Con la sentenza 31906/2024, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema relativo all’attività di ponderazione delle allegazioni probatorie svolta dal giudice tributario nelle controversie aventi ad oggetto il recupero dell’IVA indebitamente detratta, a seguito della contestazione di operazioni inesistenti.
Il caso giurisprudenziale traeva origine dalla impugnazione di sei avvisi di accertamento, riferiti agli anni di imposta 2005-2010, con i quali l’Ufficio aveva contestato la genuinità di fatture d’acquisto di servizi forniti ad una società da parte di due imprese individuali, ritenendole sottese ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Soccombente nei gradi di merito, la società destinataria dell’accertamento ricorreva per cassazione deducendo l’errata valutazione, da parte del giudice di appello, del materiale probatorio offerto nel giudizio.
All’esito, la Suprema Corte ha deciso per il rigetto del ricorso.
Richiamando i propri precedenti, il Collegio ha esordito ricordando che, in relazione alla contestazione di indebita detrazione d’imposta, grava sull’Ufficio l’onere di provare – anche tramite indizi o presunzioni semplici – che l’operazione non è mai stata realizzata.
L’Amministrazione finanziaria è invece esonerata dall’onere di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’inesistenza dell’operazione, non è configurabile, secondo criteri di ragionevolezza, la buona fede di quest’ultimo.
Spetta invece al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, offrire la controprova dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Peraltro, detto onere non potrà dirsi assolto con la mera esibizione di fatture, in quanto esse vengono, di regola, utilizzate allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
Ciò posto, alla luce delle censure mosse dalla ricorrente che attengono, essenzialmente, alla fase di apprezzamento della prova nell’ambito del processo tributario, il Collegio, in linea con il consolidato orientamento di legittimità sviluppatosi sul punto, ha descritto il corretto iter logico che il giudice di merito deve seguire in sede di valutazione del potenziale probatorio dell’indizio.
In tale frangente, i requisiti di validità della prova presuntiva (ovvero gravità, precisione e concordanza) devono essere ricavati a seguito di un giudizio globale e non già atomistico, ancorché preceduto dalla valutazione di ciascun elemento indiziario per individuare quello maggiormente significativo.
Infatti, “ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente di fornire la prova contraria”.