Premessa
L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta n. 111 del 21 aprile 2020, si occupa di taluni dubbi interpretativi particolarmente interessanti sollevati da un trustee in relazione al caso di un trust revocabile. In dettaglio, l’Agenzia dopo aver ribadito l’oramai consolidato orientamento secondo cui il trust revocabile si configura, ai fini fiscali, quale struttura meramente interposta rispetto al disponente, affronta il tema della validità (o meno) in capo a tale ultimo soggetto dell’opzione per il regime del risparmio amministrato e gestito esercitata dal soggetto interposto. Nel documento in commento, viene approfondito, tra l’altro, anche il discusso trattamento fiscale da riservare ai dividendi di fonte estera percepiti da persone fisiche residenti non imprenditori senza l’intervento di un sostituto d’imposta italiano. Vediamo, quindi, le soluzioni interpretative proposte dall’Amministrazione finanziaria e i nodi ancora da sciogliere al riguardo.
Interposizione “fittizia” del Trust revocabile
Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate dall’istante, l’Agenzia si premura di rimarcare[1] il proprio orientamento circa l’inquadramento fiscale dei trust revocabili. In tal senso, ribadisce che, in linea generale, il trust è un autonomo soggetto d’imposta quando si ravvisa “l’effettivo potere del trustee di amministrare autonomamente e disporre dei beni a lui affidati dal disponente”. Per contro, viene affermato che qualora si accerti che “per effetto delle disposizioni contenute nell’atto istitutivo ovvero in base ad elementi di mero fatto, il potere di gestire e disporre dei beni permanga in tutto o in parte in capo al disponente” il trust si configura come “struttura meramente interposta rispetto al disponente”[2] al quale devono continuare ad essere attribuiti i redditi solo formalmente prodotti dal trust[3].
Per l’effetto di ciò, appurata la natura revocabile[4] del trust, l’Agenzia conclude affermando che “questo tipo di trust, pure ammesso in alcuni ordinamenti, ai fini delle imposte sui redditi non dà luogo ad un autonomo soggetto passivo d’imposta cosicché i suoi redditi sono tassati in capo al disponente”[5] secondo i principi generali previsti per ciascuna categoria reddituale di appartenenza.
Viene ribadito, quindi, il principio secondo cui l’attribuzione al trust di una autonoma capacità giuridica di diritto tributario non può prescindere da un’attenta analisi delle singole fattispecie configurabili atta ad accertare, dal punto di vista documentale e fattuale, che il trustee goda effettivamente di una piena e indiscussa autonomia gestoria dei beni presenti nel trust fund, situazione non riscontrabile appunto nei trust revocabili. E’ questo, ad esempio, anche il caso dei nominee agreement aventi la mera denominazione di trust, ove il trustee è privo di poteri sostanziali sui beni presenti nel trust fund, che, invece, spettano indefettibilmente ad uno o più beneficiari, i quali, tra l’altro, possono pretendere il trasferimento del detto fondo quando lo desiderano[6].
Validità dell’opzione per il regime del risparmio amministrato e gestito in caso di interposizione
Passando ai dubbi interpretativi oggetto d’interpello, l’istante, dopo aver precisato che le somme conferite nel trust fund sono gestite attraverso due relazioni bancarie, in regime di risparmio gestito ex art. 7 del Decreto Legislativo 21 novembre 1997, n. 461, ed una relazione intestata ad una fiduciaria italiana, che amministra conti correnti e conti titoli detenuti per conto del trust presso un intermediario italiano e per la quale è stata esercitata l’opzione del regime del risparmio amministrato ai sensi dell’articolo 6 del medesimo decreto, ha chiesto conferma, considerata la natura revocabile del trust, della validità in capo al disponente di tali opzioni. Il dubbio nasce, a detta dell’istante, dal fatto che letteralmente gli artt. 6 e 7 del Decreto Legislativo n. 461 del 1997, prevedono che l’opzione per i regimi di tassazione in parola debba essere esercitata per iscritto dal “contribuente” che, perlomeno formalmente, nel caso di specie, dovrebbe essere identificato nel trust ovvero per suo conto nel trustee o nella fiduciaria.
