contempo, a livello comunitario, rilanciare il principio di concorrenza “intra-UE” fra Stati membri.
In particolare, il legislatore italiano recepisce il contenuto della citata direttiva UE per mezzo dell’emanazione del D.lgs. n. 108/2008, con cui viene definito un quadro normativo di riferimento dal contenuto organico per l’implementazione di operazioni di fusione transfrontaliera (cross border).
In termini generali, la fusione transfrontaliera è definita, dall’art. 1, comma 1, lett. d) del medesimo D.lgs., come “l’operazione di cui all’articolo 2501, primo comma, del codice civile, realizzata tra una o più società italiane ed una o più società di altro Stato membro dalla quale risulti una società italiana o di altro Stato membro, con esclusione dei trasferimenti di parte dell’azienda”.
In aggiunta a tale operazione di fusione c.d. “intracomunitaria”, l’art. 2 del D.lgs. n. 108/2008 ammette la configurabilità (alle condizioni di seguito specificate e ferme restando talune differenze in merito alle specifiche disposizioni applicabili) anche della fusione transfrontaliera c.d. “internazionale” o “extracomunitaria”, ovverosia un’operazioni di fusione cross border che coinvolgano una società regolata dal diritto di uno Stato membro dell’UE e una società regolata dal diritto di uno Stato extra-UE che, ovviamente, ammetta la fusione transfrontaliera.
In particolare, l’art. 2 del D.lgs. n. 108/2008 prevede:
- al comma 2, che le disposizioni di cui al suddetto D.lgs. trovano applicazione anche con riferimento alle operazioni di fusione cross border alle quali partecipino (o risultino) società diverse dalle società di capitali ovvero società di capitali che non abbiano nella Comunità europea né la sede statutaria, né l’amministrazione centrale, né il centro di attività principale, purché l’applicazione della disciplina di recepimento della direttiva 2005/56/CE sia parimenti prevista dalla legge applicabile a ciascuna delle società partecipanti alla fusione; e
- al comma 3, che fuori dai casi previsti dal comma 1 (i.e., operazioni di fusione cross border tra una società di capitali italiana e una di altro Stato membro, la cui sede sociale o amministrazione centrale o centro di attività principale sia stabilito nella Comunità europea) e dal comma 2 (sopra richiamato), si applicano alla fusione transfrontaliera “extracomunitaria” solo talune norme del D.lgs. n. 108/2008 e, in particolare, gli articoli 3, commi 1 e 2, e gli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 18.
Sempre con riferimento alla disciplina applicabile, occorre inoltre chiarire che, ferma restando l’applicazione della suddetta normativa di cui al D.lgs. n. 108/2008, alla società italiana partecipante alla fusione transfrontaliera si applicano, ove compatibili e come espressamente previsto dall’art. 4, comma 1 del citato D.lgs., anche le previsioni di cui al titolo V, capo X, sezione II del libro V del codice civile (i.e., gli artt. 2501 e ss. del codice civile) in tema di fusione c.d. “interna”.
A tal proposito, si noti infatti che:
- il principio generale che governa la procedura di fusione cross border è quello per cui, ove si tratti di svolgere attività o adempimenti di natura individuale, assumono rilievo le previsioni proprie dell’ordinamento a cui tale società appartiene, mentre ove vi siano attività o adempimenti congiunti, il procedimento di fusione transfrontaliera deve conformarsi alla normativa applicabile in ciascun ordinamento di appartenenza delle società partecipanti alla fusione; e che
- l’art. 4, comma 2, del D.lgs. n. 108/2008 prevede che, in caso di conflitto con le norme applicabili alla società di altro Stato membro partecipante alla fusione transfrontaliera, è data prevalenza alla legge applicabile alla società risultante dalla fusione.
