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Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione di incompatibilità di un giudice che, decisa nel merito un’opposizione allo stato passivo in sede civile, si è successivamente trovato, in sede penale, a valutare la sussistenza dei presupposti per l’addebito del reato di truffa aggravata nei confronti, inter alia, del medesimo soggetto coinvolto nel giudizio civile.
La Corte di Cassazione ha precisato che, pur essendo l’una il presupposto economico dell’altra, la condotta contestata in sede penale (reato di truffa) non coincideva affatto con la condotta esaminata in sede civile (ammissione al passivo di un credito derivante da contratto un invalido), pertanto, non risultavano sussistere né un rapporto di identità né un legame logico inscindibile tali da far ritenere sussistenti i presupposti per la ricusazione del giudice in sede penale ex artt. 34 ss. c.p.p., ciò neppure alla luce della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 37, comma 1, c.p.p. pronunciata con sentenza del 6 luglio 2000, n. 283. Infatti, detta sentenza, pur affermando l’illegittimità della norma de qua nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato il giudice penale che si sia in precedenza pronunciato in sede civile, ribadisce che, ai fini della declaratoria di incompatibilità nei due giudizi (civile e penale) il giudice deve essere stato chiamato ad esprimere una “valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto”, non risultando a tal fine sufficiente una mera connessione (soggettiva ovvero oggettiva) o continenza.