1. Premessa
Il 12 novembre 2014 l’ISDA ha pubblicato1 un nuovo Protocol relativo all’introduzione di nuovi obblighi di “blocco temporaneo” (c.d. temporary stay) all’esercizio dei diritti contrattualmente riconosciuti ai sensi di un ISDA Master Agreement per la risoluzione anticipata del contratto quadro (e delle operazioni in derivati coperte dal contratto quadro) nel caso di apertura di procedure di insolvenza e/o liquidazione o di altre eventuali procedure di “recovery” nei confronti di un’istituzione bancaria ai sensi della legislazione nel paese nel quale essa operi.
In estrema sintesi, il nuovo Protocol mira a introdurre modifiche contrattuali alla documentazione ISDA (solo tra due parti che siano entrambe aderenti al Protocol, e solo su base volontaria) tali da rendere impossibile, per un certo numero di giorni e comunque per un periodo non superiore a 2 giorni lavorativi, azionare i consueti meccanismi di risoluzione anticipata (ai sensi delle clausole di Early Termination, Cross Default, etc) e close-out netting nei confronti di una banca/istituzione finanziaria per la quale sia stata avviata una procedura di recovery. La sospensione potrebbe operare purché ciò sia previsto ai sensi della legislazione del paese nella quale la banca in questione operi e purché tale legislazione speciale abbia previsto l’introduzione di regimi di gestione delle crisi bancarie che abbiano determinate caratteristiche minime per come indicate nel Protocol (le c.d. “Special Resolution Regimes” o “SRRs”).
2.Gli obiettivi del Protocol
L’obiettivo primario del Protocol è quello di evitare situazioni di gestione “disordinate” delle crisi bancarie in relazione alle operazioni in derivati in essere con, e che potrebbero interessare soprattutto, le c.d. Systemic Important Financial Institutions, onde evitare il ripetersi di circostanze simili a quelle che occorsero all’indomani della formale apertura delle procedure di insolvenza nei confronti delle società del gruppo Lehman, con la “corsa” da parte di moltissime delle controparti del gruppo finanziario ad azionare meccanismi di risoluzione anticipata dei contratti derivati, ai sensi dei contratti ISDA Master Agreement.
L’esigenza della predisposizione del Protocol è stata avvertita dall’ISDA su impulso del Financial Stability Board (FSB) anche a seguito di decisioni assunte in alcuni summit dei paesi G-20 nel corso del 2013. In quelle occasioni si decise di introdurre meccanismi volti a ridurre il più possibile i rischi sistemici insiti nel principio del “too big to fail” delle grandi istituzioni finanziarie mondiali, così incoraggiando sia i legislatori nazionali, sia il mercato, a privilegiare approcci volti alla gestione ordinata delle eventuali crisi, in modo particolare in relazione a soggetti finanziari più grandi e ramificati considerati “di importanza sistemica”.
In questo quadro, le iniziative che in seno al FSB si decise di attuare erano state di duplice natura: (i) da un lato richiedere all’ISDA di predisporre modifiche alla documentazione contrattuale voltea consentire alle parti aderenti (su base volontaria) di introdurre un blocco temporaneo (“temporary stay”) nell’esercizio dei diritti di risoluzione anticipata all’apertura di procedure di “recovery” di banche/istituzioni finanziarie, e (ii) da un altro lato, avviare e agevolare l’introduzione a livello nazionale, di regolamentazioni volte ad introdurre processi ordinati di “recovery” di banche e istituzioni finanziarie nei quali innestare principi idonei a riconoscere il “temporary stay” introdotto con il Protocol, o di imporre legislativamente una similare normativa a prescindere dall’adesione o meno delle controparti in derivati al Protocol.
Se l’obiettivo – ambizioso – che il G-20 si era dato sia stato raggiunto, o anche solo sfiorato, con l’introduzione di questo nuovo ISDA Protocol è materia ancora tutta da analizzare. Di certo, sia per la sua genesi, sia per i contenuti introdotti nel quadro dell’ISDA Master Agreement il nuovo Protocol si presta a critiche ed osservazioni che sulla stampa specializzata sono già state avanzate, soprattutto dai rappresentanti del mondo delle c.d. “buy-side firms” (cioè di quei soggetti che partecipano al mercato dei derivati in qualità di “acquirenti” degli strumenti in questione, e che si contrappongono ai soggetti “sell side” che invece sono principalmente le grandi istituzioni finanziarie che normalmente concludono operazioni in derivati come parte della propria attività di business, quali negoziatori in conto proprio).