Ciò chiarito con riferimento al perimetro di applicazione di tale normativa, occorre, seppur in sintesi, analizzare singolarmente i principali adempimenti che, da un punto di vista pratico ed operativo, devono essere implementati ai fini del perfezionamento di operazioni di fusione cross border che coinvolga una società di diritto italiano (così come ricavabili dall’applicazione congiunta delle disposizioni rilevanti di cui codice civile e al D.lgs. n. 108/2008):
I – Redazione progetto comune di operazioni di fusione cross border: l’art. 6 del D.lgs. n. 108/2008 (applicabile anche alle fusioni transfrontaliere internazionali, in forza del richiamo contenuto all’art. 2, comma 3 del medesimo D.lgs.) individua il primo adempimento necessario e propedeutico all’implementazione di operazioni di fusione cross border, ovverosia la predisposizione di un progetto comune di fusione transfrontaliera.
Tale disposizione precisa che il progetto comune di operazioni di fusione cross border comprende, in primo luogo, le informazioni di cui all’art. 2501-ter, primo comma, del codice civile, nonché le ulteriori informazioni richieste dall’art. 6, comma 1, del D.lgs. n. 108/2008 [1].
In stretta connessione con l’adempimento sopra descritto, dovranno inoltre essere predisposte:
- una situazione patrimoniale della società (italiana) partecipante alla fusione: l’art. 2501-quater del codice civile prevede, infatti, che gli organi amministrativi (delle società italiane partecipanti alla fusione) predispongano, con l’osservanza delle norme sul bilancio di esercizio, le proprie situazioni patrimoniali, riferite ad una data non anteriore di oltre 120 giorni al giorno in cui il progetto comune di fusione è depositato presso la sede della relativa società, ovvero pubblicato sul sito internet di quest’ultima. La medesima disposizione precisa che la situazione patrimoniale può essere sostituita dal bilancio dell’ultimo esercizio, se questo è stato chiuso non oltre 6 mesi prima del giorno di deposito presso la sede della società o di pubblicazione sul sito internet di quest’ultima del progetto comune di fusione; e
- la relazione dell’organo amministrativo della società (italiana) partecipante alla fusione: l’art. 2501-quinquies del codice civile prevede, infatti, che gli organi amministrativi (delle società italiane partecipanti alla fusione) predispongano una relazione che illustri e giustifichi, sotto il profilo giuridico ed economico, il progetto di fusione e, in particolare, il rapporto di cambio delle azioni. Tale relazione dovrà, inoltre, indicare (per espressa previsione dell’art. 8 del D. Lgs. n. 108/2008) le conseguenze della fusione transfrontaliera per i soci, i creditori e i lavoratori e (a norma di quanto previsto dal comma 2 della citata disposizione) la relazione dovrà essere inviata ai rappresentanti dei lavoratori o, in assenza di questi, messa a disposizione dei lavoratori stessi almeno trenta giorni prima della data dell’assemblea convocata per deliberare la fusione. Se ricevuto in tempo utile, alla relazione è allegato il parere espresso dai rappresentanti dei lavoratori.
II – Approvazione della documentazione di cui alla lett. a) che precede: una volta predisposta la documentazione sopra descritta, dovrà riunirsi l’organo amministrativo della società italiana partecipante alla fusione cross border per: (i) approvare il progetto comune di fusione transfrontaliera, la situazione patrimoniale di riferimento e la relazione degli amministratori; (ii) conferire i poteri propedeutici al completamento della fusione e degli adempimenti pubblicitari connessi (e., depositi, pubblicazione dei documenti, ecc.), nonché i poteri per la convocazione dell’assemblea dei soci e per la stipula dell’atto di fusione.
III – Deposito del progetto di fusione presso il Registro delle Imprese ovvero pubblicazione sul sito internet della società e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica di informazioni relative alla fusione e alle società (sia italiana che straniera): ai sensi degli artt. 2501-ter, comma 3, c.c. e 7 del D. Lgs. n. 108/2008, è necessario depositare il progetto di fusione per l’iscrizione nel Registro delle Imprese del luogo ove la società italiana partecipante alla fusione ha la propria sede (ovvero pubblicare il medesimo sul sito internet), nonché (trattandosi di una fusione transfrontaliera e al fine di rendere conoscibili le informazioni relative alla società estera partecipante all’operazione) procedere alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, per ciascuna società partecipante alla fusione transfrontaliera delle informazioni di cui all’art. 7, D. Lgs. n. 108/2008[2]) (in parte contenute anche nel progetto di fusione).
