Le operazioni di finanziamento in pool effettuate da un istituto di credito italiano con la diretta partecipazione di un istituto di credito estero non autorizzato ad operare nel territorio nazionale integrano il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria di cui all’art. 132 TUB anche quando, sul piano giuridico, esse siano formalmente regolate da una convenzione interbancaria articolata secondo lo schema del mandato senza rappresentanza.
È quanto stabilito dalla sentenza n. 12777 del 22 marzo 2019, con la quale la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità della sentenza di condanna per esercizio abusivo di attività finanziaria ex art. 132 TUB, emessa dalla Corte d’appello di Bologna nei confronti di alcuni amministratori di due istituti di credito coinvolti in una serie di complesse operazioni finanziarie che vedevano la banca italiana capofila erogare finanziamenti ai propri correntisti utilizzando risorse fornite da una banca estera, non autorizzata all’esercizio di tale attività, sulla base di un mandato senza rappresentanza.
Secondo la Suprema Corte, il formale conferimento ad un istituto di credito italiano di un mandato senza rappresentanza non esclude la riconducibilità dell’attività finanziaria posta in essere dalla banca mandataria anche alla banca mandante priva di autorizzazione. Infatti, nell’interpretazione della fattispecie incriminatrice, la valutazione dell’operazione concretamente posta in essere e la sua corrispondenza alla fattispecie di reato contestata devono necessariamente prevalere sulla qualificazione giuridica di tale operazione ad opera degli agenti, ossia sulla forma negoziale adottata per il suo svolgimento. Del resto, come già osservato dai giudici del gravame, «attribuire rilevanza esclusiva ed assorbente alla forma giuridica adottata consentirebbe una agevole e sistematica elusione dell’intera disciplina che regola l’attività delle banche extracomunitarie, consentendo di erogare credito senza autorizzazione sol conferendo un mandato senza rappresentanza ad un istituto bancario italiano».
Pertanto, in presenza di inequivoci indici sintomatici – su tutti, il riparto del rischio di insolvenza tra i due istituti, la sottoscrizione per conoscenza della convenzione interbancaria da parte di ciascun mutuatario, l’autonoma valutazione del merito creditizio dei mutuatari formulata dalla banca mandante e il potere di ingerenza di quest’ultima nella fase di esecuzione del rapporto – il mandato senza rappresentanza deve ritenersi diretto a dissimulare lo svolgimento diretto di attività finanziaria (nella specie: concessione pro quota di finanziamenti al pubblico ex art. 106 TUB) da parte di un soggetto non autorizzato e, dunque, ad eludere il divieto di operatività finanziaria in assenza di autorizzazione sancito dal testo unico bancario.