La Corte di Cassazione ha recentemente valutato la liceità del cumulo fra le sanzioni penali e quelle amministrative previste dall’ordinamento in materia di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (cosiddetto “ostacolo alla vigilanza”).
In tale ambito, infatti, è prevista l’applicabilità di diverse misure sanzionatorie, volte a garantire il buon andamento della vigilanza da parte delle autorità pubbliche, a tutela del mercato, dei suoi operatori e, soprattutto, dei risparmiatori/investitori.
Il “doppio binario” sanzionatorio penale-amministrativo si fonda, in particolare, su:
- l’articolo 2638 c.c., in base al quale sono puniti penalmente gli esponenti aziendali delle società sottoposte a vigilanza pubblica che, “al fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni […] ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare [ovvero che] in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni”;
- il combinato disposto degli articoli 10 e 190 del Testo Unico della Finanza, in base al quale sono puniti con elevate sanzioni amministrative pecuniarie gli esponenti aziendali che ostacolino in qualsiasi modo l’effettuazione di ispezioni, la richiesta di esibizione di documenti e il compimento degli altri atti ritenuti necessari dalle autorità competenti.
A tale riguardo, la pronuncia in esame ha anzitutto ritenuto essere (parzialmente) coincidente il campo di applicazione materiale dell’articolo 2638 c.c., da un lato, e degli articoli 10 e 190 TUF, dall’altro: tutte le condotte rilevanti ai fini della prima norma lo sono anche per le seconde, che risultano avere, invero, un perimetro ben più ampio.
Da ciò la Corte ha fatto discendere l’applicabilità dell’articolo 9 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, in ragione del quale: “quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”, trovando nel criterio della specialità normativa una modalità di risoluzione di possibili cumuli sanzionatori, così da garantire tutela avverso possibili doppi procedimenti e sanzioni per la commissione dei medesimi fatti storici (divieto di bis in idem).
Sicché, assunta la specialità della disposizione sanzionatoria penale di cui all’articolo 2638 c.c. rispetto a quella amministrativa pecuniaria derivante dalla lettura congiunta degli articoli 10 e 190 TUF, la Suprema Corte ha dichiarato inapplicabile quest’ultima, per conflitto con il divieto di bis in idem ai sensi dell’articolo 9 della Legge 689/1981.