Nella sentenza in esame, la Suprema Corre in materia di opposizione avverso pignoramento immobiliare specifica alcuni aspetti relativi all’estensione dei poteri di verifica – anche ufficiosa – da parte del giudice dell’esecuzione, delle condizioni dell’azione esecutiva e dei relativi presupposti processuali indispensabili al raggiungimento di un utile risultato.
In particolare, la Corte osserva che, mentre il giudice dell’opposizione ad esecuzione può sempre rilevare il venir meno del titolo, perché la sua sussistenza costituisce una condizione dell’azione esecutiva (da ultimo: Cass. ord. 06/09/2017, n. 20868), il giudice dell’esecuzione può sempre compiere anche di ufficio (Cass. 27/01/2017, n. 2043) quegli accertamenti sulla sussistenza delle imprescindibili condizioni dell’azione esecutiva e dei presupposti del processo esecutivo, quelli cioè in mancanza – anche sopravvenuta – dei quali quest’ultimo non può proseguire o raggiungere alcuno dei suoi fini istituzionali.
Inoltre, il Supremo Collegio richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite sui tempi e modi di contestazione della titolarità del diritto vantato ex adverso. La peculiarità del rapporto tra processo esecutivo e relativa opposizione implica che detta contestazione debba avvenire per via di azione ad opera della parte opponente e cioè del debitore, sicché deve necessariamente essere esplicita. Altresì, anche in forza dei principi affermati dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 16/02/2016, n. 2951), in tema di ufficiosa rilevabilità della carenza di titolarità del rapporto dedotto in giudizio, la relativa verifica può compiersi in base agli elementi a disposizione del giudicante, tra i quali rientra la considerazione delle prove dirette – documentali o meno – e di quelle indirette, desumibili dal contegno delle parti, tra le quali rileva la condotta processuale dello stesso debitore – unico legittimato alle opposizioni ad esecuzione volte a fare valere quelle carenze e, quindi, onerato di farlo in via di azione – la quale sia incompatibile con la contestazione di quella titolarità.
In tale contesto, viene ribadito il principio di diritto secondo cui «in materia di verifica della titolarità del diritto di credito azionato in via esecutiva, la proposizione di un’opposizione ad esecuzione da parte del debitore e la condotta processuale di mancata contestazione di quella titolarità da questi tenuta fino al momento di maturazione delle preclusioni assertive o di merito esclude la necessità per il creditore di provare la relativa circostanza».
Sono altresì chiarite alcune questioni in tema di transazione novativa. Più precipuamente, si precisa che la transazione novativa richiede che l’accordo raggiunto dalle parti disciplini oggettivamente per intero il nuovo rapporto negoziale, ma anche, sul piano soggettivo, la sussistenza di una specifica volontà di far sorgere un diverso rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente così estinto, sicché di tale contratto sono elementi essenziali l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione ovvero del titolo del rapporto, al pari dell’ animus novandi, consistente nell’inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova (così già Cass., 13/03/2019, n. 7194).
Con riguardo all’ermeneutica contrattuale, inoltre la Corte osserva che le censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra.
Quanto alla validità della clausola risolutiva espressa, la Corte precisa che seppur – nel caso di specie – la stessa era riferita genericamente all’inadempimento di tutte le obbligazioni pattuite con la transazione in questione, non per questo la stessa deve essere qualificata come clausola “di stile”, dunque, a ragion veduta la Corte territoriale, operando una ricostruzione dell’assetto negoziale, ha evidenziato come essa risulti univocamente correlata a individuabili obbligazioni passive. Ne deriva che la giurisprudenza sulla necessità che tale clausola si correli a specificate – e quindi determinabili – obbligazioni, pena la sua invalidità (Cass., 27/01/2009, n. 1950, cui “adde” Cass., 11/03/2016, n. 4796), non si attaglia al caso di specie.
Altresì il Supremo Collegio, richiamando i suoi precedenti orientamenti, ribadisce che la notifica da parte del creditore di un atto di precetto nei confronti del mutuatario inadempiente comporta la risoluzione del contratto, costituendo comportamento concludente riguardo alla volontà del creditore di avvalersi della clausola risolutiva espressa (così già Cass. 21 ottobre 2005, n. 20449).