Ebbene, sul punto, l’Agenzia delle Entrate, prediligendo una lettura sostanziale delle citate disposizioni normative, ha puntualizzato per la prima volta la validità delle opzioni in parola in capo al disponente in applicazione di una sorta di trasparenza tipica delle cd. “intestazioni fiduciarie” – e ciò anche in presenza di soggetti diversi dalle società fiduciarie (nel caso di specie il trustee)[7] –. In tal senso, l’Agenzia ha sottolineato altresì la necessità da parte del disponente (o del trustee) di informare tempestivamente l’intermediario o il gestore affinché gli stessi possano adempiere correttamente ai propri obblighi fiscali applicando le specifiche regole previste appunto per il disponente (nel caso di specie, una persona fisica), così confermando la prassi tipica delle intestazioni fiduciarie, ormai pacificamente orientata nel senso di ritenere che tale istituto non comporta l’effetto di modificare né il soggetto passivo d’imposta, identificabile sempre e comunque nel fiduciante (i.e., il disponente), né il regime fiscale ordinariamente applicabile ai beni oggetto del “mandato fiduciario”, con la possibilità, dunque, per il fiduciante di avvalersi di tutti i regimi connessi alla titolarità di un determinato cespite reddituale[8].
Il caso dei dividendi di fonte estera senza sostituto
Altro tema affrontato nel documento in esame è quello del trattamento fiscale da riservare ai dividendi di fonte estere (provenienti da Paesi a fiscalità ordinaria) che nel caso in esame non sono stati assoggettati ad imposizione sostitutiva da parte dell’intermediario finanziario/gestore intervenuto nella riscossione.
Come noto, la questione è particolarmente delicata. Infatti, ai sensi dell’art. 27, commi 4 e 4-bis, D.P.R. n. 600/73 se tali dividendi sono riscossi per il tramite di un intermediario residente che interviene in qualità di sostituto d’imposta, gli stessi sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta del 26% applicata sui dividendi al netto delle ritenute subite nello Stato estero (cd. “netto frontiera”).
Per contro, qualora nella riscossione degli stessi non intervenga un intermediario finanziario che agisca da sostituto di imposta, trova applicazione l’articolo 18 del T.U.I.R. secondo cui, in linea generale “I redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti a soggetti residenti nei cui confronti in Italia si applica la ritenuta a titolo di imposta … sono soggetti ad imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta a titolo d’imposta”, vale a dire 26%. In alternativa, il contribuente ha facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva citato ed in tal caso compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero ai sensi dell’art. 165 del T.U.I.R.. Tale facoltà è tuttavia espressamente esclusa dalla norma in commento nel caso dei dividendi che pertanto restano assoggettabili esclusivamente al regime di imposizione sostitutivo.
Sul punto, l’Agenzia conferma la sussistenza di un differente trattamento degli utili in questione in funzione dell’intervento (o meno) nella riscossione degli stessi di un sostituto d’imposta residente; ed infatti, ribadisce l’applicabilità al caso in esame dell’art. 18 del T.U.I.R. sottolineando quindi che i dividendi di specie dovranno essere dichiarati dal disponente nella propria dichiarazione dei redditi (Quadro RM) e tassati con applicazione dell’imposta sostitutiva del 26%, senza possibilità di avvalersi del credito d’imposta ex art. 165 del T.U.I.R., posto che gli stessi non possono concorrono alla determinazione del reddito complessivo. Coerentemente, inoltre, con un precedente orientamento[9], l’Agenzia ribadisce ulteriormente che l’imposizione sostitutiva in esame deve essere applicata ai dividendi di specie considerati al lordo delle eventuali ritenute subite all’estero. Ciò in linea, tra l’altro, con quanto precisato nelle istruzioni alla compilazione dei modelli dichiarativi (Quadro RM) che in proposito ribadiscono appunto l’applicazione dell’imposizione sostitutiva sull’ammontare del reddito “al lordo di eventuali ritenute subite nello Stato estero in cui il reddito è stato prodotto”[10].
