Con la sentenza in esame i giudici di legittimità hanno ribadito che il piano di risanamento è un atto unilaterale posto in essere dal debitore al fine di superare il proprio stato di crisi. Al fine di agevolare il raggiungimento di un simile obiettivo, il legislatore ha inteso tutelare i terzi che, nell’arco temporale di durata del piano di risanamento, vengano in contatto con l’imprenditore in crisi, garantendo loro – nell’ipotesi in cui non si pervenga all’auspicato risanamento dell’impresa e che la stessa venga successivamente dichiarata fallita – l’esenzione da revocatoria in relazione agli atti posti in essere in esecuzione del piano medesimo.
A differenza degli accordi di ristrutturazione (art. 182-bis l.f.) e del concordato preventivo (art. 160 e ss. l.f.), lo strumento in parola non è una procedura concorsuale, talché non gli sono propri gli effetti protettivi specificatamente previsti per simili procedure.
Da tali considerazioni la Corte di Cassazione ha dedotto l’impossibilità giuridica di ritenere che l’omissione contributiva possa essere scriminata ex art. 51 c.p. dall’adempimento al piano di risanamento, posto che in forza dello stesso il debitore non beneficia né del “congelamento dei debiti” né tantomeno della “dilazione dell’adempimento” degli obblighi di versamento alle naturali scadenze.