A tale riguardo, è utile ricordare come, ai sensi dell’art. 2501-ter, comma 4, c.c. tra l’iscrizione nel Registro delle Imprese (ovvero, in alternativa, la pubblicazione nel sito Internet del progetto di fusione) e la data fissata per la decisione in ordine alla fusione, devono intercorrere almeno 30 giorni, salvo che i soci rinuncino al termine con consenso unanime. Parimenti, anche la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle suddette informazioni di cui all’art. 7 del D. Lgs. n. 108/2008 deve precedere di almeno 30 giorni la data di decisione in merito alla fusione.
IV – Presentazione dell’istanza al Tribunale per la nomina dell’esperto e nomina dello stesso: ai sensi dell’art. 2501-sexiesc. (e con le forme e le modalità descritte all’art. 9 del D. Lgs. n. 108/2008, che variano a seconda della tipologia di società partecipante alla fusione cross border e dell’eventuale ammissione a quotazione della medesima su mercati regolamentati), è necessario presentare un’istanza, di regola, al Tribunale per la nomina di un esperto ai fini della predisposizione di una relazione sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni o delle quote. Tale relazione può essere redatta anche in forma congiunta per tutte le società partecipanti alla fusione e, in tal caso, dovrà recare i contenuti richiesti sia dalla legge italiana che dalla legge straniera.
V – Deposito / pubblicazione degli atti / documenti relativi alla fusione: l’art. 2501-septiesc., dispone che devono restare depositati in copia presso la sede sociale ovvero pubblicati sul sito internet della società italiana partecipante alla fusione, durante i 30 giorni che precedono la relativa decisione assembleare (salvo che i soci rinuncino al termine con consenso unanime) e finché la fusione non sia stata deliberata: (i) il progetto comune di fusione transfrontaliera; (ii) la relazione dell’organo amministrativo; (iii) la relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio (se del caso, rilasciata in forma congiunta per entrambe le società partecipanti alla fusione); (iv) i bilanci della società italiana partecipante alla fusione relativi agli ultimi 3 esercizi con le relazioni dei soggetti cui compete l’amministrazione e la revisione legale; (v) la situazione patrimoniale di tale società redatta a norma dell’art. 2501-quater c.c. (ove non sostituita dal bilancio dell’ultimo esercizio).
VI – Convocazione e successiva riunione dell’assemblea straordinaria per l’approvazione della fusione cross border (e relativi comunicati stampa informativi, ove si tratti di emittenti titoli quotati).
VII – Iscrizione presso il Registro delle Imprese delle delibere assunte in sede di assemblea straordinaria ed avvio del periodo di 60 giorni per l’eventuale opposizione alla fusione dei creditori a norma dell’art. 2503 c.c.[3] (e successiva istanza al Tribunale in cui hanno sede le società italiane partecipanti alla fusione per l’ottenimento del certificato di mancata opposizione dei creditori alla delibera di fusione ovvero, in alternativa, rilascio di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi degli artt. 47 e 76 del D.P.R. n. 445/2000 da parte del legale rappresentante di queste ultime).
VIII – Rilascio da parte del Notaio del certificato di regolare adempimento delle formalità preliminari alla fusione (c.d. certificato preliminare): l’art. 11 del D.lgs. n. 108/2008 prevede che, a richiesta della società italiana partecipante alla fusione transfrontaliera, il Notaio rilascia senza indugio (di regola, nel periodo compreso tra la deliberazione di fusione e la stipula dell’atto di fusione) il certificato attestante il regolare adempimento (e, dunque, la conformità alla legge) degli atti e delle formalità preliminari alla realizzazione della fusione (c.d. certificato preliminare).
