La Legge di Stabilità 2015 ha istituito un regime opzionale di tassazione agevolata noto come “Patent Box” per i redditi derivanti dall’utilizzo (anche in base a contratto di licenza) di software protetto da copyright, di brevetti industriali e di marchi concessi o in stato di deposito, di disegni e modelli giuridicamente tutelabili, nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili, con lo scopo di riportare in Italia proprietà intellettuale attualmente collocata all’estero e favorire gli investimenti in ricerca e sviluppo. Agevolazione peraltro cumulabile con il credito di imposta concesso ai soggetti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo nonché con l’ACE (Aiuto per la Crescita Economica).
L’ambito oggettivo di applicazione (dal quale il decreto attuativo del 30 luglio 2015 ha escluso – peraltro in modo dubbio – il solo diritto d’autore) è talmente ampio che ha portato da subito i primi commentatori a parlare di IP Box piuttosto che di Patent Box. Peraltro si noti che l’estensione ai marchi commerciali (contraria all’Action 5 del cosiddetto progetto BEPS elaborato in sede OCSE) è nella sostanza in unicum nelle economie avanzate che si sono dotate di regimi analoghi (era in Lussemburgo ma è stato appena annunciato che anche nel Granducato i marchi saranno esclusi).
La norma prevede per tutti i titolari di reddito d’impresa, inclusi i soggetti non residenti con stabile organizzazione in Italia, la parziale detassazione dei proventi/redditi derivanti dallo sfruttamento dei sopra citati beni immateriali per un ammontare pari al:
- 30% per il periodo d’imposta 2015;
- 40% per il periodo d’imposta 2016;
- 50% dal periodo d’imposta 2017 in avanti.
E’ prevista, altresì, l’integrale detassazione della plusvalenza derivante dalla eventuale cessione del bene immateriale a condizione che almeno il 90% del relativo corrispettivo sia reinvestito in immobilizzazioni assimilabili.
L’opzione per beneficiare di tale regime ha durata di 5 anni e deve essere comunicata tramite il servizio telematico utilizzando l’apposito modello approvato dall’Agenzia. Qualora, tuttavia, vi sia sfruttamento “diretto” del bene immateriale, la quota di reddito agevolabile è determinata nell’ambito di un accordo di ruling con l’Agenzia delle Entrate e l’opzione ha efficacia dal periodo di imposta in cui è presentata l’istanza di ruling.
Peraltro l’Agenzia, che il 1° dicembre 2015 ha diramato un Provveedimento direttoriale e la circolare 36/E, ha opportunamente chiarito che la creazione di una IP Company di Gruppo, anche attraverso operazioni straordinarie fiscalmente neutrali attraverso le quali centralizzare la detenzione dei beni immateriali, unitamente all’esercizio dell’opzione per il regime di consolidato nazionale, potrebbe rappresentare una lecita forma di pianificazione fiscale in grado di:
- consentire una più agevole gestione della disposizione agevolativa in argomento (attraverso unicamente la corretta definizione dei canoni di licenza – royalties – dei beni immateriali al Gruppo);
- eliminare l’obbligo di presentazione dell’istanza di ruling (che rimarrebbe su base facoltativa);
- ottimizzare gli effetti derivanti dall’utilizzo congiunto dei due regimi.
Inoltre l’Agenzia ha anche chiarito che è possibile tener memoria dei business in perdita in modo da non penalizzare quelle realtà titolate ad optare per il regime ma senza redditi da detassare.
Particolare attenzione merita la procedura di ruling con l’Agenzia delle Entrate, che risulterà decisiva in una serie importantissima di casi.
Il contribuente infatti può, ed in alcuni casi deve, definire preventivamente con l’Agenzia delle Entrare il reddito agevolabile che fruisce del regime di Patent Box, secondo la procedura di ruling internazionale già prevista per determinare il fair value delle operazioni infragruppo secondo le best practices in materia di Transfer Pricing.
La legge di stabilità per il 2015 e poi il relativo decreto attuativo del 30 luglio, rinviano espressamente all’istituto del ruling internazionale, peraltro oggetto di recentissima rivisitazione con il Decreto crescita ed internazionalizzazione.
In termini generali, attraverso il ruling internazionale le imprese possono raggiungere accordi preventivi con il Fisco sugli aspetti di rilievo transnazionale di maggior rilevanza. Il nuovo ruling internazionale sostituisce l’art. 8 del D.Lgs. n. 269/2003 e trasloca, con un chiaro segnale anche rispetto alla sua collocazione sistematica, nelle norme sull’accertamento (art. 31-ter, D.P.R. n. 600/1973). Il ruling contempla la possibilità di attivare una procedura volta a raggiungere un accordo preventivo con l’Agenzia delle entrate “con principale riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties” e sulla sussistenza o meno di una stabile organizzazione nel nostro Paese.
