Con il provvedimento in oggetto, il Tribunale di Milano si è espresso in materia di pagamenti preferenziali e legittimazione del curatore all’esperimento dell’azione di responsabilità degli amministratori.
La Corte preliminarmente fuga ogni dubbio in merito alla legittimazione del curatore all’esperimento dell’azione di responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori, richiamando i precedenti della Suprema Corte sul punto (Cass., sez. un., n. 1641 del 2017; Cass., n. 25610 del 2018).
Il tribunale enuncia poi alcuni principi in rifermento alla fattispecie di pagamenti preferenziali nella forma di illegittimo rimborso di finanziamenti soci, in particolare a favore di società ad essi riferibili nonché a banche verso cui i soci abbiano prestato fideiussioni.
In primo luogo, i giudici statuiscono che ”quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione – quindi in violazione della par condicio creditorum – costituisce un fatto generativo di responsabilità degli amministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservative dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi, o di operazioni assimilabili”.
Traendo forza dagli arresti giurisprudenziali in merito all’analoga casistica relativa alla responsabilità del liquidatore, viene quindi affermato il necessario rispetto della par condicio creditorum, come fissata dagli artt. 2740 e 2741 c.c., che trovano applicazione pure nello stato di crisi, situazione di attuale concorso sostanziale dei creditori, ancorché il concorso formale sia ancora potenziale. Tutta la disciplina codicistica – si dice – appare invero inequivoca nella sua ratio di tutelare le pretese creditorie anche in questa fase. Inoltre, a conforto di quanto affermato, la Corte richiama l’obbligo di gestione conservativa durante la crisi, che impone di finalizzare “l’attività al fine esclusivo di conservare il valore e l’integrità del patrimonio sociale”. Peraltro, proprio in riferimento a quest’ultimo aspetto, si afferma che, a fronte di un eventuale contrasto tra le scelte imposte dalla gestione conservativa e quelle imposte dal rispetto della par condicio creditorum, ”dovrà, secondo il criterio generale di proporzionalità ed adeguatezza, prevalere la prima quando si possa ritenere che i relativi debiti sono contratti nell’interesse di tutti i creditori (appunto quelli che consentono di conservare integrità e valore del patrimonio o magari di incrementarlo).” La Corte sottolinea poi che “utili spunti per un’interpretazione analogica in chiave di deroghe all’applicazione del principio di par condicio possono essere tratti dal disposto degli art. 67, comma 2, e 111 comma 2 l.f.”
In secondo luogo, il tribunale si pronuncia circa le ipotesi di responsabilità degli amministratori per sanzioni ed interessi ai danni della società per mancato pagamento di tasse, imposte o contributi. Sul punto viene richiamata la giurisprudenza dello stesso tribunale, ribadendo come ciò costituisca una grave inadempienza rispetto alla disciplina legale, la quale rappresenta un indiscutibile limite alla generale discrezionalità di cui l’attività gestoria gode, non potendo quindi essa sola giustificare la scelta di pagamento preferenziale di creditori diversi dall’erario donde consegua l’impossibilità di pagamento dei crediti contributivi, con conseguente sanzione amministrativa. Inoltre, configurandosi il pagamento di detti crediti come uno dei primi e principali obblighi dell’organo gestorio, l’onere della prova della mancanza di colpa grava tutto sull’amministratore, il quale può esimersi da responsabilità solo ove dimostri che l’inadempimento è dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata né superata con la diligenza richiesta al debitore, ai sensi dell’art. 1218 c.c.