Il certificato preliminare attesta e contiene le informazioni di cui all’art. 11, comma 2 del D.lgs. n. 108/2008[4].
A tale riguardo, si precisa che – sebbene l’art. 2, comma 3, del D.lgs. n. 108/2008 non ricomprenda formalmente tale adempimento tra quelli applicabili anche alle fusioni transfrontaliere c.d. internazionali – autorevole dottrina[5] ritiene opportuno il rilascio di un certificato preliminare anche con riferimento a tali tipologie di operazioni di fusioni cross border.
IX – Rilascio dell’attestazione definitiva (il controllo della legittimità della fusione): ove la società risultante dalla fusione sia una società di diritto italiano, il Notaio, entro 30 giorni dal ricevimento (da parte di ciascuna società partecipante alla fusione transfrontaliera) dei certificati preliminari e della delibera di approvazione del progetto comune di fusione cross border, espleta il controllo di legittimità sull’attuazione della fusione transfrontaliera, rilasciando apposita attestazione (c.d. “attestazione definitiva”). Ove la società risultante dalla fusione cross border sia, invece, una società di altro Stato membro, tale controllo di legittimità è effettuato dall’autorità all’uopo designata da tale Stato.
Per mezzo dell’attestazione definitiva, vengono verificati (ed attestati) i profili di cui all’art. 13, comma 1 del D.lgs. n. 108/2008[6].
Si precisa, infine, analogamente a quanto argomentato con riferimento al c.d. “certificato preliminare” che pur non essendo, tale adempimento, formalmente compreso tra quelli applicabili anche alle fusioni transfrontaliere c.d. internazionali (in quanto l’art. 13 del D.lgs. n. 108/2008 non è espressamente richiamato dall’art. 2, comma 3 del medesimo D.lgs.), autorevole dottrina[7] ritiene opportuno il rilascio di una attestazione definitiva anche con riferimento alle operazioni di fusioni cross border extracomunitarie.
X – Stipula dell’atto di fusione innanzi al Notaio e iscrizione dell’atto presso il Registro delle Imprese in cui la società italiana partecipante alla fusione ha la propria sede legale (eventuale pubblicazione del relativo comunicato stampa per fornire disclosure al mercato, nel caso in cui si tratti di emittenti titoli quotati).
XI – Attività per la decorrenza degli effetti della fusione transfrontaliera: ai sensi dell’art. 2504-bisc., gli effetti giuridici della fusione potranno essere riferiti anche una data successiva all’ultima delle iscrizioni prescritte dall’art. 2504 c.c..
3. Il trasferimento all’estero di diverse società italiane ed i correttivi adottati dal legislatore
Il trend affermatosi negli ultimi anni ha evidenziato asimmetrie dell’ordinamento giuridico italiano rispetto a quelli di altri Stati membri, tali da far progressivamente ridurre l’interesse degli investitori, esteri e nazionali, verso l’Italia.
Diverse società che, in principio, avevano posto la loro sede, legale od operativa, sul territorio nazionale, hanno sovente preferito il trasferimento verso Paesi la cui regolamentazione, sia sotto il profilo fiscale che con riferimento agli “strumenti” di corporate governance utilizzabili, appare essere maggiormente flessibile e favorevole (Paesi Bassi e Lussemburgo, in primis).
Risulta essere notorio, infatti, che i Paesi Bassi rappresentino uno tra i Paesi dell’Unione Europea caratterizzati da una maggiore flessibilità, sia a livello fiscale (si pensi, a titolo esemplificativo, alla possibilità di conoscere – con certezza e in maniera preventiva – il trattamento fiscale che verrà applicato tramite la procedura denominata tax ruling[8]), sia con riferimento al sistema di corporate governance applicabile (si pensi, ad esempio, alla possibilità per le società di diritto olandese, riconosciuta già da diverso tempo, di emettere un’ampia gamma di “special voting shares”, fidelizzando e premiando gli azionisti di lungo termine. Tali azioni speciali costituiscono, peraltro, una vera e propria classe di azioni, a differenza delle azioni a voto maggiorato previste dal diritto italiano infra analizzate[9].
