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Giurisprudenza

Patto leonino: contenuto del divieto e nullità del patto parasociale

4 Novembre 2024

Cassazione Civile, Sez. I, 22 ottobre 2024, n. 27283 – Pres. Terrusi, Rel. Fraulini

Di cosa si parla in questo articolo

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 27283 del 22 ottobre 2024, (Pres. Terrusi, Rel. Fraulini), si è pronunciata in materia di nullità di un patto parasociale per violazione del divieto di patto leonino.

Si ricorda che, per “patto leonino”, si intende quel patto fra soci con cui uno o più soci vengono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite della società: tale patto è nullo ai sensi dell’art. 2265 C.c.

La nullità del patto è infatti connessa alla natura dell’attività economica svolta dalla società e allo scopo perseguito dai soci, cioè quello dividersi gli utili (art. 2247 C.c.): come confermato dalla Cassazione, se non vi è distribuzione degli utili tra tutti i soci, non c’è società, così come non può considerarsi partecipe della società quel socio che sia totalmente esentato dai rischi connessi al verificarsi di perdite.

Il caso di specie concerneva una scrittura privata di permuta azionaria, entro la cui scadenza un socio avrebbe potuto acquistare le azioni permutate al prezzo contrattualmente stabilito, mettendosi al riparo da oscillazioni di mercato: la Corte di merito aveva quindi escluso che la permuta violasse il divieto di patto leonino, qualificando la clausola come opzione put, valida e meritevole di tutela, poiché in forza della stessa un socio si impegnava a garantire agli altri soci un indennizzo per l’ipotesi che il valore delle azioni della società, al momento della loro immissione sul mercato, si fosse rivelato inferiore ad un valore predeterminato.

La Cassazione, prima di analizzare se il patto oggetto di causa sia effettivamente nullo in quanto in violazione del divieto di patto leonino, si sofferma preliminarmente sulla nozione di “patto parasociale”, che può definirsi come quell’accordo contrattuale che intercorre fra più soggetti (di norma due o più soci, ma anche tra soci e terzi), finalizzato a regolamentare il comportamento futuro che dovrà essere osservato durante la vita della società o, comunque, in occasione dell’esercizio di taluni diritti derivanti dalle partecipazioni detenute.

Il patto parasociale si differenzia dal contratto di società e dallo statuto, in quanto realizza una convenzione con cui i soci attuano un regolamento complementare a quello sancito nell’atto costitutivo e poi nello statuto della società, al fine di tutelare più proficuamente i propri interessi.

Elemento caratterizzante del patto parasociale è che l’assetto obbligatorio in esso convenuto abbia come obiettivo uno dei due elementi caratterizzanti indicati nell’art. 2341-bis C.c.:

  • la stabilizzazione degli assetti proprietari
  • la stabilizzazione del governo della società.

Tali finalità possono essere perseguite, quindi, anche tramite accordi che, in ogni modo previsti, abbiano per effetto una regolamentazione dei diritti patrimoniali ricadenti su un socio, di cui l’altro stipulante (socio o terzo che sia) si renda in qualsivoglia modo garante.

La Cassazione, con particolare riferimento al patto parasociale oggetto di causa, ricorda che, in base a consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto, è valido e meritevole di tutela un patto parasociale che, attraverso un’opzione put, consenta ai soci di vedersi garantita la remunerazione del valore della partecipazione a un prezzo predeterminato: tale pattuizione non si limita infatti ad una mera garanzia “assoluta e costante” di redditività della partecipazione del beneficiario dell’opzione, ma costituisce una garanzia eventuale, che si inscrive sinallagmaticamente in un contratto di permuta, per effetto del quale il socio ha acquisito al proprio patrimonio le azioni permutate dai controricorrenti, in altra società.

Quanto al divieto di patto leonino, la Cassazione osserva che la giurisprudenza di legittimità da tempo ritiene che non rientrino nel divieto quelle clausole che stabiliscono una partecipazione agli utili o alle perdite non proporzionale al valore della propria quota.

Come osservato dalla giurisprudenza richiamata dalla Corte infatti, l’elemento caratterizzante del patto leonino è che lo “stravolgimento” del ruolo del socio per effetto della sua stipulazione deve essere, congiuntamente:

  • totale: in quanto deve avere come effetto un’alterazione completa della causa societatis, che per effetto di esso subisca una completa modificazione dell’assetto, sì da porsi con essa in totale contrasto (in tal modo dovendo interpretarsi la locuzione normativa laddove menziona l’esclusione del socio «da ogni» partecipazione agli utili o alle perdite);
  • costante: perché l’effetto di totale alterazione deve risultare tendenzialmente irreversibile per effetto della pattuizione vietata e non risolversi in un’alterazione transeunte dei diritti patrimoniali del socio.

Nel caso di specie, la Corte rileva che non si sarebbe quindi in presenza della violazione del divieto del patto leonino, poiché mancherebbe il carattere assoluto e costante dell’esclusione dalle perdite per la durata della carica di socio, da parte del cessionario delle azioni.

Quanto, infine, alla meritevolezza del patto de quo, la Cassazione rileva che tale patto si inserisce in una più generale operazione di permuta: il giudizio di meritevolezza va quindi condotto alla luce non solo del “tipo” di operazione concretamente identificata (il patto di opzione put in sé astrattamente considerato), ma nel suo ineliminabile nesso funzionale con il raggiungimento degli interessi identificati dalle parti nel contratto di permuta, ove il ricorrente, pur obbligandosi con il patto di opzione, ha ottenuto in contropartita l’acquisizione della titolarità delle azioni trasferite per effetto del contratto stesso.

In conclusione, “tanto in astratto, quanto in concreto”, la Corte esclude che nella specie il patto parasociale dedotto abbia costituito una violazione del divieto di patto leonino.

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