[1] Cfr. ex multiis Circolare Agenzia delle Entrate n. 48/E/2007, n. 43/E/2009, n. 61/E/2010 e n. 38/E/2013 e più di recente, la Risposta ad interpello del 11 settembre 2019, n. 381.
[2] Cfr. Circolare n. 61/E/2010, cit..
[3] In tal senso si veda altresì la Circolare n. 38/E/2013, § 1.1. ove si legge “ogni qualvolta il trust sia un semplice schermo formale e la disponibilità dei beni che ne costituiscono il patrimonio sia da attribuire ad altri soggetti, disponenti o beneficiari del trust, lo stesso deve essere considerato come un soggetto meramente interposto ed il patrimonio (nonché i redditi da questo prodotti) deve essere ricondotto ai soggetti che ne hanno l’effettiva disponibilità”.
[4] Considerato, peraltro, che l’art. 1 dell’Atto istitutivo espressamente prevedeva “il Trust è revocabile da parte del Disponente sino alla data del suo decesso”.
[5] In tal senso cfr. altresì Circolare Agenzia delle Entrate n. 48/E/2007, cit..
[6] Potrebbe essere altresì il caso dei trust nudi (cd. bare trust), ove, in conseguenza di eventi intervenuti nel corso della vita del trust i beneficiari divengono vested e più precisamente vested in possession e, di conseguenza, il trustee è ridotto ad un mero mandatario (rectius, fiduciario interposto). Per approfondimenti sul tema dell’interposizione in presenza di trust si veda S. MASSAROTTO, M. ALTOMARE, Il monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria, AA. VV., Temi di fiscalità nazionale ed internazionale, Cedam, 2014, pagg. 833 e segg…
[7] Cfr. ex multiis Circolari dell’Amministrazione finanziaria del 1 ottobre 2001, n. 85/E, del 13 settembre 2010, n. 45/E e del 2 luglio 2012 n. 28/E.
[8] Cfr., ad esempio, la Risoluzione n. 37/E del 13 marzo 2006, in cui è stata confermata l’applicabilità del regime c.d. Madre-Figlia in presenza di partecipazioni fiduciariamente intestate, in considerazione del fatto che “la circostanza che una partecipazione sia intestata formalmente ad una fiduciaria non osta all’applicazione di particolari modalità di determinazione del reddito o di regimi di esenzione nel caso in cui questi sianoapplicabili nei confronti degli effettivi proprietari delle partecipazioni stesse”.
[9] In tal senso cfr. Risoluzione del 26 aprile 2007 n. 80.
[10] In proposito vale tuttavia la pena sottolineare che le istruzioni alla compilazione del Mod. Redditi PF 2020, Fascicolo 2, RIGO RM 12, colonna 5 inizialmente prevedevano, innovando rispetto al passato, la possibilità di scomputare, dall’imposta sostitutiva italiana dovuta sui dividendi in esame l’eventuale imposta pagata all’estero. Ciò aveva destato taluni dubbi considerato che tale scomputo – tra l’altro, da effettuarsi dall’imposta sostitutiva italiana dovuta sui medesimi utili, differentemente da quanto peraltro previsto dal criterio del cd. “netto frontiera” che, invece, prevede uno scomputo dell’imposta estera dagli utili da assoggettare ad imposta sostitutiva italiana – si poneva in diretto contrasto con l’interpretazione sino ad ora fornita sull’argomento da parte dell’Amministrazione finanziaria e da ultimo ribadita, appunto, nella risposta qui in commento. Tuttavia, in data 27 aprile 2020, attraverso una modifica alle istruzioni alla compilazione del Mod. Redditi PF 2020, Fascicolo 2, RIGO RM 12, colonna 5 è stato precisato che tale colonna è destinata ad accogliere esclusivamente il credito relativo all’imposta sul valore dei contratti assicurativi (c.d. IVCA), così, in buona sostanza, ristabilendo lo stato dell’arte previgente le citate modifiche.