3. Inquadramento generale del Protocol nell’ambito dell’attività dell’ISDA
Da un punto di vista dell’inquadramento complessivo, sembrerebbe comunque di poter dire che questo Protocol si discosti nettamente da tutte le iniziative e attività messe in atto precedentemente dall’ISDA.
Sin dalla sua costituzione e per i successivi anni l’attività principale dell’ISDA è stata volta infatti a cercare di far introdurre e salvaguardare, nelle varie legislazioni nazionali, delle regolamentazioni atte a confermare il pieno riconoscimento ed effettività, anche in caso di apertura di procedure concorsuali, delle clausole di risoluzione anticipata e close-out netting previste dall’ISDA Master Agreement. Ciò al fine di permettere agli operatori del mercato di avere solide basi giuridiche per poter operare con controparti dei vari paesi del mondo, senza rischi (o con rischi limitati) circa l’invalidità o inefficacia delle previsioni chiave dell’ISDA Master Agreement anche all’apertura di una procedura concorsuale (ovviamente regolata dalle legislazioni locali)2.
Ebbene, dopo svariati anni in cui la preoccupazione principale dell’ISDA era stata essenzialmente quella di accertare, ed in un certo senso favorire, l’“espansione” (nel panorama giuridico internazionale) dei principi suddetti, la stessa associazione con il Protocol introduce (o meglio propone ai potenziali aderenti al Protocol) delle nuove previsioni nell’ISDA Master Agreement che tendono a sconfessare uno dei concetti cardine dell’architettura contrattuale ISDA, e cioè che l’avvio di procedure di riorganizzazione/insolvenza/fallimento di una controparte legittimino l’altra ad esercitare i diritti di risoluzione anticipata ed esercizio del close-out netting. Grazie al nuovo Protocol, invece, si introduce la possibilità di un blocco (seppur temporaneo) all’esercizio del diritto di risoluzione anticipata dei contratti e di calcolo del close-out amount all’apertura di una crisi finanziaria di una delle due parti del contratto.
Su tale aspetto, è innegabile pensare che l’effetto iniziale di “straniamento” per gli operatori del mercato dei derivati potrebbe essere non indifferente, dal momento che le previsioni del Protocol, rendendo in qualche modo “incerta” l’applicazione delle clausole di risoluzione anticipata e close-out netting (anche se solo nei casi che ricadranno nell’ambito di applicazione del Protocol) vanno nella direzione esattamente contraria di quanto sin qui concretamente fatto dall’ISDA.
4. Termini e condizioni essenziali del Protocol
Venendo all’analisi delle condizioni specifiche contenute nel Protocol, si nota che, come nell’ormai classico stile dei protocols predisposti dall’ISDA, anche questo documento presenta una struttura bipartita: (i) una prima parte in cui si forniscono gli elementi essenziali del meccanismo di adesione al Protocol e si descrivono gli effetti modificativi che il Protocol produrrà in maniera istantanea ed automatica su tutte le operazioni rette da ISDA Master Agreement (i c.d. “Covered Agreements”) in essere tra due parti aderenti al Protocol, a partire dal momento in cui entrambe avranno completato il processo di adesione (“Implementation Date”); (ii) una seconda parte (“Attachment”) in cui si inseriscono le vere e proprie previsioni del Protocol che le parti accettano integralmente al momento dell’adesione e che produrranno modifiche sostanziali ai Covered Agreements in essere tra due controparti aderenti.
Inoltre, è opportuno evidenziare che il Protocol prevede anche diverse previsioni e alcuni “Annexes” (che tecnicamente sono allegati dell’Attachment) tramite cui si inseriscono norme specifiche che si applicheranno ai contratti conclusi con controparti stabilite in talune giurisdizioni (Germania, Francia, Regno Unito, USA, Giappone, Svizzera, i “Paesi Identificati”) nelle quali sono già state introdotte norme generali relative a procedure di “recovery” di gruppi bancari che potranno qualificarsi come SRRs, ai sensi del Protocol. A tal riguardo, occorre precisare che le altre giurisdizioni nelle quali si prevede che il Protocol possa (e debba) trovare applicazione (grazie alla futura implementazione di normative interne simili a quelle già adottate da altri paesi) sono tutti gli altri paesi membri del FSB (i “Paesi Eligible”)3.