A tale contesto di riferimento, si aggiunga un sistema sociale ed economico, quello olandese, caratterizzato da stabilità e certezza e da una politica di investimenti efficace e funzionale, che rendono tale ordinamento tra i più appetibili a livello comunitario.
L’ordinamento di corporate governance olandese, infatti, pur riconoscendo, in via generale, il principio per cui tutte le azioni hanno uguali obblighi e diritti in proporzione al relativo valore nominale e che ad ogni azione viene riconosciuto un voto, ammette, già da diverso tempo, diverse eccezioni a tali principi generali e che rappresentano uno dei punti di forza di tale ordinamento.
Il riferimento è, in particolare, alla possibilità di emettere loyalty shares, che attribuiscono – in favore dei soci di lungo termine, al fine di fidelizzare i medesimi e stabilizzare nel tempo gli assetti proprietari – diritti di voto / dividendi aggiuntivi, nonché alla possibilità di emettere azioni privilegiate c.d. protettive e c.d. finanziarie che, da un lato, offrono rimedi a protezione delle acquisizioni ostili e, dall’altro lato, vengono utilizzate come fonte di finanziamento[10].
Quanto precede, ha fatto registrare la costante e progressiva trasformazione di diverse società per azioni italiane in Naamloze Vennootschap (N.V.), modello di società di capitali olandese assimilabile alla S.p.A. di diritto italiano; si pensi, a titolo esemplificativo, alla fusione transfrontaliera di Fiat S.p.A. in FCA N.V, all’operazione di trasformazione di Davide Campari-Milano S.p.A. in Davide Campari-Milano N.V., nonché all’operazione di fusione transfrontaliera tra Mediaset Italia S.p.A. e Mediaset España Comunicatión S.A., con la costituzione di MediaforEurope N.V..
Proprio dall’analisi degli statuti sociali adottati da tali società si ha chiara evidenza dell’importanza rivestita dalla struttura di corporate governance olandese (con particolare riguardo alle caratteristiche delle “special voting shares”) nella decisione di trasferimento assunta: a titolo esemplificativo, infatti, lo statuto di Davide Campari-Milano N.V. prevede l’emissione di tre classi di azioni a voto speciale che attribuiscono, rispettivamente 2, 5 e 10 voti per ciascuna azione detenuta ininterrottamente per 2, 5 e 10 anni. Previsioni non dissimili (prevalentemente inspirate dalla scelta di fondo di incentivare / premiare gli azionisti di lungo termine) sono presenti nello statuto di MediaforEurope N.V..
Tali asimmetrie normative e regolamentari del nostro sistema di corporate governance rispetto ad ordinamenti comunitari più flessibili nonché il conseguente crescente interesse delle società italiane verso il trasferimento all’estero, ha spinto, di fatto, il legislatore nazionale all’emanazione del c.d. Decreto Competitività (D.L. n. 91 del 24 giugno 2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 116 dell’11 agosto 2014).
Tale decreto è, infatti, espressione del tentativo del legislatore italiano di frenare, o quantomeno mitigare, il processo di trasferimento all’estero di società italiane e, in ogni caso, arginare il crescente interesse di investitori italiani e internazionali verso ordinamenti stranieri, tramite lo sviluppo di un sistema di corporate governance maggiormente competitivo e appetibile per gli investitori, traendo spunto e, nella sostanza recependo, l’evoluzione delle prassi di corporate governance comunitarie.