Nel regime del patent box il rimando al Ruling internazionale è contenuto soprattutto nell’art. 12 del decreto del 30 luglio mentre le regole applicative, che spesso differiscono dalla procedura ordinaria (per l’evidente diversità di oggetto), sono individuate nel Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 1° Dicembre, cui fa riferimento, senza aggiungere ulteriori chiarimenti, anche la coeva circolare 36/E dell’Agenzia.
Il Ruling entra in gioco ad affiancare l’opzione per l’esercizio del regime nei casi di utilizzo diretto dei beni immateriali (i.e. invenzioni brevettate e non, know-how, ivi incluse esperienze aziendali tecnico-industriali e commerciali gestite in regime di segreto, design, software, modelli e marchi commerciali) e nei casi di concessione in uso infragruppo e di plusvalenze realizzate sempre infragruppo su tali beni.
In particolare il Ruling è obbligatorio nel caso di utilizzo diretto del bene immateriale e facoltativo negli altri due casi (concessione in uso e plusvalenze infragruppo).
Viene prevista una procedura semplificata per le piccole e medie imprese (PMI). Per l’individuazione delle PMI già il decreto attuativo del 30 luglio faceva riferimento alla raccomandazione della Commissione UE 2003/361/CE, per la quale sono piccole e medie imprese quelle che occupano meno di 250 persone e hanno un fatturato annuo che non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale dell’attivo dello stato patrimoniale non superi i 43 milioni di euro. La semplificazione, assai opportuna soprattutto per contenere i costi delle piccole aziende, consta nel fatto che la definizione del reddito agevolabile avverrà direttamente in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate senza la necessità per i contribuenti di proporre studi ad hoc che individuino metodi e criteri per la determinazione del reddito.
L’istanza di ruling, come precisato nel Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 1° dicembre, va presentata all’Ufficio accordi preventivi e controversie internazionali a Roma o a Milano (lo stesso del ruling internazionale, che ha appunto doppia sede).
L’istanza va redatta in carta libera e va inoltrata con raccomandata con avviso di ricevimento ovvero consegnata a mano all’Ufficio. Copia della stessa e della relativa documentazione sono prodotti su supporto elettronico. Unitamente all’istanza va inoltrata per via telematica l’opzione “generale” per il regime (la quale quindi serve in ogni caso e qui si affianca all’istanza) inviando il modello approvato dall’Agenzia delle entrate il 10 novembre (disponibile on line sul sito dell’Agenzia).
La domanda deve obbligatoriamente riportare:
1) la denominazione dell’impresa, la sede legale e l’eventuale elezione di domicilio (di solito presso il professionista);
2) l’indirizzo della stabile organizzazione per le imprese non residenti;
3) l’indicazione dell’oggetto dell’accordo preventivo costituito alternativamente da:
a) preventiva definizione in contraddittorio dei metodi e criteri di calcolo del “contributo economico” alla produzione del reddito o della perdita in caso di utilizzo diretto dei beni immateriali;
b) nei casi diversi dall’utilizzo diretto, preventiva definizione in contraddittorio dei metodi e dei criteri di calcolo dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni immateriali realizzati infragruppo;
c) preventiva definizione dei metodi e dei criteri di calcolo delle plusvalenze da vendita dei beni immateriali realizzate infragruppo;
4) l’indicazione della tipologia di beni dal cui utilizzo deriva il reddito agevolabile e ove sussistente la (fondamentale) indicazione del vincolo di complementarietà tra tali beni;
5) l’indicazione della tipologia di attività di ricerca e sviluppo svolta ed il diretto collegamento della stessa con lo “sviluppo, il mantenimento, nonché l’accrescimento del valore dei beni”;
6) la firma del legale rappresentante.
Il Provvedimento del 1° dicembre precisa che l’istanza si ritiene validamente presentata anche laddove siano indicati solamente i sopra elencati dati “essenziali”, a patto che poi il corredo documentale completo, unitamente a delle memorie integrative, venga presentato nei 120 giorni successivi alla presentazione.