Come spesso accade, le clausole principali tramite cui comprendere appieno il funzionamento del Protocol sono quelle definitorie, che si trovano all’art. 6 dell’Attachment. In particolare, le definizioni attorno a cui ruota tutto il meccanismo del Protocol sono quella di “Special Resolution Regime”, “Identified Regime” e “Protocol-eligible Regime”. Laddove Special Resolution Regime indica unitamente gli Identified Regimes e i Protocol-eligible Regimes. Un Identified Regime è quello di uno dei 6 Paesi Identificati sopra citati che hanno già introdotto nelle proprie legislazioni regimi giuridici minimi per poter avviare una “recovery” in caso di apertura di procedure di crisi nei confronti di banche e istituzioni finanziarie. Un Protocol-eligible Regime, invece, è un regime di recovery che potrà essere introdotto in uno degli altri Paesi Eligible membri del FSB (inclusa l’Italia) e la cui apertura potrebbe far scattare i meccanismi contrattuali del Protocol (e quindi il blocco temporaneo dei diritti di risoluzione dei contratti derivati), masolo a patto che tale regime giuridico nazionale (se e quanto verrà introdotto) contenga alcuni elementi minimi che sono dettagliatamente indicati nel Protocol stesso. A tal riguardo, è bene evidenziare che per i paesi aderenti all’UE il regime giuridico delle procedure di recovery di banche ed istituzioni finanziarie in crisi sarà di stampo comune e deriverà essenzialmente dall’implementazione a livello nazionale della direttiva 2014/59/UE che “istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento…”.
Ciò che emerge quindi è che il Protocol predispone un quadro contrattuale nel quale comunque si dovranno innestare le previsioni delle singole legislazioni nazionali. I Paesi Identificati hanno già previsto alcune norme minime a livello nazionale, per cui il Protocol potrà dispiegare quasi immediatamente efficacia in caso di apertura di una crisi nei confronti di una banca residente in uno dei paesi già “in linea” con le indicazioni del FSB. Negli altri Paesi Eligible, che invece non hanno ancora adeguato le proprie legislazioni interne, il Protocol potrebbe non riuscire mai a dispiegare i propri effetti. La sensazione che se ne ha è pertanto che lo strumento del Protocol nasca in qualche modo già “azzoppato” fornendo un efficace campo da gioco “contrattuale” alle parti, anche se tale campo potrebbe in ipotesi rimanere sempre sguarnito (e quindi il Protocol mai applicato) in assenza degli opportuni sforzi legislativi sia nei Paesi Identificati sia soprattutto nei Paesi Eligible che sono ancora “non allineati”.
Proprio per questo si comprende il senso della clausola di “sunset” contenuta all’art. 4(b) dell’Attachment. In particolare, si prevede che qualora entro il 1 gennaio 2018 sia nelle giurisdizioni dei 6 Paesi Identificati, sia a maggior ragione nei Paesi Eligible4 non siano introdotte misure precise e dettagliate di restrizione (all’esercizio dei consueti diritti contrattuali riconosciuti dall’ISDA) nell’ambito di procedure di SRR, allora qualsiasi altra parte aderente al Protocol avrà il diritto di “revocare” la propria adesione nei confronti delle controparti aderenti che siano residenti nel paese che non abbia rispettato la tempistica suddetta per l’implementazione della legislazione nazionale in tema di SRR. In buona sostanza, si introduce una way-out contrattuale per tutte le parti che abbiano aderito al Protocol ma che non intendano (superata la data limite dei 3 anni dall’efficacia del Protocol) rimanere obbligati nei confronti di controparti nei confronti delle quali non sia certa l’introduzione di una legislazione che consenta – di fatto – la reciprocità delle previsioni del Protocol.