Dal punto di vista della relativa finalità, infatti, il Decreto Competitività si pone su una linea di continuità con la riforma societaria del 2003, rafforzando l’autonomia statutaria delle società e, dunque, incidendo direttamente sugli “strumenti” di corporate governance utilizzabili dagli operatori, in particolare, mediante l’introduzione di modifiche (sia a livello di codice civile, che di Testo Unico della Finanza: D.lgs. n. 58/1998) mirate a garantire, quantomeno in astratto, una maggiore flessibilità, in primis con riguardo all’esercizio dei diritti di voto.
Nello specifico, infatti, il Decreto Competitività, inter alia: (i) ha modificato l’art. 2351 c.c. (rubricato “diritto di voto”); e (ii) è intervenuto all’interno del Testo Unico della Finanza, con particolare riferimento agli artt. 127-quinquies e 127-sexies (rubricati, rispettivamente, “maggiorazione del voto” e “azioni a voto plurimo”).
Quanto alle modifiche al codice civile, il comma 4 dell’art. 2351 c.c. (come sostituito dall’art. 20.8-bis del Decreto Competitività) prevede, sempre con l’ambizione di garantire maggiore flessibilità operativa, la possibilità, salvo quanto previsto dalle leggi speciali, che lo statuto (di società non quotate) preveda la creazione di azioni con diritto di voto plurimo anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.
Ciascuna azione a voto plurimo può essere fornita fino ad un massimo di tre voti e nel silenzio del legislatore, la dottrina[11] ritiene possibile anche l’attribuzione di voto plurimo su base frazionata (e.g., 1,5 o 2,5 voti), fermo restando il limite massimo di n. 3 voti per ciascuna azione e purché (ai sensi dell’art. 2351, comma 2, ultima parte, c.c.), il valore delle azioni a voto limitato, voto condizionato o prive del diritto di voto non ecceda la metà del capitale sociale.
Peraltro, come si dirà infra in relazione alle azioni a voto maggiorato, si tratta di un ambito in cui l’autonomia statutaria è fornita di ampi margini di manovra, essendo infatti possibile anche limitare l’esercizio del voto plurimo a determinati argomenti, oppure subordinarlo al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.
Tanto con riguardo alle società non quotate, quanto con riferimento alle società con azioni quotate su mercati regolamentati, invece, il legislatore nazionale continua a mantenere un atteggiamento di maggiore prudenza (quantomeno rispetto a ciò che avviene in altri ordinamenti comunitari), ispirato dalla logica di fondo di evitare una eccessiva alterazione del principio di proporzionalità, sebbene il corollario “one vote one share” non possa considerarsi più un dogma in senso assoluto.
A tale riguardo, infatti, l’art. 127-sexies, comma 1, del TUF dispone che, in deroga alle suddette previsioni di cui all’art. 2351, comma 4, c.c., gli statuti delle società con titoli quotati su mercati regolamentati non possono prevedere l’emissione di azioni a voto plurimo. Tale divieto, prima facie assoluto, è tuttavia mitigato dalla previsione di cui al successivo comma 2, per cui le azioni a voto plurimo emesse anteriormente all’inizio delle negoziazioni in un mercato regolamentato mantengono le loro caratteristiche e diritti.
Tale ultima disposizione risponde, invero, all’esigenza avvertita dal legislatore nazionale di tutelare, anche post quotazione, la posizione del socio di controllo ante quotazione, incentivando, nella sostanza, il ricorso a quest’ultima.
Ciò premesso, la differenza di disciplina applicabile alle società quotate rispetto a quelle non quotate è da rinvenirsi nella preoccupazione del legislatore italiano di arginare i rischi di perdita di contendibilità del controllo societario che potrebbe manifestarsi laddove si accordasse la possibilità di emettere azioni a voto plurimo[12].
Sotto un profilo connesso e per le finalità sopra richiamate, con la previsione di cui all’art. 127-quinquies del TUF, il legislatore italiano – sulla scia di quanto sopra descritto in relazione ad altri ordinamenti comunitari, sebbene in misura più prudente – compie un passo diretto ad incentivare (e premiare) gli azionisti di lungo termine, aprendo alla possibilità per le società con azioni negoziate presso mercati regolamentati di emettere azioni a voto maggiorato. La condizione di fondo che, tuttavia, deve essere integrata consiste nell’appartenenza delle azioni al medesimo soggetto per un periodo ininterrotto non inferiore a 24 mesi, come risultante da un apposito registro.