Quanto al corredo documentale, in particolare:
a) in caso di utilizzo diretto, occorrerà documentazione atta ad individuare analiticamente i beni ed il loro vincolo di complementarietà per poterli considerare, ai fini dell’agevolazione, come un unico bene nell’ambito della realizzazione di un prodotto o di un processo; inoltre occorrerà descrivere chiaramente l’attività di ricerca e sviluppo svolta, nonché i metodi ed i criteri di calcolo del contributo economico alla produzione del reddito di impresa. A tali fini sono utili le indicazioni del discussion paper del 4 dicembre 2015 dell’Organismo Italiano di Valutazione (OIV) e più in generale le best practices OCSE in tema di prezzi di trasferimento. Saranno per questa ragione avvantaggiate le imprese che già hanno in essere un ruling internazionale con l’Agenzia delle entrate.
b) in caso di concessione in uso dei beni infragruppo occorrerà individuare analiticamente le società del gruppo, i canoni ricevuti ed i costi fiscalmente rilevanti diretti ed indiretti connessi ai beni stessi; anche in questo caso sarà cruciale indicare i metodi ed i criteri di calcolo del reddito o della perdita alla luce degli standard internazionali OCSE.
c) in caso di plusvalenze da vendita dei beni infragruppo, la documentazione a supporto deve essere atta, di nuovo, a individuare i beni, il vincolo di complementarietà tra questi, ove esistente, le società interessate ed i metodi ed i criteri di calcolo della plusvalenza alla luce delle indicazioni OCSE.
L’accesso al regime può anche assumere la veste di un tentativo che non va a buon fine, senza tuttavia conseguenze pregiudizievoli di sorta in capo al contribuente, a parte ovviamente l’impossibilità di fruire del regime. L’istanza è in definitiva una prenotazione che può anche essere “rinunciata”.
Al punto 7 del provvedimento del direttore dell’Agenzia del 1° dicembre si precisa che l’istanza è rigettata entro 30 giorni dal suo ricevimento, quando è carente degli elementi formali elencati al punto 2.3 del provvedimento stesso (si veda l’articolo in pagina), salvo che questi siano desumibili da ulteriore attività istruttoria (istruttoria durante la quale il termine per il rigetto si considera sospeso).
Sembra che la natura del rigetto sia quella del diniego di agevolazione che come tale pare impugnabile innanzi alla commissioni tributaria.
Fuori dai casi di rigetto, che hanno una tempistica ben definita, la vera sfida del ruling è quella di giungere, in assenza di termini prefissati per legge (come sarebbe stato opportuno) alla conclusione di accordi in tempi ragionevoli. Tra le più importanti criticità che caratterizzano il ruling internazionale nelle materie dove sinora ha trovato applicazione, v’è senz’altro quella connessa ai tempi per la conclusione della procedura, oggi mediamente stimati in 16 mesi.
L’accordo viene concluso e vincola le parti sulla base dell’istruttoria espletata sino al momento della sua sottoscrizione. Tuttavia il contribuente che intende effettivamente fruire del beneficio per tutto il quinquennio dovrà aver cura di non modificare le condizioni di fatto e/o di diritto emerse appunto a seguito dell’espletamento dell’istruttoria in fase di accesso.
A seguito dell’esame della documentazione analizzata e delle verifiche svolte, o in ogni caso se viene accertato che il contribuente non ha rispettato i termini dell’accordo (magari nell’esecuzione di una verifica generale), l’Ufficio, con atto motivato notificato via pec o posta al contribuente, ne dà comunicazione a quest’ultimo invitandolo a far pervenire memorie entro 30 giorni (altra opportuna previsione sulla necessità di un contraddittorio anche in questa fase, pena la nullità di ogni eventuale futura ripresa a tassazione, aggiungiamo noi).
Se le memorie non “soddisfano” l’Ufficio, o se non vengono presentate nei 30 giorni concessi, l’accordo si considera risolto, anche solo parzialmente, a decorrere dalla data della violazione.
Se invece in sede di istruttoria l’Ufficio realizzi che sono mutate le condizioni di fatto o di diritto su cui si basa l’accordo, quest’ultimo invita il contribuente a sottoscrivere una modifica dell’accordo. Se, all’esito del contradditorio che viene ad incardinarsi, le parti non raggiungono una posizione condivisa sulla revisione dell’accordo, questo si considererà risolto e comunque privo di efficacia dalla data di mutamento delle condizioni di fatto e/o diritto oppure, se questa non sia nota, dal momento in cui l’ufficio invita il contribuente per il contraddittorio sull’ipotesi di modifica.
Almeno 15 giorni prima della scadenza dell’accordo, l’Ufficio comunica a mezzo raccomandata il proprio assenso ovvero il rigetto con provvedimento motivato. Trattandosi, di nuovo, di un diniego di agevolazione il rigetto pare impugnabile dinnanzi alle commissioni tributarie.
Come anticipato, l’accordo che giunge a naturale scadenza può anche essere rinnovato. L’Ufficio, per valutare il rinnovo, può richiedere documenti ed informazioni, invitare la parte per un contradditorio, che si celebrerà secondo le modalità previste per il contraddittorio contemplato in sede di prima sottoscrizione.
In particolare, soprattutto nei casi in cui valuti di rigettare la richiesta del contribuente, si ritiene che l’Ufficio dovrà necessariamente invitare l’impresa per il contraddittorio preventivo, pena l’illegittimità del rigetto.