5. L’adesione “preventiva” di 18 gruppi bancari e finanziari globali
In questo scenario, è utile ricordare come 18 grandi gruppi finanziari globali abbiano deciso di sottoscrivere immediatamente il Protocol all’atto della sua stessa pubblicazione, con ciò dando una precisa indicazione al mercato. Tra le banche e le istituzioni finanziarie aderenti (114 soggetti al 19 novembre 2014, quasi tutti membri dei 18 gruppi suddetti5) il Protocol entrerà in vigore il 1 gennaio 2015. Per i nuovi ISDA Master Agreement sottoscritti successivamente alla pubblicazione del Protocol si prevede che le parti possano anche richiamare direttamente nel testo del contratto le previsioni del Protocol, così realizzando una adesione “indiretta” delle norme del Protocol stesso.
L’adesione dei già richiamati 18 grandi gruppi finanziari comporterà che le previsioni del Protocol potranno fin da subito essere operative e “coprire” le operazioni in essere per lo meno tra questi grandi gruppi aderenti. Ciò significa che l’apertura di una procedura di recovery contro una delle banche aderenti dovrà essere gestita, dalle altre banche aderenti, sterilizzando (almeno per il periodo di tempo indicato nella legislazione del paese in questione e comunque per il tempo massimo di 2 giorni lavorativi) l’esercizio dei diritti di risoluzione anticipata, a vantaggio quindi del “soggetto in crisi” e nell’interesse di una possibile procedura di salvataggio, che porterà benefici comuni al mercato. Almeno così si spera.
6. L’adesione delle banche e delle controparti italiane?
Al momento, tra le parti aderenti al Protocol figura una sola istituzione bancaria italiana (Banca Nazionale del Lavoro), e ciò è ipotizzabile che sia dovuto al fatto che a livello della capogruppo BNP Paribas si sia deciso di suggerire l’adesione anche di tutte le principali società del gruppo.
Ma le banche italiane, grandi e meno grandi, avranno interesse e/o necessità di aderire in tempi brevi al Protocol?
Al momento la risposta sembrerebbe essere negativa, almeno fin tanto che non si avrà anche in Italia un quadro legislativo chiaro in termini di procedure nazionali di “recovery” si istituzioni bancarie e finanziarie italiane. Il banco di prova principale sarà per l’appunto la piena implementazione della Direttiva 2014/59/UE.
Per i soggetti non bancari, italiani e non, resta un tema di fondo: perché mai si dovrebbe decidere di aderire volontariamente ad un Protocol che comporterà – di fatto – una rinuncia a diritti contrattuali già acquisiti? Come si potrebbe spiegare una scelta siffatta in termini di conformità con l’oggetto sociale e di benefici per la società in questione?
E’ evidente come una valida risposta a questo tipo di domande debba essere rinvenuta in apposite scelte legislative da assumersi al riguardo.
7.Alcune brevi considerazioni finali
Da questa breve panoramicapossono derivarealcune minime riflessioni:
(i) l’opportunità di bloccare per un breve periodo di tempo (2 giorni lavorativi al massimo) l’esercizio dei diritti di risoluzione anticipata del contratto potrebbe avere senso in previsione di un “trasferimento” ex lege degli asset dalla banca in crisi verso un’altra istituzione finanziaria o per la realizzazione di altra forma di salvataggio pubblico che consenta (quantomeno) di proseguire l’attività bancaria dell’istituzione in crisi;
(ii) conseguenza di ciò e che l’apertura di una crisi di una delle istituzioni già aderenti al Protocol comporterà automaticamente che: (a) gli altri soggetti anch’essi aderenti al Protocol non potranno agire nell’immediatezza dell’avvio della procedura di recovery per risolvere il contratto ed effettuare i calcoli del “close-out amount” delle operazioni in essere; mentre (b) tutte le altre controparti, bancarie e non, che non abbiano aderito al Protocol potranno continuare ad azionare i meccanismi di risoluzione contrattualmente previsti; ovviamente, purché (e fintantoché) ciò sia reso ancora possibile ai sensi delle legislazioni dei paesi in cui si trovino le controparti bancarie in crisi.