Il legislatore con l’introduzione delle azioni a voto maggiorato ha inteso accordare agli statuti di tali società la possibilità di “premiare”, mediante l’inserimento di una clausola ad hoc, il periodo di ininterrotta appartenenza di un azionista alla medesima società, concedendo dunque rilievo al profilo soggettivo (i.e., il soggetto titolare delle azioni), piuttosto che a quello oggettivo (i.e., azione ex se).
Corollari immediati di quanto precede sono che:
- ai sensi del comma 5 dell’art. 127-quinquies del TUF, le azioni con voto maggiorato non costituiscono una categoria speciale di azioni ai sensi dell’art. 2348 c.c.;
- l’attribuzione della maggiorazione è strettamente legata al relativo titolare e la cessione delle azioni (gratuita od onerosa) comporta, salvo rarissimi casi (e., successioni mortis causa ovvero operazioni di fusione e scissione del titolare delle azioni), la perdita del beneficio della maggiorazione[13].
Ciò posto in termini generali, occorre precisare che, come anticipato, si tratta di un ambito in cui l’autonomia statutaria può incidere in maniera rilevante: è possibile, infatti, prevedere che il voto maggiorato possa essere esercitato solo nel contesto di specifiche assemblee ovvero su particolari materie in discussione, ovvero che sia subordinato a specifiche condizioni non meramente potestative o garantito con durata limitata nel tempo. L’ultima parte del comma 1 dell’art. 127-quinquies del TUF accorda addirittura la possibilità allo statuto di prevedere che colui al quale spetta il diritto di voto maggiorato possa irrevocabilmente rinunciarvi, in tutto o in parte.
In conclusione, può essere interessante rilevare come le modifiche apportate dal legislatore con l’introduzione del voto maggiorato, abbiano imposto un adeguamento anche della disciplina relativa alle soglie rilevanti ai fini di un’offerta pubblica di acquisto[14]; è, infatti, previsto un obbligo di promuovere un’OPA obbligatoria in capo a chiunque a seguito non solo di acquisti, ma anche di maggiorazione dei diritti di voto, venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia del 30% ovvero del 25%, in assenza di altro socio che detenga una partecipazione più elevata, ovvero la diversa soglia individuata dallo statuto e compresa tra il 25% e il 40%, nel caso si tratti di PMI con azioni quotate (cfr. art. 106 del TUF).
[1] In particolare, dal combinato disposto delle disposizioni di cui all’art. 2501-ter, primo comma, del codice civile, all’art. 6, comma 1, del D.lgs. n. 108/2008, emerge che il progetto comune di operazioni di fusione cross border deve indicare, inter alia: (i) la forma, la denominazione o ragione sociale e la sede delle società partecipanti alla fusione, con l’indicazione della legge regolatrice di ciascuna delle società partecipanti; (ii) l’atto costitutivo (e/o lo statuto) della società risultante dalla fusione ovvero della società incorporante con le eventuali modifiche derivanti dalla fusione transfrontaliera e con l’indicazione della legge regolatrice della società risultante dalla fusione medesima; (iii) le informazioni sulla valutazione degli elementi patrimoniali attivi e passivi che sono trasferiti alla società risultante dalla fusione transfrontaliera; (iv) il rapporto di cambio delle azioni, nonché l’eventuale conguaglio in denaro; (v) la data di efficacia della fusione transfrontaliera o i criteri per la sua determinazione; (vi) le modalità di assegnazione delle azioni dell’incorporante ovvero della società risultante dalla fusione; (vii) la data dalla quale partecipano agli utili le azioni attribuite per concambio, nonché ogni modalità particolare relativa al diritto di partecipazione agli utili; (viii) la data a decorrere da cui le operazioni delle società partecipanti alla fusione sono imputate a bilancio dell’incorporante ovvero della società risultante dalla fusione; (ix) il trattamento eventualmente riservato a particolari categorie di soci e ai possessori di titoli diversi dalle azioni; (x) i vantaggi particolari eventualmente proposti agli amministratori, ai membri degli organi di controllo e agli esperti che esaminano il progetto di fusione transfrontaliera; (xi) le probabili ripercussioni della fusione transfrontaliera sull’occupazione; (xii) in generale e se del caso, le ulteriori informazioni la cui inclusione nel progetto comune di fusione è previsto dalla legge applicabile alle società partecipanti alla fusione transfrontaliera.
