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Giurisprudenza

Operazioni di pagamento non autorizzate e riparto dell’onere della prova

17 Settembre 2024

Corte di Cassazione, Sez. I, 04 settembre 2024, n. 23683 – Pres. Scotti, Rel. Campese

Di cosa si parla in questo articolo

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 23683 del 04 settembre 2024 (Pres. Scotti, Rel. Campese) si è pronunciata sul riparto dell’onere della prova, nelle vertenze concernenti la responsabilità della banca per operazioni di pagamento non autorizzate, effettuate a mezzo di strumenti elettronici.

Della tematica relativa alle frodi nei pagamenti elettronici, se ne parlerà in modo approfondito nel corso del webinar organizzato dalla nostra rivista il prossimo 26 settembre 2024 “Operazioni di pagamento non autorizzate: nuove aspettative di vigilanza“.

In particolare, la Corte, cassando la sentenza impugnata, ha osservato che non sono stati osservati i principi dettati dalla Cassazione in tema di onere della prova in controversie relative ad operazioni di pagamento non autorizzate a mezzo di strumenti elettronici.

Richiamando la precedente pronuncia n. 3780/2024, ha ribadito che, qualificata in termini contrattuali la responsabilità della banca, la diligenza posta a carico del professionista, per quanto concerne i servizi posti in essere in favore del cliente, ha natura tecnica e deve valutarsi tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento assumendo come parametro quello dell’accorto banchiere: dunque, la diligenza della banca va riferita ad operazioni che devono essere ricondotte nella sua sfera di controllo tecnico, sulla base anche di una valutazione di prevedibilità ed evitabilità tale che la condotta, per esonerare il debitore, la cui responsabilità contrattuale è presunta, deve porsi al di là delle possibilità esigibili della sua sfera di controllo.

La giurisprudenza di legittimità è infatti consolidata nel senso di ritenere che la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente configurabile, ad esempio, nel caso di protratta attesa prima di comunicare l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento; ma il riparto degli oneri probatori posto a carico delle parti segue il regime della responsabilità contrattuale.

Pertanto, mentre il cliente è tenuto soltanto a provare la fonte del proprio diritto ed il termine di scadenza, il debitore, cioè la banca, deve provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, sicché non può omettere la verifica dell’adozione delle misure atte a garantire la sicurezza del servizio.

Conseguentemente, essendo la possibilità della sottrazione dei codici al correntista attraverso tecniche fraudolente una eventualità rientrante nel rischio d’impresa, la banca, per liberarsi dalla propria responsabilità, deve dimostrare la sopravvenienza di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore (nello stesso senso, si richiamano le precedenti pronunce Cass., Sez. I, n. 2950 del 3/2/2017; Cass., Sez. III, n. 18045 del 5/7/2019; Cass. n. 26916 del 26/11/2020).

In riferimento al caso di specie, la S.C. ha ritenuto non solo che non fossero stato osservati i richiamati principi in tema di riparto dell’onere della prova, ma altresì che la motivazione della Corte distrettuale fosse apodittica, ovvero, come tale, non in linea con il “minimo costituzionale” richiesto dalle Sezioni Unite (n. 8053/2014), e tale da inficiare da nullità la sentenza impugnata: i giudici territoriali, infatti, dopo aver affermato che la circostanza del possesso delle carte da parte del ricorrente non poteva considerarsi provata, non ha spiegato però in concreto perché dal fatto che le operazioni di prelievo sarebbero avvenute mentre la ricorrente era in Italia, dovesse ricavarsi che le stesse erano da attribuirsi a suoi familiari, a conoscenza del pin.

Infine, l’assunto secondo cui non era stata fornita, dal ricorrente, la dimostrazione di avere mantenuto sempre il possesso delle carte, strideva con la mancata ammissione della prova testimoniale sulla relativa circostanza, come articolata dal ricorrente sin dal primo grado di giudizio.

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