La Suprema Corte, con la pronuncia in esame, respinge il ricorso presentato dall’ex amministratore delegato di una banca, contro il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni immobili, mobili registrati e mobili, fino alla concorrenza della somma di euro 45.425.000, disposto nei suoi confronti dal Tribunale di Treviso.
In particolare, viene rigettata dalla Cassazione la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2641, comma 2, c.c. laddove sottopone alla confisca per equivalente i beni utilizzati per commettere il reato, in relazione all’art. 2638 c.c., rubricato “ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”.
La questione di legittimità costituzionale di tale ultima norma, secondo i giudici di legittimità, “deve essere vagliata alla luce delle condotte contestate all’indagato perché solo in relazione al singolo precetto che si assume essere stato violato, possono trovare adeguato fondamento o sicura smentita i dubbi circa la sproporzione della sanzione complessiva nel caso in cui si provveda alla confisca per equivalente dei mezzi utilizzati per commettere il reato”.
Nel caso di specie, i capi di imputazione ascritti all'ex a.d. sono riconducibili ad una serie di condotte di ostacolo all’esercizio delle funzioni vigilanza di CONSOB e Banca d’Italia, commesse in qualità di amministratore delegato del predetto istituto di credito, comunicando un patrimonio di vigilanza non corrispondente al vero, poiché non decurtato del valore di una pluralità di operazioni che l’indagato aveva posto in essere, per il tramite di enti e persone fisiche, con l’impegno da parte della banca di riacquisto degli strumenti finanziari ceduti, per un valore complessivo che corrisponde nell’ammontare alla somma vincolata, per equivalente.
È, pertanto, evidente che il disvalore, di rilievo penale, di tali condotte trovi la sua più corretta quantificazione proprio nella misura complessiva delle somme in esse impiegate: ne consegue che “non vi è alcuna sproporzione fra i fatti illeciti compiuti e le somme sottoposte al vincolo, che, anzi, sotto il profilo monetario, coincidono perfettamente”.
Gli ermellini confutano, altresì, l’argomentazione addotta nel ricorso a sostegno dei dubbi di costituzionalità della misura adottata e fondata dall’intervenuta modifica dell’art. 187-sexies del D.Lgs. n. 58/1998 (TUF), ad opera dell’art. 4 del D.Lgs. n. 107/2018, che ha escluso la possibilità di procedere alla confisca dei beni utilizzati per commettere l’illecito amministrativo, limitando la misura al prodotto o al profitto dell’illecito.
Quest’ultima risposta sanzionatoria del legislatore concerne i soli illeciti amministrativi contemplati dal TUF e lascia invariata, invece, la disciplina sanzionatoria riguardante le condotte di rilievo penale, come testimoniato dalla circostanza per cui non è stata disposta analoga modifica all’art. 187 TUF, che ad oggi consente la confisca, diretta e per equivalente, dei beni strumentali alla consumazione dei delitti di insider trading e aggiotaggio.