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Giurisprudenza

Operazioni soggettivamente inesistenti: perimetro di deducibilità dei costi e detraibilità dell’IVA

5 Gennaio 2021

Stefano Bego, Studio Legale Tributario EY

Cassazione Civile, Sez. V, 2 ottobre 2020, n. 21111 – Pres. Virgilio, Rel. Antezza

Di cosa si parla in questo articolo

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, la deducibilità dei costi sostenuti dal cessionario del soggetto interposto e rilevanti ai fini delle imposte dirette, fatta salva la verifica della loro inerenza, effettività, competenza, determinatezza e determinabilità ex art. 109 del TUIR, non può essere ex se contestata, se non è provato il loro diretto utilizzo al fine di commettere un reato.

Il principio espresso dalla sentenza qui in analisi appare in perfetta linea di continuità con le più recenti pronunce della Corte in materia (ex plurimis: Cass., nn. 27566/2018, 17788/2018, 16528/2018, 25249/2016, 13803/2014).

Nel caso di specie, il contribuente impugnava in primo grado due avvisi di accertamento IVA, IRPEG e IRAP relativi agli esercizi 2003 e 2004, fondanti su notizia di reato, con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione il maggior reddito d’impresa (e valore della produzione netta) derivante dalla indebita deduzione di costi nonché la relativa Imposta sul Valore Aggiunto indebitamente detratta in relazione ad operazioni di acquisto di autoveicoli ritenute soggettivamente inesistenti.

Al rigetto del ricorso, seguiva infruttuosamente, da parte del contribuente, anche l’appello in commissione regionale.

In particolare, la CTR riteneva gli atti impositivi congruamente motivati.

Relativamente alle imposte dirette, infatti, i costi sostenuti dal contribuente dovevano qualificarsi come spese riconducibili a fatti, atti, o attività qualificabili come reato, in ossequio al disposto dell’articolo 14, comma 4-bis, della l. 24 dicembre 1993 n. 537, nella sua versione vigente ratione temporis.

Quanto invece all’Imposta sul Valore Aggiunto, la Corte richiamava un precedente di legittimità (Cass. 735/2010), nel quale era sostenuto che la detrazione dovesse considerarsi indebita anche in presenza di acquisti reali ed effettivamente sostenuti, potendo l’effettiva provenienza della merce, e la specifica qualità del reale venditore, rilevare sulla misura dell’aliquota applicabile, e non potendosi comunque giudicarsi inerente l’IVA detratta, in quanto costo non afferente all’attività istituzionale d’impresa.

In aggiunta, era respinta anche la doglianza relativa l’assenza di prova da parte dell’Ufficio dell’inesistenza soggettiva delle fatture e della consapevolezza di una partecipazione delittuosa della contribuente.

Tali motivazioni non venivano condivise dal Collegio di Legittimità adito che, con la pronuncia in commento, accoglieva il ricorso presentato dalla contribuente che si doleva anzitutto, quanto alle imposte dirette ed all’IRAP, della violazione e falsa applicazione dell’articolo 14, comma 4-bis, della l. 537/1993, come sostituito dall’articolo 8, comma primo, del d.l. 2 marzo 2012 n. 16.

La Suprema Corte riconosce anzitutto che alla fattispecie in oggetto sia applicabile l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, che ha sostituito l’art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537 del 1993, non essendo il rapporto tributario ancora definito al momento della decisione.

In forza del principio dello ius superveniens, infatti, la novella normativa ha diretta rilevanza nel giudizio sottoposto al Collegio, trovando applicazione anche d’ufficio da parte del giudice di legittimità, atteso anche quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 8 del menzionato d.l. 16/2012, che ne consente l’applicazione in virtù del principio del favor rei.

Fugati eventuali dubbi circa la normativa applicabile al caso di specie, la Corte ha rilevato come dalla disposizione vigente si ricavi che, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, fermo restando la verifica degli ordinari criteri di deducibilità dei costi ex art. 109 TUIR, se i beni acquistati non sono direttamente utilizzati per commettere un reato ma, al contrario, commercializzati, è fatta salva, ai fini delle imposte dirette, la deducibilità dei costi di dette operazioni.

Non essendo contestata, nel caso di specie, l ‘oggettiva esistenza dell’operazione, risulta quindi del tutto irrilevante l’accertamento sulla consapevolezza della contribuente alla partecipazione ad una frode.

In relazione, invece, ai profili di indetraibilità dell’IVA, la ricorrente si doleva non soltanto della violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 2727, 2728, 2729 del codice civile e degli articoli 19 e 21 d.P.R. 633/1972, ma anche del vizio motivazionale dell’impugnata pronuncia.

La Corte, in accoglimento dei motivi formulati, ha colto l’occasione per riprendere un principio in tema di onere probatorio già consolidato in sede di legittimità (Cass. 9851/2018, 27555/2018) e avvalorato dal diritto unionale, in ragione del quale, in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, laddove intenda contestare il diritto alla detrazione attinente ad operazioni soggettivamente inesistenti, abbia l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del cessionario che l’operazione si inserisca in una operazione fraudolenta, dimostrando anche in via presuntiva, in base a specifici elementi, che il contribuente era a conoscenza dell’inesistenza della controparte o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta.

 

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