Questa differenza di trattamento può essere spiegabile alla luce di due logiche parallele che sottostanno alla predisposizione del Protocol:
(a) da un lato, come detto, vi è l’esigenza di contenere il rischio sistemico si concentra essenzialmente sulle grandi istituzioni finanziarie che spesso intessono tra loro rapporti economici molto intrecciati, di modo che si cercherà di evitare in primis che la crisi di una banca si possa ripercuotere a catena anche sulle altre banche. E dal momento che i principali gruppi finanziari globali hanno già aderito al Protocol, alcuni commentatori ritengono che questo primario scopo del Protocol possa essere efficacemente raggiunto;
(b) da un altro lato, però, prevedere un blocco temporaneo dei diritti di risoluzione servirebbe proprio ad evitare che l’avvio di una crisi bancaria si trasformi nelle sue fasi iniziali (che si è visto essere quelle tra le più delicate) e proprio a causa dell’azionamento dei diritti di risoluzione anticipata dei contratti derivati (che per loro natura sono strumenti di difficile valorizzazione immediata) in una vera e propria procedura fallimentare da gestire con tutte le difficoltà che ciò comporterebbe (secondo anche quanto l’esperienza del gruppo Lehman ha insegnato dal 2008 ad oggi).
Ma portando all’estremo quest’ultima riflessione si potrebbe quindi sostenere che se la nascita del Protocol era stata suggerita dal G-20 e dal FSB per porre un freno alla situazione del “too big to fail” delle grandi istituzioni finanziarie mondiali, ebbene, parrebbe invece che l’effetto ultimo del Protocol possa essere proprio quello di bloccare le armi altrui (i diritti di risoluzione anticipata dei derivati) che potrebbero contribuire ad avviare al “fallimento” della controparte bancaria, di modo che, effettivamente, quest’ultima sarebbe sempre più incentivata ad essere troppo grande – e troppo importante a livello globale – per poter essere lasciata fallire. Insomma, pare proprio che il cane provi a mordersi la coda…
Un’ultima considerazione merita di essere spesa: l’introduzione della sunset clause sopra citata finisce con l’apparire più che un diritto riconosciuto alle controparti aderenti come una sorta di sollecitazione (neanche tanto indiretta) nei confronti dei legislatori nazionali al fine di spingerli nella direzione aperta dall’ISDA (nonché suggerita dal FSB) sulle tematiche in questione. Eppure, trattandosi di materie molto delicate come quelle delle gestioni delle crisi di istituzioni bancarie e finanziarie, nelle quali le attenzioni alle specificità e il rispetto dei principi giuridici nazionali sono sempre state notevoli, non è detto che le sollecitazioni provenienti dall’esterno producano sempre un effetto benefico.
In conclusione, per saggiare in maniera consistente la buona riuscita o meno di questo Protocol occorrerà attendere ancora dei mesi, e probabilmente degli anni (forse almeno fino al 2018) per capire se il panorama sull’esercizio dei diritti contrattuali dell’ISDA Master Agreement sia per sempre mutato in presenza di apertura di procedure di recovery nei confronti di istituzioni bancarie in crisi.
2
A tal riguardo, basti pensare all’enorme lavoro e sforzo giuridico che l’ISDA quasi annualmente effettua per confermare (tramite apposite “legal opinons” concernenti le legislazioni dei principali paesi in cui si trovino operatori del mercato dei derivati) la validità e la capacità di utilizzo delle clausole di compensazione e close-out netting contenute nell’ISDA Master Agreement, e che in special modo si soffermano sulle situazioni di apertura di procedure di insolvenza delle controparti. Inoltre, è espressamente previsto che le autorità regolamentari bancarie (anche a seguito dell’introduzione del Regolamento UE 575/2013, c.d. CRR) debbano verificare la sussistenza di pareri legali idonei a confermare la validità ed efficacia delle clausole di compensazione e close-out netting dei derivati (ricomprese negli accordi ISDA) al fine di poter accedere ai benefici di abbassamento dei coefficienti di rischio nei bilanci bancari.
3
Tra cui l’Italia, e poi Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Hong Kong, India, Indonesia, Messico, Olanda, Corea del Sud, Russia, Arabia Saudita, Singapore, Sud Africa, Spagna e Turchia.
4
Ovvero, in quest’ultimo caso, entro la data, se successiva, che cada nei 18 mesi successivi all’entrata in vigore nei Paesi Eligible di una nuova legislazione che introduca meccanismi di SRR.
5
L’elenco completo ed aggiornato è consultabile al seguente indirizzo: http://www2.isda.org/functional-areas/protocol-management/protocol-adherence/20