[2] In particolare, con riferimento alle informazioni da pubblicare in Gazzetta Ufficiale, l’art. 7 del D. Lgs. n. 108/2008 include: (i) tipo, denominazione, sede statutaria e legge regolatrice delle società coinvolte nell’operazione; (ii) il Registro delle Imprese – o, per la società straniera, l’analogo Pubblico Registro – nel quale sono iscritte le società e il relativo numero di iscrizione; (iii) in relazione all’operazione di fusione transfrontaliera, le modalità di esercizio dei diritti da parte dei creditori e dei soci di minoranza, nonché le modalità con gli stessi possono ottenere gratuitamente tali informazioni.
[3] Il termine di 60 giorni per l’eventuale opposizione dei creditori potrà essere evitato alternativamente con: (i) il consenso dei creditori anteriori all’iscrizione del progetto di fusione; (ii) il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso; (iii) il deposito delle somme corrispondenti presso una banca; (iv) l’asseverazione da parte della società di revisione che la situazione patrimoniale e finanziaria non rende necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori.
[4] In particolare, il c.d. “certificato preliminare” attesta, inter alia: (i) l’iscrizione presso il Registro delle Imprese della delibera di fusione transfrontaliera; (ii) l’inutile decorso del termine per l’opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c. (ovvero l’integrazione dei presupposti richiamati da tale norma che consentano l’attuazione della fusione prima del suddetto termine, ovvero, in caso di opposizione dei creditori, che il Tribunale abbia ritenuto infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori sociali oppure sia stata prestata idonea garanzia); (iii) l’inesistenza di circostanze ostative all’attuazione della fusione transfrontaliera relative alla società richiedente.
[5] Angelo Busani, La fusione transfrontaliera e internazionale, in Le Società 6/2012, pp. 671 e 672.
[6] In particolare, la c.d. “attestazione definitiva” contiene, inter alia, l’attestazione del Notaio che: (i) le società partecipanti alla fusione transfrontaliera abbiano approvato un identico progetto comune; (ii) siano pervenuti i c.d. certificati preliminari relativi alla fusione transfrontaliera da parte di ciascuna delle società partecipanti alla fusione; e (iii) se del caso, siano state stabilite le modalità di partecipazione dei lavoratori ai sensi dell’art. 19 del D.lgs. n. 108/2008.
[7] Angelo Busani, op. cit., pp. 673 e 674.
[8] Ovverosia un accordo vincolante con cui si concorda preliminarmente la misura del prelievo fiscale su tutte le operazioni societarie fiscalmente rilevanti.
[9] M. Bove, Voto plurimo e nuove strategie societarie, in Diritto Bancario, giugno 2022, p. 12 e 13.
[10] Ascheri & Partners, Olanda: diritti e responsabilità dei soci, 2022.
[11] R. Antonini, Azioni a voto plurimo e maggiorato, Il Societario, 2 maggio 2016, p. 2.
[12] R. Antonini, op. cit, p. 2.
[13] V. Donativi, Trattato delle Società, settembre 2022, p. 277.
[14] C. Tedeschi, Le azioni a voto plurimo e la maggiorazione del diritto di voto, Le Società, 10/2015, p. 1078 e 1079.