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Giurisprudenza

Opposizione allo stato passivo: parte ricorrente deve provare il diligente adempimento

19 Maggio 2021

Matteo Taraschi

Cassazione Civile, Sez. I, 20 aprile 2021, n. 10394 – Pres. Cristiano, Rel. Vella

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha inteso ribadire l’applicabilità del generale principio in tema di onere della prova dell’inadempimento di una obbligazione anche nel giudizio di opposizione allo stato passivo.

In particolare, nella fattispecie in esame, il direttore generale di una società per azioni in liquidazione aveva proposto opposizione allo stato passivo del fallimento per ottenere l’ammissione – quanto meno con riserva ex art. 96 l.f. – del credito vantato a titolo di retribuzione dovuta dalla società in ragione del rapporto di lavoro con la società stessa. Il Tribunale respingeva la domanda dell’attore in quanto, a fronte dell’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c. opposta dalla curatela fallimentare, il direttore generale non aveva correttamente assolto all’onere della prova del proprio adempimento e, dunque, di non aver violato i propri obblighi derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa resa in favore della società in qualità di direttore generale.

La Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice di primo grado, che aveva correttamente escluso l’ammissione del credito in questione con riserva, precisando l’assunto secondo cui ove, nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo, la curatela fallimentare si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c., grava sulla parte opponente l’onere di provare di aver correttamente adempiuto le proprie obbligazioni derivanti dal rapporto per il quale agisce.

In particolare, la Corte di Cassazione ha richiamato la consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 3373/2010; Cass. n. 8736/2014; Cass. n. 25584/2018, Cass. n. 98/2019; Cass., Sez. Un., n. 13533/2001), secondo cui in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Il medesimo criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c. Infatti, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., ove il debitore convenuto si avvalga dell’eccezione di inadempimento, risultano invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero, la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione.

Il predetto principio si applica anche al caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento. Pertanto, al creditore agente sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento (con il risultato che, nel caso in cui il debitore eccepisca l’inesatto adempimento ex art. 1460 c.c., risulteranno – anche in questo caso – invertiti i ruoli delle parti in lite).

 

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